Questo post nasce dalla lettura dell'esperienza di Jung con gli indiani pueblos in Nuovo Messico in cui ebbe occasione di avere una conversazione con un capo dei Pueblos Taos di nome Ochwìa Biano (Lago di Montagna) ed è qui che si rese conto di come gli altri popoli vedono l'uomo bianco...
Credo sia davvero una gran fortuna avere l'occasione di capire vari punti di vista e conoscere ed incontrare varie culture.
Jung ha fatto diversi viaggi tra cui uno dei più significativi fu quello in Oriente, dal cui libro ho estrapolato vari post pubblicati in questo blog, ma questa sua esperienza con i Pueblos Tao mi ha colpito molto.
Dal libro di C.G.Jung "Ricordi, sogni, riflessioni":
«Fu quella la prima volta che ebbi l'occasione di parlare con un non europeo, cioè con un non bianco.
era un capo dei Pueblos Taos, un uomo intelligente, dell'età di quaranta o cinquant'anni.
Il suo nome era Ochwìa Biano (Lago di Montagna). Potei parlare con lui come raramente ho potuto con un europeo. certamente era più prigioniero del suo mondo, così come un europeo lo è del proprio, ma che mondo era!
Con questo indiano la nave galleggiava su navi profondi sconosciuti. E non si sa cosa sia più affascinante, se la vista di nuove spiagge o la scoperta di nuove vie d'accesso a ciò che ci è noto da sempre e che abbiamo quasi dimenticato.»
Dei bianchi Ochwìa Biano dice:
«Quanto appaiono crudeli i bianchi. Le loro labbra sono sottili, i loro nasi affilati, le loro facce solcate e alterate da rughe. I loro occhi hanno lo sguardo fisso, come se stessero sempre cercando qualcosa. Che cosa cercano?
I bianchi vogliono sempre qualche cosa, sono sempre scotenti e irrequieti. Noi non sappiamo che cosa vogliono. Non li capiamo. Pensiamo che siano pazzi.
Dicono di pensare con la testa.
Noi pensiamo qui (indicando il cuore).»
Queste parole furono per Jung fonte di una lunga meditazione... effettivamente l'uomo bianco rispetto alle altre etnie appare proprio così perché ha perso il contatto con la natura e quindi con la propria Madre, per questo l'uomo medio cerca sempre qualcosa e non fa altro che circondarsi di beni materiali per compensare il deficit spirituale.
Riprendo le parole di Jung dal testo:
«Per la prima volta nella mia vita, così mi sembrava, qualcuno mi aveva tratteggiato l'immagine del vero uomo bianco. Era come se fino a quel momento non avessi visto altro che stampe colorate, abbellite dal sentimento.
Quell'indiano aveva centrato il nostro punto debole, svelato che una verità alla quale siamo ciechi.
Sentii sorgere dentro di me, come una informe nebulosa, qualcosa di sconosciuto ma pure di profondamente intrinseco.
......Co una fitta segreta mi resi conto della vuotezza del tradizionale romanticismo intorno alle Crociate! Poi seguirono Colombo, Cortès, e gli altri conquistadores che con il fuoco, la spada, la tortura e il cristianesimo atterrirono persino questi remoti Pueblos, che sognavano pacificamente, al sole, loro padre.
Ciò che noi dal nostro punto di vista chiamiamo colonizzazione, missioni per la conversione dei pagani, diffusione della civiltà e via dicendo, ha anche un'altra faccia, la faccia di un uccello da preda, crudelmente intento a spiare una preda lontana, una faccia degna di una razza di pirati e di predoni.
Tutte le aquile e le altre fiere che adornano i nostri stemmi mi parvero gli adatti rappresentanti psicologici della nostra vera natura.
Gli indiani Pueblos sono estremamente chiusi, e, per ciò che riguarda la loro religione, addirittura inaccessibile.
