martedì 10 maggio 2016

Il "Doppelgänger" o "gemello ultraterreno"


Si aggira su questa terra un personaggio che è il mio gemello, il mio alter ego, la mia ombra, un altro me stesso, una mia immagine, che a volte sembra starmi al fianco,  il mio altro sé.
Quando parliamo da soli, quando ci rimproveriamo,  ci esortiamo da soli alla calma, forse ci stiamo rivolgendo al nostro Doppelgänger, al nostro gemello, ma non in un'altra famiglia in un altra città, bensì qui, nella stessa stanza.
Gli Inuit hanno una lingua a sé per parlare dell'altra anima, sia essa interna o esterna, un'anima che viene e va, si ferma un attimo e poi ci lascia, abita gli oggetti, i luoghi, gli animali.
Gli antropologi che condividono la vita con gli aborigeni australiani hanno chiamato questa seconda anima l'anima-boscaglia.
Accenni a questa doppiezza, a questa misteriosa duplicità della vita si trovano nelle fiabe,  nelle poesie del poeta persiano Rûmî, nelle storie Zen.
In molte culture si pone attenzione a sotterrare la placenta dopo il parto, perché essa è  qualcosa che nasce con noi e bisogna impedire che entri nella vita che noi vivremo.
Essa deve, come un bambino nato morto, ritornare nell'altro mondo, altrimenti il gemello congenito potrebbe trasformarsi in un fantasma mostruoso.
Le nascite gemellari sono spesso considerate di cattivo auspicio, una sorta di minaccioso errore, la presenza su questa terra dell'umano e il fantasma, questo mondo e l'altro.
I gemelli letteralizzano il Doppelgänger, esponendo alla vista contemporaneamente il visibile e l'invisibile.
Di qui i racconti dell'uccisione  (sacrificio) di uno  dei due gemelli per il bene dell'altro: Caino e Abele, Romolo e Remo. Il gemello ombra, immortale, ultraterreno, che libera il campo affinché quello mortale possa entrare appieno in questa vita.
(Anche) i diminutivi,  eufemismi che velano la presenza magica del successo e la paura che essa suscita, sono un elemento ricorrente dei miti e delle fiabe.
Il figlio/fratello più  piccolo, indicato in molte lingue con la desinenza del diminutivo, diventa l'astuto e magico salvatore.
Occorrono due nomi, perché essi rispecchiano due persone,  l'intrinseca duplicità in atto tra la ghianda e il suo portatore.
È  per questo che siamo affascinati dalle biografie?  Le biografie rendono visibili gli intrighi del rapporto tra i due nomi e noi: leggendole, speriamo di poter intuire qualcosa sul nostro, il daimon, e di scoprire come viverlo studiando come, palesemente, ci sono riusciti altri e anche vedendo i loro errori, le loro tragedie.
Non è per bisogno di eroi o di modelli o di fughe in vite non nostre, ma per sciogliere l'enigma fondamentale della nostra doppia nascita,  dell'essere nati con un Doppelgänger, e se da soli non riusciamo a trovare questo angelo estraniato,  ci rivolgiamo alle biografie in cerca di indizi.
All'inizio non siamo soli.
Veniamo al mondo con una controfigura magica o ultraterrena, la cui presenza qui e ora non è prevista.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

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