giovedì 31 maggio 2018

Purusha e Prakriti


Perché la manifestazione si produca, Purusha, deve entrare in correlazione con un altro principio, quantunque questa correlazione nel suo aspetto più elevato (uttama) sia inesistente e non vi sia realmente altro principio se non in senso relativo, al di fuori del Principio Supremo; ma quando si tratta della manifestazione, anche principialmente, già siamo nella relatività.
Il correlativo di Purusha è allora Prakriti, la sostanza primordiale indifferenziata, il principio passivo, rappresentato come femminile, mentre Purusha, è il principio attivo, cioè maschile; e mentre sono entrambi non-manifestati, tuttavia sono i due poli della manifestazione.
L'unione di questi due principi complementari produce lo sviluppo integrale dello stato individuale umano, e ciò relativamente ad ogni individuo; potrebbe lo stesso asserirsi per tutti gli stati manifestati dell'essere, diversi da quello umano...
Purusha e Prakriti ci appaiono risultanti in qualche modo da una polarizzazione dell'essere principiale non al limite della sola individualità umana, ma al limite della totalità degli stati manifestati, in molteplicità indefinita.
Considerando isolatamente ogni individuo, l'insieme del dominio formato da un grado determinato dell'Esistenza, quale il dominio individuale (lo stato umano),... Purusha per tale dominio comprendente tutti gli esseri che vi sviluppano le loro possibilità di manifestazione corrispondenti, tanto successivamente quanto simultaneamente è assimilato a Prajapati, il Signore degli esseri prodotti....
Questa Volontà si manifesta più particolarmente in ogni ciclo speciale di esistenza, come il Manu di questo ciclo, che ad esso dà la sua Legge (Dharma); Manu non deve essere considerato un personaggio né un mito, ma un principio, propriamente l'Intelligenza cosmica, immagine riflessa di Brahma che si esprime come il Legislatore primordiale ed universale...
Manu è il prototipo dell'uomo (mancava), in rapporto ad uno stato d'essere determinato, può equivalere, nel dominio di esistenza che corrisponde a questo stato, a quello che per l'esoterismo islamico è l'"Uomo Universale" (El-Insanul-kamil) [È l'Adam Qadmon della Qabbalah ebraica; è anche il "Re" (Wang) della tradizione estremo-orientale (Tao-te-king,XXV)], concezione che può essere poi estesa a tutto l'insieme degli stati manifestati e che stabilisce l'analogia costitutiva della manifestazione universale e della sua modalità individuale umana...Vishwakarma, aspetto o funzione dell'"Uomo Universale" corrispondente al "Grande Architetto dell'Universo" delle iniziazioni occidentali o per usare il linguaggio dell'Ermetismo, del "macrocosmo" e del "microcosmo".
La concezione della coppia Purusha-Prakriti non ha rapporti con qualsiasi "dualismo" ed è totalmente differente dal dualismo "spirito-materia"...
Le parole "essenza" e "sostanza", nella loro più ampia accezione, sono forse, nelle lingue occidentali, quelle che meglio rendono l'idea della concezione di cui si tratta, concezione d'ordine molto più universale di quella di "spirito" e "materia"...
Il Vedanta è puramente metafisico, è essenzialmente la "dottrina della non-dualità" (adwaita-vada).
Tratto da "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" di R. Guénon

