Nella visione di Ezechiele e delle quattro creature con la faccia rispettivamente di uomo, di leone, di toro e di aquila alle quali sono associate quattro ruote che per la loro struttura apparivano come se una ruota fosse dentro l'altra.
Esse potevano andare nelle quattro direzioni senza ruotare.
Il tutto costituisce il trono mobile di una figura "che aveva l'aspetto di un uomo".
La visione più simile a questa si trova in Zaccaria 6.1: "Ed ecco quattro quadrighe uscite in mezzo a due montagne. Ai carri erano attaccati cavalli. Tre dei carri avevano rispettivamente cavalli rossi, bianchi, neri e il quarto pezzati. I cavalli si muovono nella direzione dei quattro punti cardinali"
Una visione parallela s'incontra presso un indiano: nella visione di Alce Nero esso scorge dodici cavalli neri a Ovest, dodici bianchi a Nord, dodici sauri a Est e a Sud dodici vai.
Nella Qabbalà, questo "carro" ha un ruolo assai importante in quanto veicolo sul quale i giusti vanno a raggiungere Dio, ossia veicolo mediante il quale l'anima umana si può riunire all'anima del mondo.
Dal punto di vista psicologico la visione di Ezechiele corrisponde a un simbolo del Sé, che si compone di quattro creature individuali e ruote, vale a dire di differenti funzioni. Tre delle facce sono teriomorfe, il che sta a significare che solo una funzione ha raggiunto il livello dell'uomo, mentre tre rimangono ancora allo stato inconscio (animale).
All'idea delle ruote è collegata quella del movimento in tutte le direzioni, poiché gli "occhi del Signore" penetrano dappertutto.
Anche gli occhi sono rotondi e vengono paragonati alle ruote, per esempio nell'espressione tedesca "occhi grandi come ruote d'aratro".
Essi compaiono anche come simbolo di "luminosità multiple dell'inconscio": con questa espressione s'intende l'apparente possibilità che i complessi posseggano in generale una specie di coscienza, che si esprime nel simbolo delle scintille dell'anima, degli occhi (polioftalmia) e del cielo stellato.
Così come la visione di Ezechiele va intesa in senso psicologico quale simbolo del Sé, possiamo ricordare la definizione indù del Sé - qui hiranyagarbha- come "aggregato collettivo di tutte le anime individuali".
La quaternità unita allo spiritus vivus che si trova nelle ruote, rappresenta il Sé empirico, ossia la totalità delle quattro funzioni. Sul piano empirico queste quattro sono coscienti solo in parte.
La loro energia specifica si aggiunge alla normale energia dell'inconscio e conferisce perciò a quest'ultimo un impulso che gli consente di irrompere spontaneamente nella coscienza.
Nella visione di Ezechiele la quaternità del Sé appare come il vero fondamento psicologico della rappresentazione di Dio.
Analogamente è caratteristico della filosofia mistica degli alchimisti il fatto che sul loro carro troneggi il serpens mercurialis. Si tratta di uno spirito della vita che usa come carro il corpo, formato dai quattro elementi. In tal caso il carro è anche il simbolo della vita terrena.
Vedi anche: Il carro
Tratto da "Mysterium Coniunctionis" di C.G.Jung
Esse potevano andare nelle quattro direzioni senza ruotare.
Il tutto costituisce il trono mobile di una figura "che aveva l'aspetto di un uomo".
La visione più simile a questa si trova in Zaccaria 6.1: "Ed ecco quattro quadrighe uscite in mezzo a due montagne. Ai carri erano attaccati cavalli. Tre dei carri avevano rispettivamente cavalli rossi, bianchi, neri e il quarto pezzati. I cavalli si muovono nella direzione dei quattro punti cardinali"
Una visione parallela s'incontra presso un indiano: nella visione di Alce Nero esso scorge dodici cavalli neri a Ovest, dodici bianchi a Nord, dodici sauri a Est e a Sud dodici vai.
Nella Qabbalà, questo "carro" ha un ruolo assai importante in quanto veicolo sul quale i giusti vanno a raggiungere Dio, ossia veicolo mediante il quale l'anima umana si può riunire all'anima del mondo.
Dal punto di vista psicologico la visione di Ezechiele corrisponde a un simbolo del Sé, che si compone di quattro creature individuali e ruote, vale a dire di differenti funzioni. Tre delle facce sono teriomorfe, il che sta a significare che solo una funzione ha raggiunto il livello dell'uomo, mentre tre rimangono ancora allo stato inconscio (animale).
All'idea delle ruote è collegata quella del movimento in tutte le direzioni, poiché gli "occhi del Signore" penetrano dappertutto.
Anche gli occhi sono rotondi e vengono paragonati alle ruote, per esempio nell'espressione tedesca "occhi grandi come ruote d'aratro".
Essi compaiono anche come simbolo di "luminosità multiple dell'inconscio": con questa espressione s'intende l'apparente possibilità che i complessi posseggano in generale una specie di coscienza, che si esprime nel simbolo delle scintille dell'anima, degli occhi (polioftalmia) e del cielo stellato.
Così come la visione di Ezechiele va intesa in senso psicologico quale simbolo del Sé, possiamo ricordare la definizione indù del Sé - qui hiranyagarbha- come "aggregato collettivo di tutte le anime individuali".
La quaternità unita allo spiritus vivus che si trova nelle ruote, rappresenta il Sé empirico, ossia la totalità delle quattro funzioni. Sul piano empirico queste quattro sono coscienti solo in parte.
La loro energia specifica si aggiunge alla normale energia dell'inconscio e conferisce perciò a quest'ultimo un impulso che gli consente di irrompere spontaneamente nella coscienza.
Nella visione di Ezechiele la quaternità del Sé appare come il vero fondamento psicologico della rappresentazione di Dio.
Analogamente è caratteristico della filosofia mistica degli alchimisti il fatto che sul loro carro troneggi il serpens mercurialis. Si tratta di uno spirito della vita che usa come carro il corpo, formato dai quattro elementi. In tal caso il carro è anche il simbolo della vita terrena.
Vedi anche: Il carro
Tratto da "Mysterium Coniunctionis" di C.G.Jung
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