martedì 9 luglio 2013

Quel che l'India può insegnarci...


 

Questo post è stato creato dal libro che C.Jung scrisse dopo il suo viaggio in India, in questo capitolo raccoglie le sue riflessioni sulla distinzione del pensiero orientale e di quello occidentale.

 
“E’ noto a tutti che l’umanità non può mai arrestarsi a un massimo d’illuminazione e sforzo spirituale.
Buddha fu un perturbatore inopportuno: sconvolse il processo storico, ma questo prevalse poi su di lui.
A lungo andare, gli dèi diventano concetti filosofici. Buddha, un pioniere spirituale per il mondo intero, disse, e cercò di dimostrare con i fatti, che l’uomo illuminato è anche maestro e redentore dei propri dèi.
Buddha disturbò il processo storico intervenendo nella lenta trasformazione degli dèi in idee. Il vero genio quasi sempre si intromette e disturba. Parla a un mondo temporale da un mondo eterno.
Dice così la momento giusto le cose sbagliate. Le verità eterne non sono mai vere in un dato momento della storia.
Il processo di trasformazione deve fare una pausa per digerire e assimilare le cose estremamente scomode che il genio ha prodotto traendole dai depositi dell’eternità.
Ma il genio è colui che risana il suo tempo, perché ogni cosa che egli rivela della via eterna è salutare.
Occorrono ovviamente migliaia di anni, giacchè l’intesa trasformazione non può essere realizzata senza un enorme sviluppo della coscienza umana.
Essa può essere soltanto “creduta”, che è quello che i seguaci di Buddha, e di Cristo, palesemente fecero, partendo, come sempre fanno i credenti, dal presupposto che la fede, la credenza, è tutto.
La fede è una gran cosa, certo, ma è il surrogato di una realtà cosciente che i cristiani saggiamente relegano in una vita nell’aldilà.
Quest’aldilà è in realtà il futuro a cui l’umanità aspira, anticipato dall’intuizione religiosa.
Dalla vita e dalla religione indiane Buddha è scomparso più di quanto noi immaginiamo possa scomparire Cristo, e più di quanto siano scomparse le religioni greco-romane dal cristianesimo attuale.
Non che l’India non serbi riconoscenza ai suoi maestri spirituali.
C’è una considerevole rinascita dell’interesse per la filosofia classica.
Buddha non rappresenta una filosofia vera e propria. Egli sfida l’uomo.
La filosofia come ogni altra scienza, ha bisogno di una notevole libertà d’azione intellettuale, non disturbata da coinvolgimenti morali e umani.
La divina impazienza di un genio può disturbare o addirittura sconvolgere il piccolo uomo!
Il fatto peculiare dell’indiano è che non pensa, perlomeno non nel senso che noi diamo alla parola “pensare”.
Egli piuttosto percepisce il pensiero e sotto quest’aspetto ricorda il primitivo.
Il processo del suo pensiero ricorda il modo primitivo di produrre pensiero, il ragionamento del primitivo è principalmente una funzione inconscia, di cui egli percepisce i risultati.
La nostra evoluzione occidentale da un livello primitivo fu improvvisamente arrestata dall’irruzione di una psicologia e spiritualità appartenenti a un livello assai elevato di civiltà.
Noi fummo fermati nel bel mezzo d’un politeismo ancora barbaro, il quale venne sradicato o soppresso nel corso dei secoli, e neanche molto tempo fa. Questo fatto, ha conferito un’impronta particolare alla mentalità occidentale.
In virtù di una dissociazione tra la parte cosciente della psiche e l’inconscio, ci fu una liberazione della coscienza dal fardello dell’irrazionalità e dell’istintività a spese della totalità dell’individuo.
L’uomo si trovò scisso in una personalità cosciente e una inconscia.
La personalità cosciente potè essere addomesticata, perché divisa dall’uomo naturale e primitivo.
Divenimmo così altamente disciplinati , organizzati e razionali da un lato: dall’atro restammo dei primitivi repressi, bloccati dall’educazione e dalla civiltà.
Ciò spiega le nostre molteplici ricadute nella più spaventosa barbarie, e spiega anche il fatto davvero terribile che quanto più perveniamo alle vette delle conquiste scientifiche, tanto più pericoloso e diabolico diventa l’abuso delle nostre invenzioni.
Non è piuttosto una convincente dimostrazione del fatto che quando la nostra mente salì a conquistare il cielo (invenzione di mezzi di volo), l’altro uomo in noi, l’individuo barbaro represso, discese all’inferno (aerei da bombardamento)?
Si potrebbe pensare a un’altra possibilità più soddisfacente. Anziché differenziare solo un lato dell’uomo, si potrebbe differenziare l’uomo intero. Caricando l’uomo cosciente del fardello terreno del suo lato primitivo, potremmo evitare quella fatale dissociazione tra metà superiore e metà inferiore.
Ciò porterebbe, è ovvio, a problemi morali e intellettuali diabolicamente complessi. Ma se l’uomo bianco non riuscirà a distruggere la propria razza con le sue brillanti invenzioni, dovrà infine adattarsi a un corso disperatamente serio di autoeducazione.
La civiltà e la psicologia dell’India assomigliano ai sui templi, che nelle loro sculture rappresentano l’universo, includendo l’uomo e tutti i suoi aspetti e attività, sante o brute che siano.
E’ questa presumibilmente la ragione per cui l’India appare così simile a un sogno: si è risospinti nell’inconscio, in quel mondo non redento, non civilizzato, originario, di cui noi possiamo soltanto sognare, giacchè la nostra coscienza lo nega.
L’India rappresenta l’altro modo di civilizzare l’uomo, il modo senza repressione, senza violenza, senza razionalismo.
Nella costituzione mentale del più spirituale distinguete i tratti del primitivo, negli occhi melanconici dell’abitante di villaggio illetterato e seminudo indovinate una conoscenza inconscia di verità misteriose.
Grazie al cielo, c’è ancora un uomo che non ha imparato a pensare ma percepisce i suoi pensieri come se fossero visioni o cose vive; un uomo che ha trasformato, o è ancora intentato a trasformare, i suoi dèi in pensieri visibili basati sulla realtà degli istinti. I suoi dèi vivono con lui.
E’ vero che la sua è una vita irrazionale, piena di crudezza, orrori, miseria, malattia, morte, e pur tuttavia  in certo qual modo completa, soddisfacente e di un’indicibile bellezza emotiva.
Gli indiani non si curano delle contraddizioni intollerabili, se esistono sono peculiari di un dato pensiero e l’uomo non ne è responsabile. L’indiano non astrae dall’universo dettagli infinitesimali, la sua ambizione è di avere una visione del tutto.
Il pensiero indiano è un crescendo di visione, non un’incursione predatoria nei regni ancora indomiti della natura.”

Dal libro di C.G.Jung “La saggezza orientale”
 
 

 

 

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