martedì 29 maggio 2018

Potenzialità e possibilità


Il "Sé" è essenzialmente incondizionato; è immutabile nella sua "permanente attualità", perciò non è affatto potenziale.
È bene avere cura di distinguere "potenzialità" e "possibilità": la prima indica l'attitudine per un certo sviluppo e presuppone una possibile "attualizzazione", può dunque riferirsi solamente al "divenire" o alla manifestazione; invece, le possibilità, considerate nello stato principiale e non-manifestato, che esclude ogni "divenire", non potrebbero affatto essere riguardate come potenziali.
Soltanto per l'individuo, le possibilità che l'oltrepassano appaiono potenziali, appunto perché, fin da quando si considera in modo "separativo", come se avesse in sé il suo proprio essere, ciò che può raggiungere è propriamente un riflesso (abhasa), e non queste possibilità stesse; ....queste possibilità restano sempre potenziali per l'individuo; finché si è tale, infatti, non le si può raggiungere e, quando esse sono realizzate, non vi è più veramente l'individualità...
È bene ormai porci di là dal punto di vista individuale, al quale, anche considerandolo illusorio, non disconosciamo la realtà di cui è suscettibile nel suo ordine; quand'anche noi consideriamo l'individuo, è sempre per scorgerlo essenzialmente dipendente dal Principio, unico fondamento di questa realtà, ed in quanto si integra, virtualmente o effettivamente, all'essere totale; metafisicamente, tutto deve in definitiva riferirsi al Principio, che è il "Sé".
Al punto di vista fisico, quello che risiede nel centro vitale è l'Etere; al punto di vista psichico, è l'"anima"vivente"; fin qui non oltrepassiamo il dominio della possibilità individuali; ma anche e soprattutto, al punto di vista metafisico, quel che risiede nel centro vitale è il "Sé" principiale ed incondizionato.
È dunque veramente lo "Spirito Universale" (Atma), che è in realtà Brahma stesso, il "Supremo Ordinatore"; così è pienamente giustificato di qualificare questo centro come Brahma-pura.
Ora Brahma, inteso in tal modo nell'uomo è chiamato Purusha, perché riposa o risiede nell'individualità integrale, non semplicemente nell'individualità ristretta alla sua modalità corporea....
"Bisogna ricercare il luogo (simbolizzante uno stato) da cui non è più possibile un ritorno (alla manifestazione), e rifugiarsi nel Purusha primordiale donde è venuto l'impulso originale (della manifestazione universale)... questo luogo, né il sole, né la luna, né il fuoco lo rischiara; là è il mio soggiorno supremo" [Bhagavad-Gita, XV, 4 e 6].
Si può scorgere una similitudine con la descrizione della "Gerusalemme Celeste" nell'Apocalisse, XXI, 23; "E questa città non ha bisogno di essere rischiarata dal sole né dalla luna, poiché l'illumina la gloria di Dio e l'Agnello e il suo luminare".
Gerusalemme Celeste e città di Brahma hanno una relazione che unisce l'"Agnello" del simbolismo cristiano all'Agni vedico...notiamo nello stesso riguardo che il veicolo di Agni è un ariete.
Purusha è rappresentato con una luce (jyotis), perché la luce simbolizza la Conoscenza, ed esso è la sorgente di ogni altra luce, che in fondo è il suo riflesso..
Nella luce di questa Conoscenza, tutte le cose sono in perfetta simultaneità, poi che, non può esservi che un "eterno presente"...
Tratto da "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" di R. Guénon

giovedì 24 maggio 2018

Il Sè, il cuore e il piccolo loto...


