martedì 29 ottobre 2019

I doppi personaggi che accompagnano la figura di Cristo

I due Giuda
Osserviamo anzitutto i due Giuda, il cui nome ebraico Yehuda הרדה' è quello divino, il tetragramma, cui è stata aggiunta la lettera ד dalet.
Dalet, la "porta", corrisponde al numero 4, simbolo dell'arresto, qui in modo del tutto particolare "porta" dell'Incarnazione.
Questo nome Giuda, più di tutti stupendo, significa veramente incarnazione di הרה'.
(Altro significato è;  הרה' si inscrive nella storia).
Nato dalla tribù di Giuda, quarto di dodici figli d'Israele, morto per mano di Guida, ultimo dei dodici apostoli, Cristo, tra queste due "porte" di nascita e di morte, è la vita: la vita trascende la storia è vi si incarna.

I due Giuseppe
Andiamo verso i due Giuseppe: da una parte, Giuseppe, sposo della Vergine, veglia sul ventre materno, grembo della nascita di Dio fatto uomo; dall'altra, Giuseppe d'Arimatea prende il corpo del Cristo morto, lo depone nella tomba e veglia su questo grembo di morte che si rivela essere matrice di resurrezione, di rinascita, dell'uomo che diviene Dio.
Tra loro, Cristo, Dio e uomo, è in perfetta unità del cielo e terra, il loro giusto rapporto.
Ventre materno e tomba sono due "limiti" - sof םזף in ebraico.
Il nome di Giuseppe, Yossef זםף' (yod che si fa limite) è quello del verbo yassof "aumentare": non ci sarà alcuna crescita senza accettare di farsi germe e di lasciarsi catturare per il tempo necessario dentro i limiti di una struttura.

I Ladroni
Ai due lati della croce, simbolo dell'albero di vita, sono erette le croci dei due ladroni: tra due errori si erge la verità.
Uno dei due ladroni si identifica con la misericordia divina, l'altro con il rigore.

Maria e Giovanni
(Io avrei messo anche Maria e Maria Maddalena come archetipi della madre e "sposa" di Cristo, Binah e Malkhut, la radice e il frutto...)
Ai piedi della croce sono Maria e Giovanni, archetipi del femminile e del maschile. Sulla croce è Colui che non c'è "né uomo né donna" (Galati 3, 28), perché in questa morte estrema egli ha riconquistato l'umanità.

Mosè ed Elia
Attorno al Cristo trasfigurato sul monte Tabor, appaiono Mosè ed Elia.
Tra il rigore della legge ed il fuoco del profetismo, Cristo è la tradizione vivente.

I due Giovanni
Giovanni il battista e Giovanni l'evangelista.
Nell'antichità tempo storico ben anteriore al cristianesimo, era venerato il dio Giano.
Rappresentato sottoforma di un'unica testa con due volti, uno da vecchio e l'altro da giovane, era festeggiato ai due solstizi dell'anno.
Questo Giano bifronte simboleggiava il tempo: il passato con il viso di vecchio, l'avvenire con quello di un giovane.
Il solo viso che non era e non poteva essere rappresentato era quello del presente, l'inafferrabile, l'immateriale, l'atemporale.
Nella persona di Cristo, l'inafferrabile si lascia cogliere, l'immateriale s'incarna, il presente si fa realtà, l'eterno si rende storico, l'immortale muore e resuscita per reintrodurre l'uomo nella sua dimensione divina.
Circondato da questi due Giovanni, il battista, "l'uomo vecchio", l'uomo in "tunica di pelle" (è vestito di peli di cammello) e Giovanni l'evangelista, il divenire, del quale il Maestro parla così misteriosamente come a significare che sia già compiuto (Giovanni 21, 22-23), Cristo è "l'istante".
...legato per essenza all'eternità, il presente è portatore d'assoluto.

