mercoledì 31 luglio 2019

Colonna vertebrale


Nell'oscurità del lungo deserto, che è il nostro transito terrestre, la colonna vertebrale è la guida luminosa che sa vedere.
Essa è lo strumento di colui che sa operare.
Essa è il cammino di colui che può salire.
In India, la spina dorsale è chiamata brahmadanda o "bastone di Brahamā".
Lungo questo bastone si compie la risalita lenta di Kundalinī, il serpente di fuoco che assomiglia molto al serpente di bronzo che Mosè innalza nel deserto (Numeri 21, 8-9), che guarisce ogni piaga, dona la vita, e con il quale Cristo s'identifica dicendo: "E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo" (Giovanni 3, 14).
Nei misteri cristiani il Figlio di Dio discende, il Figlio dell'uomo s'innalza.
Questa realtà è vissuta nel cristianesimo sul piano della Persona divina che si lascia prendere nella storia per elevare l' uomo alla sua deificazione.
Nell'induismo è vissuta sul piano dello spirito che si lascia catturare nel corpo per portarlo ad aprire lungo la colonna vertebrale i chakra o centri di forze.
Queste forze liberate, si riversano nell'essere al fine di portarlo per gradi successivi a partecipare pienamente dell'energia divina.
I sette principali chakra si ergono dalla base dell colonna vertebrale (o chakra fondamentale) alla sommità del capo (o chakra coronale): ritroviamo le sefirot "fondamento" e "corona".
Tra loro, si conta il chakra ombelicale, il chakra splenico, quello del cuore, quello della laringe e il chakra frontale.
Ciò che nei miti è scala, colonna o albero, ciò che nella tradizione cinese è il Tao, la via, via di riunificazione dei contrari, nella tradizione cristiana è la persona del Cristo che dice di sé: "Io sono la via, la verità e la vita" (Giovanni 14, 6).
Ciò che i cinesi chiamano yin e yang, che gli ebrei o altre religioni chiamano energie-principi, sono, nella suddetta tradizione, persone viventi che incarnano la dualità.
Nei Vangeli infatti vediamo formarsi un affresco di personaggi diversi che a due a due stanno intorno al Cristo...
"La vita è in esso, a livello della colonna di mezzo".
Simbolicamente dunque, la colonna vertebrale è il cammino del nostro incontro con noi stessi, nella nostra potenzialità deificante.
La colonna di mezzo, è "luogo del mi, luogo dell'incontro del mi e del ma', perché luogo dell'incontro e del connubio della destra e della sinistra, del maschile e del femminile in noi, del "compiuto" e del "non ancora realizzato".
Per questa ragione la colonna vertebrale, già radicata al primo stadio (infanzia, AVERE), quando l'uomo comincia il processo di discernimento e non si costruisce veramente se non  al secondo stadio (età adulta ESSERE) con la verticalizzazione, nell'erezione della colonna dorsale.
La colonna vertebrale è il luogo privilegiato dove si iscrivono tutte le nostre liberazione, i successivi compimenti, ma anche i nostri blocchi, le paure, il nostro rifiuto, rifiuto di evolvere, rifiuto di sposare, rifiuto di amare... e tutte le tensioni, tutte le sofferenze che essi generano.
Tratto da "Il simbolismo del corpo umano" di Annick de Souzenelle