Il Sè non deve essere distinto da Atma, Atma è identificato a Brahma stesso: possiamo chiamare ciò l'"Identità Suprema", da un'espressione dell'esoterismo islamico la cui dottrina, malgrado le grandi differenze di forma, è in fondo la stessa di quella della tradizione indù.
La realizzazione di questa identità si opera per mezzo dello Yoga, vale a dire l'unione divina ed essenziale dell'essere col Principio Divino....il senso proprio della parola Yoga è infatti "unione"...questa realizzazione non deve essere considerata propriamente come una "effettuazione" o come "la produzione di un risultato non preesistente"...poiché l'unione di cui si tratta....esiste pur sempre potenzialmente o piuttosto virtualmente; si tratta, per l'essere individuale, di prendere effettivamente coscienza di ciò che è realmente e dall'eternità.
È detto che Brahma...è considerato come corrispondente analogicamente al più piccolo ventricolo (guha) del cuore (hridaya), ma non deve essere tuttavia confuso col cuore nel senso ordinario della parola, vale a dire con l'organo fisiologico che ha appunto questo nome, poiché è in realtà non solamente il centro dell'individualità corporea, ma dell'individualità integrale, suscettibile di un'estensione indefinita nel suo dominio...
Il cuore, considerato il centro della vita, lo è effettivamente dal punto di vista fisiologico, per la circolazione del sangue, al quale la vitalità stessa è essenzialmente legata in modo particolarissimo, come tutte le tradizioni lo riconoscono; ma è anche altresì considerato come tale, in un ordine superiore, ed in qualche modo simbolicamente, per l'Intelligenza universale nelle sue relazioni con l'individuo....
Quando si considera il cuore centro dell'individualità integrale....si tratta propriamente di una corrispondenza...perfettamente fondata..
"In questa dimora di Brahma (Brahma-pura), vi è un piccolo loto, una dimora nella quale vi è una piccola cavità (dahara), occupata dall'Etere (Aksasha); se si ricerca Ciò che risiede in questo luogo, Lo si conoscerà" [Chhandogya Upanishad, 8° Prapathaka, 1°Khanda, shruti 1].
In questo centro...non vi è soltanto l'elemento etereo, principio degli altri quattro elementi sensibili,... quello che si riferisce unicamente al mondo corporeo, nel quale questo elemento rappresenta infatti la parte del principio, ma (è) in un'accezione molto relativa, come questo stesso mondo è eminentemente relativo...
Come "appoggio" per questa trasposizione è designato l'Etere...il loto e la cavità di cui si tratta debbono essere anche rilevati simbolicamente, non dovendosi intendere letteralmente una tale "localizzazione", quando si oltrepassa il punto di vista dell'individualità corporea, poiché le altre modalità non sono più sottomesse alla condizione spaziale.
Non si tratta veramente neanche soltanto dell'"anima vivente" (jivatma), vale a dire della manifestazione particolare del "Sé" nella vita (jiva).... infatti, metafisicamente,  questa manifestazione non deve essere considerata separatamente dal suo principio, vale a dire dal "Sé"; se questo, nell'esistenza individuale, e dunque in modo illusorio, appare come jiva, esso è Atma nella realtà suprema.
"Questo Atma, che sta nel cuore, è più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d'orzo, più piccolo di un chicco di mostarda, più piccolo di un chicco di miglio; più piccolo del germe racchiuso in un chicco di miglio; questo Atma, che sta nel cuore, è anche più grande della terra (il dominio della manifestazione grossolana), più grande dell'atmosfera (il dominio della manifestazione sottile), più grande del cielo (il dominio della manifestazione informale), più grande di tutti questi mondi insieme (vale a dire oltre tutta la manifestazione, essendo l'incondizionato)"
[Chhandogya Upanishad,3° Prapathaka, 14° khanda, shruti 3]
Il Sé sta potenzialmente nell'individuo, finché non è realizzata l'"Unione"....
L'individuo che è nel Sè, e l'essere ne prende effettivamente coscienza quando l'"Unione" è realizzata; ma questa presa di coscienza implica la liberazione dalle limitazioni che costituiscono l'individualità come tale, e che, più generalmente, condizionano l'intera manifestazione.
Quando parliamo del Sé come in un certo modo nell'individuo, il nostro punto di vista è quello della manifestazione...l'individuo e l'intera manifestazione esistono soltanto per esso ed hanno realtà solo perché partecipano alla sua essenza, mentre esso oltrepassa immensamente l'intera manifestazione, essendo il Principio unico delle cose.
Tratto da "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" di R Guénon

