giovedì 21 dicembre 2017

Albert Einstein e C.Gustav Jung; la teoria della relatività del tempo


Albert Einstein riconobbe che tutte le indicazioni temporali sono relative alla posizione dell' osservatore.
Nell'ambito quotidiano possiamo lasciar passare inosservato questo dato perché velocità della luce è tanto elevata
Tuttavia appena l'osservatore si muove con grande rapidità, l'intervallo di tempo tra gli eventi e la loro osservazione pone un problema alla loro sequenza: due eventi accadono simultaneamente per un osservatore, ma non per un altro.
L'idea che lo spaziotempo possa essere rappresentato da un sistema di coordinate del tutto "oggettivo" non vale più; si tratta solo di un mezzo ausiliario dell' osservatore, per descrivere il suo mondo fenomenico.
Einstein riconobbe inoltre, nella descrizione di fenomeni elettromagnetici, la necessità di introdurre coordinate spaziotemporali relativistiche per esprimere le leggi della natura, in modo che abbiano la stessa forma in tutti i sistemi di coordinate, indipendentemente dalla posizione e dal movimento dell'osservatore.
Ogni passaggio da un quadro di riferimento a un altro unisce spazio e tempo in una forma matematicamente definita; essi formano un continuum.
Il progresso di Einstein consiste nell'aver inserito nel sistema spaziotempo la gravitazione, nel momento in cui essa lo curva.
Il tempo non scorre alla stessa velocità di uno "spaziotempo piano" (ma si incurva) e poiché la curvatura muta da luogo a luogo, secondo la distribuzione delle masse corporee, muta anche la velocità del flusso temporale.
Per una coincidenza degna di nota, nel momento in cui i fisici scoprivano la relatività dello spazio e del tempo, Jung giunse a risultati simili nell'indagine sull'inconscio umano: anche nell'ambito dei sogni il tempo è relativo e i concetti di "prima" e "dopo" perdono la loro importanza assoluta.
In strati ancora più profondi dell'inconscio (gli strati archetipici) spazio e tempo scompaiono addirittura quasi completamente.
Entrando in contatto con l'area archetipica della psiche, esperiamo il sentimento di essere a contatto con qualcosa di infinito.
Come afferma Jung, addirittura la questione decisiva della vita d'un essere umano è essere o non essere in contatto con l'infinito.
"Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l'infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano".
L' applicabilità più sorprendente del nuovo modello spaziotemporale di Einstein si trova in astrofisica.
Poiché astronomi e astrofisici hanno a che fare con distanze molto grandi, tanto che persino la luce ha bisogno d'un lungo tempo per giungere dall'osservatore all'oggetto, l'astronomo "vede" il suo oggetto non nel suo stato attuale, bensì nel passato.
Con i nostri telescopi vediamo i sistemi della Via Lattea, la cui esistenza risale i realtà a milioni di anni fa.
La stessa cosa vale per gli effetti della forza di gravità.
Poiché le stelle e galassie posseggono una grandissima massa, diviene importante la curvatura dello spazio.
Un effetto estremo si mostra ad esempio nel collasso gravitazionale d'un corpo massivo, come, nella prospettiva attuale, accade nei buchi neri dell'universo.
Una stella diviene più densa; lo spaziotempo intorno a essa diventa sempre più curvo, sinchè, alla fine, la luce non può più sfuggirle perché "succhia" i raggi di luce circostanti.
Si forma così un "orizzonte fenomenico" intorno alla stella, dal quale non ci raggiunge più niente di osservabile.
La stella si muove contemporaneamente fuori dal nostro tempo e scompare, benché sia ancora "là".
Ritengo possibile che nella morte accada qualcosa di simile.
È possibile supporre che con la morte scompariamo dall'"orizzonte fenomenico" dei vivi, pur rimanendovi ancora, invisibili.
Tratto da "Psiche e materia" di Marie Louise von Franz

1 commento:

Google+