mercoledì 24 luglio 2019

Capovolgimento delle luci


Tra la coscienza e la sovra-coscienza si situa ciò che la tradizione ebraica chiama il "capovolgimento delle luci".
Si tratta di un rovesciamento misterioso secondo il quale l'uomo, che fin qui era specchio di Dio, attraversa lo specchio.
Il suo braccio destro di viene il braccio sinistro di Dio, quello sinistro il braccio destro di Dio.
L'uomo che entra del Divino è "capovolto" e l'interiore diviene esteriore; "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia" (1Corinzi 13,12).
Questo capovolgimento si legge anche al livello del corpo umano : l'emisfero cerebrale destro comanda il lato sinistro del corpo, l'emisfero sinistro lato destro.
L'immagine più "mediata" di questo capovolgimento archetipale ci è data tramite i simboli; se la tradizione ebraica ci trasmette il "capovolgimento delle luci", la tradizione cristiana lo usa anche nella liturgia pontificale, durante la quale il vescovo va verso il popolo regale, il laós, (parola greca da cui deriva il termine laico), incrociando i candelabri.
Questo capovolgimento si effettua all'altezza delle "porte regali" (balausta presso i cattolici romani), le quali nella planimetria tradizionale del tempio cristiano, stanno, in rispondenza con lo schema dell'albero, all'altezza e "la porta degli déi".
Nella tradizione egiziana, il mista tiene la croce ansata nella mano destra.
Sugli affreschi che possiamo vedere al museo del Louvre, per esempio, e che rappresentano le scene che si svolgono dopo la morte nel soggiorno degli eletti, costoro tengono questa stessa croce ansata di vita nella mano sinistra.
Una sorta di operazione-specchio si è compiuta, ma colui che ha varcato la "porta degli dèi" è realmente all'altra parte dello specchio.
Questa nozione di capovolgimento, inafferrabile intellettualmente, non può essere accostata che attraverso l'immagine di un guanto che viene rovesciato; il guanto destro allora può coprire solo la mano sinistra.
Ma l'interno è divenuto esterno...
Questo rovesciamento si accompagna con la traversata delle gerarchie angeliche, mondi invisibili, di cui a livello corporeo, sono simbolo le vertebre cervicali.
Esse conducono al mistero ultimo.
Tratto da "Il simbolismo del corpo umano" di Annick de Souzenelle

venerdì 19 luglio 2019

Le due dimensioni dell'essere umano


In ognuno di noi ci sono due dimensioni una ontologica, l'altra legata alla "tunica di pelle", esse coesistono e si sovrappongono.
I cinesi confermano questa visione: secondo la loro tradizione, il corpo energetico è, nella realtà non manifesta, maschile a destra e femminile a sinistra; nella realtà manifesta, femminile a destra e maschile a sinistra.
Chiamano il non-manifesto ontologico il "cielo anteriore" e il manifesto biologico immediato il "cielo posteriore".
Queste due dimensioni saranno spesso espresse nei miti con la gemellarità.
Le coppie Caino-Abele o Giacobbe-Esaù ne sono dei simboli viventi.
Caino e Giacobbe sono omologhi nell'ontologia dell'uomo.
L'uno, Qain ק'ז è "nido" (qen קז) dello yod, l'altro, Ya'aqov עקב', è "tallone" ('aqov עקב) dello yod.
Abele e Esaù  sono omologhi dell'uomo in "tunica di pelle" natura aggiunta.
Sono entrambi identificati con il mondo animale: Abele, guardiano di greggi; Esaù, "uomo rosso" villoso, amante della caccia etc.
Ma per ciascuna coppia, i due uomini sono fratelli e ormai la natura profonda, portatrice della deificazione nello yod, non potrà compiersi se non assumendo totalmente la tunica animale.
ll dramma di Caino sarà uccidere Abele. La grandezza di Giacobbe sarà di accogliere Esaù, del quale riprenderà le energie (il diritto della primogenitura) solo quando sarà capace di realizzarle ontologicamente per mettere al mondo il Messia.
In altre parole, saremo più Abele-Esaù durante la prima parte della nostra vita, nel primo stadio della crescita del nostro albero, stadio dell'AVERE.
A questo stadio, totalmente identificati con le nostre energie -il mondo animale- non sapremo discernere la destra dalla sinistra.
Diventare uomini, passare "la porta degli uomini", vuol dire cominciare a discernere la destra dalla sinistra, e ancora di più: la destra ontologica maschile dalla destra esistenziale (fuori dall'essere) femminile, la sinistra ontologica femminile dalla sinistra esistenziale maschile.
Significa allora entrare nel vero senso della "sinistra" (in ebraico smol שםאל che può essere letto: שם'אל šem-El, NOME di Elohim), perché la sinistra femminile contiene lo yod, nome femminile in cui Elohim si nasconde, si fa germe nel cuore alla sua creazione.
Ma è vero che il suo avvicinarsi è terribile, come indica la sinistra latina, compresa nel suo senso spirituale.
Questo lato corrisponde alla colonna di sinistra del tempio di Salomone, colonna chiamata boaz בעז, "nella ב la forza עז".
La destra è yamin מ'ך'; essa raggiunge la colonna di destra del tempio di Salomone chiamata yakhin ב'ר'; queste due parole portano il simbolo solare del vino (yayin ך'').
L'opera maschile è sorgente d'ebrezza.
Divenire uomini col dire diventare Giacobbe-Israele, è cominciare costruire la colonna vertebrale di cui Giacobbe fa esperienza nel sogno della scala.