martedì 22 maggio 2018

Il Sé considerato in rapporto ad un essere


Il "Sé" considerato in rapporto ad un essere... è propriamente la personalità; si potrebbe restringere l'uso di quest'ultimo termine al "Sé" come principio degli stati manifestati, nello stesso modo che la "Personalità Divina", Ishwara, è il principio della manifestazione universale; ma lo si può anche estendere analogicamente al "Sé" come principio di tutti gli stati dell'essere, manifestati o non-manifestati.
Questa personalità è una determinazione immediata, primordiale e non particolarizzata, del principio chiamato in sanscrito Atma o Paramatma e che possiamo designare, in mancanza di una parola che meglio si addica, come "Spirito Universale...
Atma penetra tutte le cose, che sono le sue modificazioni accidentali...ed è sempre "lo stesso", tanto attraverso la molteplicità indefinita dei gradi dell'Esistenza, intesa in senso universale, quanto di là dall'Esistenza stessa, vale a dire nella non-manifestazione principiale.
Il "Sé", anche per un essere qualsiasi, è identificato con l'Atma...tranne se lo si considera particolarmente e "distintamente", in rapporto ad un essere....in rapporto ad un certo stato definito di quest'essere, tale lo stato umano, ma soltanto finché lo si considera da questo punto di vista specializzato e limitato.
In tal caso il "Sé" non diventa effettivamente distinto da Atma, poiché non può essere "altro che se stesso"....
Dinnanzi al "Sé" tutti gli stati della manifestazione sono rigorosamente equivalenti e possono essere considerati similmente...
L'Universale sarà, non più solamente il non-manifestato, ma l'informale, comprendente nello stesso tempo il non-manifestato e gli stati di manifestazione sopra-individuali; quanto all'individuale, esso contiene tutti i gradi della manifestazione formale, vale a dire gli stati nei quali gli esseri sono rivestiti di forme, poiché il carattere speciale dell'individualità, che la costituisce essenzialmente come tale, è precisamente la presenza della forma fra le condizioni limitative che definiscono e determinano uno stato d'esistenza....
Lo "stato sottile" comprende, da una parte, le modalità extracorporee dell'essere umano, o di tutt'altro essere nello stesso stato di esistenza, ed anche, d'altra parte, tutti gli stati individuali altri che quello....
L'essere umano, considerato nella sua integralità, comporta un certo insieme di possibilità che costituiscono la sua modalità corporea o grossolana, nonché una moltitudine di altre possibilità che, prolungandosi in diversi sensi di là da questa, costituiscono le sue modalità sottili; ma tutte queste possibilità riunite non rappresentano tuttavia che solo ed uno stesso grado dell'Esistenza universale....
L'esistenza, vale a dire l'essere condizionato e manifestato, è contemporaneamente reale in un certo senso e illusoria in un altro...
L'Essere non è affatto il non-manifestato in sé, ma semplicemente il principio della manifestazione; e, poi, ciò che è al di là dell'Essere è molto più importante ancora, metafisicamente, dell'Essere stesso.
In altre parole, è Brahma, non Ishwara, che deve essere riconosciuto Principio Supremo; ciò è espressamente e prima di tutto dichiarato dai Brahma-sutra.
Tratto da "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" di R. Guénon

giovedì 17 maggio 2018

Il Sé


Il Sè è il principio stesso dell'essere...
Invece dei termini "Sé" ed "io" possiamo usare quelli di "personalità" ed "individualità"...tuttavia il "Sé" può essere anche qualche cosa in più della personalità.
...la personalità, intesa metafisicamente, niente ha in comune con quello che filosofi moderni chiamano la "personalità umana", che in realtà è l'individualità pura e semplice; del resto gli occidentali attribuiscono alla personalità quello che in verità è soltanto la parte superiore dell'individualità, o una semplice sua estensione...
Il "Sé" è il principio trascendente e permanente di cui l'essere manifestato, l'essere umano per esempio, non è che una modificazione transitoria e contingente, modificazione che non potrebbe d'altronde affatto alterate il principio..
Il "Sé" come tale, non è mai individualizzato, né può esserlo, poiché, dovendo sempre essere considerato nell'aspetto dall'eternità e dell'immutabilità, che sono attribuiti necessari dell'Essere puro, non è suscettibile di alcuna particolarizzazione...
Immutabile nella propria natura, sviluppa le possibilità indefinite che in sé comporta, per mezzo del passaggio relativo della potenza all'atto, attraverso un'indefinità di gradi, senza che la sua essenziale permanenza ne sia modificata...perché questo sviluppo è uno, propriamente parlando, solo considerandolo dal lato della manifestazione, fuori dalla quale non può essere questione di una qualsiasi successione, ma semplicemente di una perfetta simultaneità, di modo che anche quello che è virtuale sotto un certo rapporto non è meno realizzato nell'"eterno presente".
Quanto alla manifestazione, si può dire che il "Sé" sviluppa le sue possibilità in tutte le modalità di realizzazione, in moltitudine indefinita, che sono, per l'essere integrale, altrettanti stati differenti, stati di cui uno solo, sottoposto a condizioni d'esistenza.....costituisce la....particolare determinazione di quest'essere che è l'individualità umana.
Il "Sé" è così il principio per il quale esistono, ognuno nel suo proprio dominio, tutti gli stati dell'essere;...gli stati manifestati...come lo stato umano, o sopra-individuali, ma anche... lo stato non-manifestato, comprendente le possibilità che non sono suscettibili di alcuna manifestazione...
Tratto da "L'uomo e il suo divenire secondo il Vedanta" di R.Guénon