Mai prima mi ero trovato in una simile atmosfera di segretezza; le religioni di popoli civili oggi sono tutte accessibili... Qui invece avvertivo nell'aria la presenza di un segreto noto a tutti, ma rigorosamente inaccessibile per i bianchi.
Custodire questo segreto dà ai Pueblos l'orgoglio e la forza di resistere al soverchiante uomo bianco, dà loro coesione e unità, e si avverte con certezza che essi come comunità singola continueranno a esistere fin quando i loro misteri non saranno traditi.
Fu per me sorprendente vedere come muti l'espressione di un indiano quando parla delle sue concezioni religiose.
...quando parla dei suoi misteri si lascia dominare dall'emozione, e non riesce a nasconderla...
Per lui come per la sua gente, le condizioni religiose non erano teorie ma fatti, tanto importanti e commoventi quanto le corrispondenti realtà esterne.
Mentre sedevo sul tetto con Ochwìa Biano e il sole saliva sempre più alto, radioso, indicandolo mi disse: "Non è forse egli, che si muove là, il padre nostro? Chi potrebbe dire diversamente? Come potrebbe esserci un altro dio? Nulla può esistere senza il sole!"
"Gli americani vogliono proibire la nostra religione. Perché non possono lasciarci in pace? Quel che facciamo, non lo facciamo solo per noi, ma anche per gli americani. Sì, lo facciamo per tutto il mondo. Va a beneficio di tutti."
"Siamo un popolo che vive sul tetto del mondo; siamo i figli del padre Sole, e con la nostra religione aiutiamo nostro padre ad attraversare il cielo ogni giorno. Facciamo questo non solo per noi, ma per tutto il mondo. Se cessassimo di praticare la nostra religione, nel volgere di dieci anni il sole non sorgerebbe più. E allora sarebbe notte per sempre."
Capii allora da che cosa dipendesse la 'dignità', il contegno calmo e sicuro dell'individuo indiano: dall'essere figlio del sole. La sua vita ha un significato cosmologico, perché egli aiuta il padre e conservatore di ogni vita nel suo quotidiano sorgere e tramontare.
Per pura invidia siamo obbligati a sorridere dell'ingenuità degli indiani, e a vantarci della nostra intelligenza; poiché altrimenti scopriremo quanto siamo impoveriti e decaduti. La conoscenza non ci arricchisce; ci allontana sempre più dal mondo mitico nel quale una volta vivevamo per diritto di nascita.
Se per un momento mettiamo da parte tutto il razionalismo europeo, e ci trasportiamo nella limpida aria montana di quel solitario altopiano, che da un lato declina verso le vaste praterie continentali e dall'altro verso l'Oceano Pacifico; e se al tempo stesso rinunciamo alla nostra conoscenza del mondo e la barattiamo con un orizzonte che appare smisurato, con la coscienza di un mondo che sta al di là de nostro, allora cominceremo a capire il punto di vista dell'indiano pueblo.
"Tutta la vita deriva dalle montagne"
Se la consideriamo più da vicino, l'idea, per noi assurda, che un atto rituale possa 'influenzare' magicamente il sole, non ci apparirà certo meno irrazionale, ma molto più familiare di quanto si possa credere a prima vista. La nostra religione cristiana -come ogni altra del resto- è pervasa dall'idea che speciali atti, o uno speciale modo di condursi, possano influenzare Dio, per esempio attraverso certi riti, o con preghiere, oppure co una morale gradita alla Divinità.
"
Dio è in noi" -anche se è soltanto un sottinteso inconscio- è senza dubbio l'equazione che sta a fondamento dell'invidiabile serenità dell'indiano pueblo.»
Ognuno di noi dovrebbe considerare la deitá che è insita nell'uomo... Quando si acquisisce un'autentica spiritualità la vita cambia inesorabilmente perché si osserva tutto con occhi diversi, si diventa parte di un tutto e partecipi del mistero della vita proprio come un pueblos... E le parole di questo post non sono più poi così incredibili perché in un certo senso si compartecipa al disegno divino....