lunedì 15 luglio 2019

Il mondo interno e il mondo esterno all'uomo


"Mondo interiore" e "mondo esteriore" sono distinti tra loro e non separati. L'uomo nel cosmo; Il cosmo nell'uomo. L'uomo nel cosmo implica immediatamente la vita relazionale: sensazione che l'uomo prova nel suo corpo e nella sua psiche, di se stesso e degli altri, degli avvenimenti e delle cose, e quindi comunicazione con se stesso e con gli altri.
Da questa relazione discende la vita del pensiero che si manifesta per via emozionale o intellettuale.
Non chiamo qui mondo interiore questo mondo del pensiero, per quanto segreto possa essere.
Il pensiero è ancora condizionato dall'esterno delle cose.
Al limite, queste "cose" si propongono in tutte le loro dimensioni, fino a quella che raggiunge il cuore stesso, il nocciolo, lo spirito.
Esse allora non entrano più in relazione ma in comunicazione, in comunione con il "nocciolo" dell'essere che si è reso capace di viverle; ciò costituisce il mondo interiore dell'uomo.
Il cuore del cosmo, nell'uomo, trova la sua immagine, la sua risonanza.
La vita del pensiero animata da questa ricezione interna fa parte del mondo interiore.
Vediamo come il pensiero appartenga ai due piani, esteriore o interiore, dell'uomo a seconda che si nutra di mondi psicofisici immediati o del mondo spirituale mediato.
Nel primo caso, il mondo spirituale non affiora alla coscienza, l'essere spirituale dorme, ed il fenomeno d'identificazione muove dal corpo e dalla psiche verso il mondo esteriore che li nutre.
Nel secondo caso il mondo spirituale è vissuto, l'uomo ne nutre insieme l'anima psichica, che si spiritualizza, e il corpo fisico che si identifica a poco a poco con la sostanza stessa del suo nutrimento.
Secondo il grado di partecipazione dell'uomo al suo essere divino, il corpo irradia, a differenti gradazioni, il mondo dell'alto.
In tale prospettiva, il corpo umano sembra veramente essere ciò che di più concreto ci è dato per riflettere il mondo divino.
Il corpo umano deve corrispondere al "corpo" divino.
La sua costruzione deve obbedire allo schema ontologico delle strutture divine deve essere adeguata al disegno del tetragramma, al disegno dell' albero delle sephiroth.
L'albero è lo schema della costruzione del mondo e che, a sua immagine, il corpo umano è lo schema della costruzione del nostro divenire.
Il corpo è ad un tempo lo strumento, il laboratorio e l'opera per raggiungere la nostra vera statura che è divina.
Tratto da "Il simbolismo del corpo" di Annick de Souzenelle