martedì 15 maggio 2018

Normalità e anormalità


Sotto il Regno delle Quantità, come ha definito la nostra epoca Guénon, ordinario, regolare, equilibrato, centrato, prevedibile, sono diventati norme ideali stabilendo i parametri per l'anima.
"Anormale" è contemporaneamente definizione statistica e condanna morale.
Ciò che è singolare diventa sbagliato; ciò che è irregolare e insolito diventa biasimevole....
Assistiamo all'affermazione del Regno della Quantità nel regno dell'uomo comune, all'infiltrazione della statistica nelle norme ideali....
(Se) la nostra visione dell'anima diventa normalizzata, (allora non siamo distinguibili) dalle api e dalle formiche: sociale, pratica, naturale.
E allora si che saremo ben difesi contro gli archetipi della nostra vita...e allora si che ci saremo modellati su norme prive di dimensioni archetipiche; l'uomo misuratore di tutte le cose, osservatore esterno, esterno alla propria sofferenza....un uomo che vive una vita priva di qualunque intrinseco senso di necessità..
Per Finicio la mediana...rappresenta la posizione dell'uomo pratico, l'uomo d'azione, la cui preoccupazione è la moralità e la cui posizione è quella dell'osservatore.
Tali uomini "se ne stanno fermi nei piaceri del vedere e delle relazioni sociali soltanto".
La via mediana evita la discesa nel contatto voluttuoso, sia l'ascesa all'astrazione contemplativa.
Limitarsi a osservare, a porre agli eventi l'interrogativo morale, a trasformare i moti dell'anima in azioni pratiche sono tutti atteggiamenti che attengono alla vita mediana, che è orizzontale e serve a difendersi dal potere demonico dell'amore, il quale ci attira sempre verticalmente, verso il basso e verso l'alto.
La vita mediana dell'uomo sociale-morale-pratico è la difesa della normalità contro l'irresistibile coinvolgimento delle altre due strade.
Le grandi passioni, le grandi verità, le grandi immagini non sono vie di mezzo...
Invasamenti, errori, ferite,...la verità metaforica è qualcosa di più grande della vita, di diverso della vita, pur mentre ci mostra i modelli ideali della vita.
Quell'idea stessa è in parte espressa attraverso enormità patologizzante.
Queste cose non sono che l'altra faccia della normalità...
la ragione da sola non governa il mondo né fissa le sue regole.
Cercare nella vita le norme, norme senza enormità, è ricusare la causa errante di  Anankē.
Norme del genere sono illusioni, false credenze, che non tengono conto della natura delle cose nella sua interezza.
Le norme senza patologizzazioni nelle loro immagini attuano un processo di normalizzazione sulla nostra visione psicologica, fungendo da idealizzazioni repressive, che ci fanno perdere il contatto con le nostre individuali anormalità...
Tratto da "La vana fuga dagli dei" di J. Hillman

giovedì 10 maggio 2018

Il potere delle parole


Pedro Laín Entralgo nel suo libro "la terapia della parola nell'antichità classica", dice : "Le parole, parole vigorose e persuasive: esse sono la chiave delle relazioni tra gli uomini..."
Toshihiko Izutsu scrisse: il linguaggio è in primo luogo un potere magico, tale potere è insito "nella sua stessa costituzione semantica" e determina l'organizzazione grammaticale, sintattica e semantica di una lingua: è la voce che attualizza in parole "l'alito sacro"; e ha la facoltà di risanare perché è eo ipso e a priori sacro.
Il discorso mette a nudo la natura più intima dell'uomo, disse Sofocle (Edipo a Coloni, v.1188).
La dea Peito, che è capace di modificare la realtà, "non ha altro tempio che la parola" disse Euripide.
Il discorso giusto è anche un modo di restaurare "il Tempio".
La retorica, come io la intendo, è una devotio, un tentativo di restituire la parola agli Dei e di dare forma appropriata alla magia divina, all'alito divino che è nel linguaggio...
La libertà di parola è dunque un principio psicologico fondamentale, un'esigenza dell'anima, che attraverso il linguaggio trova la libertà, entro i confini della necessità.
Il discorso scaturisce dalle medesime più segrete profondità, dove la necessità tiene schiava l'anima creando le nostre patologizzazioni.
Il discorso esprime l'anima d'aria delle pherenes.
Il discorso umano, non è mai completamente il logos di Nous. È sempre anche balzano, spontaneo, disgressivo, come la Causa Errante.
La parola non può por termine all'arcaico e feroce dominio di Anankē....
Possiamo offrire ad Anankē modalità espressive, modi di darsi un'immagine con le parole, persuadendola a uscire dal suo implacabile silenzio: una terapia archetipica, una terapia dell'archetipo stesso.
Con le parole, noi possiamo modificare la realtà;  possiamo far esistere e far cessare di esistere; possiamo plasmare e modificare la struttura e l'essenza stessa del reale.
L'arte della parola diventa modalità primaria per far muovere la realtà.
Tratto da "La vana fuga dagli dei" di J. Hillman