Giuda e Giovanni
La sera della santa cena, quando il Cristo indica chi lo tradirà, Giovanni il prediletto ha reclinato la testa sul petto di colui che andrà a morte per amore.
Giuda e Giovanni sono l'ombra e la luce.
Essi eseguono gli ordini del Padre.
Sono i due lati del cuore: Giuda cuore destro-ombra; Giovanni cuore sinistro-luce.

Tratto da "Il simbolismo del corpo umano" di Annick de Souzenelle

venerdì 25 ottobre 2019

Il simbolismo delle mani


Tutto ciò che può essere oggetto della nostra meditazione è a portata di mano, a condizione che la mano prolunghi il nostro cuore, tif'eret, informato da keter.
Il verbo ebraico yada' דע', "conoscere",  è costruito sulla radice yad - la mano - cui si aggiunge la lettera 'ayin ע che vuol dire "occhio".
Potremmo dire che la mano è dotata della visione, e l'occhio di una certa qualità del toccare.
Visione e toccare conducono alla conoscenza che libera.
In questa prospettiva, l'iconografia cristiana, che non rappresenta mai la persona del Padre della rivelazione trinitaria, poiché è l'inconoscibile, lo rappresenta comunque attraverso una mano;  in quanto l'Inconoscibile si fa conoscere.
L'iconografia Cristiana rappresenta anche il Cristo in gloria con mani smisuratamente lunghe (il Cristo della basilica di Autun, per esempio).
Intende significare con ciò l'uomo che conosce.
La mano dell'uomo in tanto conosce in quanto è icona di quella del Padre e ne riceve le energie.
La tradizione cristiana, sulla scia di quella ebraica (salmi), parla delle due mani del Padre che agiscono nel mondo: - una quella del Figlio Verbo che struttura; - l'altra, quella dello Spirito Santo che vivifica.
Ad immagine di queste, le due mani dell'uomo conoscente strutturano e vivificano.
Le mani strutturano, plasmano, modellano, ritmano e quindi danno vita a questi differenti piani. Una non è nulla senza l'altra.
La mano dell'"uomo che aveva la mano inaridita" (Luca 6,6), che Cristo guarisce nel giorno di sábbat, è quella destra, mostrando così che il rigore della legge, senza la vita, è sterile.
Con l'imposizione delle mani e dato ogni potere al consacrato, all'unto, costituito secondo i rituali propri alle differenti iniziazioni: quella del vescovo, del prete, del cavaliere, del re.
Con l'imposizione delle mani la vita risorge.
Il medico, quando era anche sacerdote, lo sapeva.
Il numero 10 legato allo yod, che è yad (la mano), simbolizza l'unità che si ritiene vissuta a livello della testa da parte dell'uomo.
Le due mani giunte ricompongono con le loro dieci dita questa unità e ciascuna delle mani è lo strumento che opera nella conoscenza, che implica la conquista di tale unità, e nella potenza che essa conferisce.
Per questo motivo lo scettro è spesso sormontato da una mano, al posto della testa.
I due emisferi cerebrali sono inseparabili dalle mani - come inseparabili dalla loro sono i due polmoni che esse prolungano
Conoscere דע' può essere solo cerebrale, allora non è più amore.
Se la conoscenza e anche amore, le mani sono soffio creatore!
Attraverso le cinque dita la mano è collegata a precisi organi del corpo.
- il pollice (dito di Venere) è legato alla testa. I romani, che abbassavano il pollice in segno di condanna a morte, lo sapevano.
-  l'indice (dito di Giove) è legato alla cistifellea.
- il medio (dito di Saturno) è legato alla milza-pancreas.
- l'anulare (dito del Sole) è legato al fegato.
- il mignolo (dito di Mercurio) è legato al cuore, come conferma l'inconscio collettivo che emerge dalle filastrocche: "il dito mignolo gli racconta tutto"
Ogni dito ha il suo segreto e la sua potenza, tutti i gesti della mano delle dita che gli yogi e le danzatrici sacre compiono, muovono così delle energie che mettono l'uomo in una relazione con l'uno con l'altro aspetto della sua potenzialità divina.
Lo yoga delle dita in India è chiamata mudrā - ogni mudrā è significativo -; ogni movimento della mani o delle due mani giunte, è carico di potenza.
Doveva esistere uno yoga occidentale, come ci rivela in particolare l'opera del  qabbalista Avraham Abulafia.
In questa prospettiva la posizione delle mani del sacerdote celebrante i santi misteri cristiani potrebbe essere un retaggio di questo yoga.
Non comprendendone più il significato, i preti occidentali hanno fatto tabula rasa dei simboli e contemporaneamente dei misteri.
Le mani esprimono le due faccie dell'unità, l'unica potenza, l'unica conoscenza che si manifesta nelle dualità con il numero 5.
Questo simbolo del germe, è promessa della totalità che le mani giunte realizzano ricostituendo il 10.
Perciò le sue mani riunite nell'unità simboleggiano la "forza", in ebraico koah בח     (20+8 che si fondono in 10).
Non dimentichiamo che siamo sul sentiero della giustizia-rigore che, tradizionalmente, è anche quello della forza (gevurah, la forza divina).
Tratto da "Il simbolismo del corpo umano" di Annick de Souzenelle