mercoledì 10 luglio 2019

Il monoteismo come credenza primordiale




Gli avvenimenti narrati nel primo capitolo del libro del Genesi sembrano essersi svolti nelle vicinanze dell'Eufrate.
Il paese circostante si chiama la terra di Scinear (Sennaar), terra dei Caldei o Mesopotamia.
Essa porta il nome di Babilonia e le si dà attualmente quello di Stato dell'Irak.
Sotto la superficie del suolo, alcuni scavi hanno rivelato le vestigia di una vasta civiltà che risale a più di cinquemila anni prima dell'era cristiana.
Queste testimonianze d'un'età completamente leggendaria per gli scrittori classici, sono state lasciate da due grandi razze: i Sumeri e i Semiti.
Gli ultimi presero il loro nome da Sem, il primo figlio di Noè, e la razza ebraica da cui venne Abramo fu un ramo di questo popolo.
Ciò che esce dalla penombra degli attuali studi storici è il fatto che le tavolette d'argilla in caratteri cuneiformi attestano la veridicità dei primi capitoli del Genesi.
Sotto nomi diversi e forse per mezzo di alte e forme teologiche, si insegnava ai bambini del tempo di Abramo, come si fa a quelli d'oggi, la storia della creazione, della tentazione, della morte di Abele, dei Patriarchi prima del diluvio e del diluvio stesso.
Ciò che in primo tempo ci colpisce, è che il monoteismo (credere in un Dio supremo) precedette il politeismo o la fede in più dei.
Tale è, d'altronde, la conclusione profonda cui è giunto il dott. Langdon, professore di assirologia a Oxford e una delle maggiori autorità in letteratura cuneiforme e in tutto ciò che concerne il lontano periodo della civiltà cui corrisponde questa letteratura...
In Semitic Mythology il dott. Langdon scrive:
"..Il monoteismo precedette il politeismo e la credenza in spiriti buoni e malvagi.
La prova che io porto e le ragioni che fornisco in favore di una tale conclusione, sì contraria ai punti di vista accettati e dunque divulgati, sono state stabilite con la massima cura e tenendo conto degli argomenti della critica.
Io affermo, con la più profonda convinzione, che la mia conclusione è dovuta allo studio e non al risultato di una ipotesi temeraria..
A mio avviso, la storia della più antica religione (tradizione) degli uomini, rivela un declino rapido del monoteismo e l'espandersi della credenza negli spiriti del male.
Nel senso più assoluto, è propriamente, la storia della caduta dell'uomo"
Questo giudizio è il risultato di una studio profondo della letteratura mesopotamica.
Già nel XIX sec sir Peter Le Page Renouf, il traduttore dell'antico Libro dei Morti scriveva:
"M. De Rouge dichiara che a datare il periodo storico, e forse anche prima, il monoteismo puro passò attraverso una fase di sabeismo... tuttavia, più di 5000 anni fa, nella Valle del Nilo, l'inno religioso cominciava dal riconoscimento dell'Unità di Dio e dall'immortalità dell'anima..
Questa credenza nella Unità del Dio Supremo e nei suoi attributi in quanto creatore e legislatore supremo, era incastonata come un diamante indistruttibile nel centro delle sovrastrutture mitologiche accumulate in seguito nel corso dei secoli"
Anche gli annali cinesi forniscono la testimonianza di un monoteismo originale.
E le indicazioni che si trovano presso gli altri popoli confermano questa testimonianza.
Il grande tragico greco, Eschilo, si esprime in questi termini:
"Zeus è l'etere, Zeus è la terra, Zeus è il cielo, Zeus è l'universo e ciò che è al di là dell'Universo".
Quando si nota anche che c'è identità tra Zeû Pater e il Dyaus-Pitar dell'antica India,  lo Jupiter dell'antica Roma e il Thor dell'antica Scandinavia, la deduzione che s'impone è che questi diversi popoli ebbero tutti, in una certa epoca, lo stesso "Padre Celeste", la stessa credenza monoteistica, che degenerò in seguito in politeismo, come avvenne in Mesopotamia, in Egitto e in Cina.
Anche il prof Schmidt di Vienna nel suo Origine e sviluppo della Religione: fatti e teorie... ha tratto le sue conclusioni da testimonianze che gli sono state fornite da tutte le parti del mondo.
Esse attestano l'esistenza tra i popoli primitivi di un originario monoteismo e di una credenza universale in una vita futura.
(Il libro del dott Langdon e quello del prof Schmidt hanno conclusioni simili che derivano da studi diversi, il primo dall'archeologia e il secondo dall'antropologia e la scienza delle religioni comparate)
Tratto da "La Bibbia ha detto il vero" di Charles Marston"
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