martedì 8 maggio 2018

L'immobilità di Necessità e il potere delle parole


Gli eventi reali della nostra anima, quello che possiedono vera realtà, sono quelli in cui non c'è movimento.
È nell'immobilitá, nelle immutabili fissazioni del nostro universo psichico, là dove siamo costretti e immobilizzati, che opera la necessità.
"E la necessità è considerata qualcosa che non è suscettibile di persuasione: e questo giustamente, perché essa è contraria al movimento che si accorda con lo scopo e col ragionamento....ciò che impedisce e ha la tendenza a ostacolare, che è contrario allo scopo"
Aristotele, Metafisica (1015 a).
"Contrario allo scopo"...eventi necessari come eventi arbitrari e contro i nostri scopi...Li viviamo come intralci, impedimenti senza motivo....
Un fastidioso impedimento da eliminare.
La necessità è dolorosa, dice Aristotele,  "perché ogni cosa necessaria è sempre fastidiosa"...
Gli Dei stessi, poiché sono necessari ci tormentano senza sosta.
La loro fastidiosità è inerente alla loro stessa necessità...e noi dobbiamo servirli e sentire il loro giogo...
La necessità opera alla stregua di un'inesorabile causa interna, di una virtù o proprietà inerente all'evento stesso.
"La necessità è quello per cui una cosa non può essere altrimenti"; è quello "senza il quale" una cosa non può esistere.
Aristotele richiama l'attenzione sul fatto che la necessità può operare come funzione della natura di una cosa, anziché essere soltanto una causa esterna, meccanica.
La necessità attiene allo stato, alla condizione in sé, alla natura stessa di un'immagine...un evento è indotto a forza non soltanto dall'esterno, ma anche dall'interno, dalla propria immagine....
I greci indagavano su ciò che definivano "la natura delle cose" e la domanda che si ponevano era: "che cosa in x fa sì che esso si comporti come si comporta?".
Su questo punto la teoria e la terapia di Jung sono tradizionali e greche.
La domanda che si pongono è: "che cosa nell'intima natura del mio disturbo e della mia afflizione è necessario e autogeno?"..
Quando l'angoscia ci invade o ci assale, noi non possiamo fare altro che accoglierla come un vuoto (chaos) aperto nella continuità della ragione....
(L'angoscia) Si fa strada ineluttabilmente finché non ne viene ammessa la necessità...
Non è possibile alcuna teoria razionale dell'angoscia.
Essa non ha altra ragione di essere che la sua intrinseca necessità. Le basi dell'angoscia risiedono nella necessità stessa...
Quando eludi la necessità, soffri nella carne, e peggio, smarrisci il corpo della tua immaginazione...
Più oltre andiamo con l'interiorizzazione, più le nostre necessità psichiche perdono corpo.
Allora mete come la scarica emotiva, la liberazione, la trasformazione impallidiscono, perché siamo indotti ad accudire con intelligenza e a comprendere immaginativamente le necessità che, attraverso il suo corpo psichico, le sue immagini più intime, le mitiche profondità che si celano l'anima nelle sue fantasie, governano l'anima...
La parola chiave per lo scioglimento dell'intera vicenda è peitho; la forza di persuasione, il discorso che convince, il fascino delle parole...
Il fondamentale conflitto tra la ragione che è dentro di noi e le forze del destino, che non sono capaci di prestare ascolto a quella ragione, che non possono essere raggiunte dall'intelletto né essere smosse dal loro corso obbligato...
Le parole hanno la facoltà di persuadere gli elementi più tenebrosi a partecipare, a darsi uno spazio.
Dobbiamo parlare e lasciarci parlare.
Tratto da "La vana fuga dagli dei" di J. Hillman