lunedì 21 ottobre 2019

OM e AMEN



La tradizione indù riferisce che il suono primordiale OM era chiuso nella conca, śankha, e che la conca ha allo stesso dell'orecchio umano.
Ora, la coclea dentro l'orecchio interno è il κόχσος greco, significa "conca" o "conchiglia".
Una coscienza molto primitiva di ciò che ci fa udire Il canto del mare nel fondo di una conchiglia.
La stessa tradizione Indù chiama la creazione śruti, che letteralmente significa "ciò che viene udito".
Essa è primordialmente racchiusa nella conca śankha che contiene l'OM.
La conca, a livello dell'orecchio, è dunque la coclea che, con il labirinto, fa parte dell'orecchio interno.
È la parte più arcaica della nostra struttura.
In India come in Tibet il monosillabo OM viene ritualmente modulato essendo il suono primordiale e imperituro.
Il Nome del Verbo manifestato.
Viene vibrato a più livelli di risonanza nella scatola cranica, in modo tale che l'ultima vibrazione è nettamente nasale, mobilitando così il rinoencefalo, ossia la parte più arcaica del cervello; vedremo che in questo modo nutre Il risveglio del Verbo divino nell'uomo.
Quest'ultima vibrazione si collega quella che induce la lettera N; fa dunque che si connettano intimamente il suono OM e quello che fa vibrare la AMEN ebraico. אמן amen è una parola intraducibile, perché non può essere racchiusa in un concetto.
Come per tutte le parole ebraiche, il suo corpo stesso è vivo fino alla più sottile punta dello spirito, che pone chi lo modula in condizione di totale adeguamento con la realtà del mistero divino.
OM e AMEN sono centrati sulla maternità, אם em in ebraico, che ci obbliga a morire in una terra per risorgere in una nuova, finché raggiungiamo la dimensione di Verbo, a cui è legata la lettera N (in nun finale della parola אמן è quello del  Liwyatan, ultimo pesce delle profondità che è simbolo della nostra ultima mutazione. È anche quello della parola ben בן, il "figlio", nostra ultima realtà).
In questo senso la lettera N nella parola AMEN mette un accento ancora più preciso di OM sulle incarnazioni successive, a cui ci danno accesso le nostre maternità interiori, fino a quella che determina l'apertura del nostro nucleo tenuto nascosto nel complesso coclea-labirinto.
Come l'orecchio è analogo a un corpo intero, questo terzo piano chiamato ''orecchio interno'' corrisponde alla testa e ha per funzione l'equilibrio e la verticalizzazione.
Saggezza e intelligenza vi presiedono.
Tratto da "Il simbolismo del corpo umano" di Annick de Souzenelle
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