giovedì 3 maggio 2018

Ananke-Necessità il Tempo e le immagini

La dea Anankē ha occupato nell'immaginazione dei creatori di cosmologia un posto centrale.
Per Parmenide (frr. 8 e 10) Anankē governava l'Essere; lo stesso vale per gli atomisti, sia pure in maniera diversa.
Nel pensiero cosiddetto pitagorico e orfico Anankē era accoppiata con un grande serpente, Chronos, formando una sorta di spira che stringeva tutt'attorno l'universo.
Tempo e Necessità impongono un limite a tutte le nostre possibilità di espansione all'esterno..insieme formano una sizigia, una coppia archetipica, il cui nesso è intrinseco, sicché dove è l'uno è anche l'altra.
Quando siamo incalzati dalla necessità, noi esperiamo questa coercizione in termini temporali; ne sono un esempio i disturbi cronici, il ripetuto ripresentarsi dei medesimi complessi che ci rinserrano e impediscono...essere liberi dal tempo è essere liberi dalla necessità.
Avere tempo libero costella una fantasia di libertà dalla necessità...
Lo stato di essere afferrati o costretti dalla necessità viene espresso in modo concreto come un essere nelle mani di una potenza estranea.
Il pensiero orfico ha di fatto identificato direttamente Anankē con Persefone, la Regina del Mondo infero.
Il suo nome è stato tradotto come "portatrice di distruzione", sicché il processo di patologizzazione può essere inteso come un modo di muovere la psiche verso il Mondo infero.
La necessità s'impadronisce di noi attraverso le immagini.
Ogni immagine possiede una sua intrinseca necessità, per cui la forma che l'immagine assume "non può essere altra che quella", sia che dipingiamo, moduliamo un verso o facciamo un sogno....
Appunto perché è inseparabile dall'immagine diciamo che la forza dell'immagine è senza immagini. Cioè, la necessità non ha un'immagine perché è all'opera in ogni e qualsiasi immagine....
L'immaginazione non ci libera, ma anzi ci cattura e ci soggioga ai suoi limiti; noi siamo gli operai dei suoi Re e Regine.
Siamo legati con vincoli di sangue a ciò che Jung chiama le nostre "immagini istintuali"....
Le immagini sono primordiali, archetipiche, realtà ultime in se stesse, l'unica realtà immediata di cui la psiche ha esperienza.
Come tali, le immagini sono le presenze della necessità che hanno preso forma....
È alle immagini delle nostre fantasie che dobbiamo volgerci, dentro le quali sta celata la necessità.
Implica inoltre che bisogna stare attenti a non essere troppo "attivi" con le nostre immagini, manipolandole come facciamo per riscattare i nostri problemi.
Perché in tal caso l'immaginazione attiva diventerebbe il tentativo di eludere la necessità dell'immagine e i suoi diritti sopra l'anima.
Benché Necessità sia detta essere senza immagini, tuttavia a questa grande Dea, che è anche al tempo stesso un principio metafisico, attiene un gruppo di metafore particolari, che ci dicono come essa opera.
...essa rimanda ai limiti che vincolano e circoscrivono, vincoli e legami, l'anello, la corda, il cappio, il collare, il nodo, il fuso, la ghirlanda, le briglie e il giogo sono tutti modi per dire il dominio di anankē.
E così pure il chiodo.
Il chiodo conficcato in un personaggio (come Prometeo, come Cristo)... sta ad indicare l'ineludibile imperativo della necessità...
Vale la pena fermarsi un attimo sulla ghirlanda: per esempio la corona di alloro del laureato... è un riconoscimento che implica anche, però, un obbligo vincolante, la necessità di essere quello per cui si è stati incoronati...
Il riconoscimento vincola l'anima a uno specifico destino...
Tratto da "La vana fuga dagli dei" di J. Hillman
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