lunedì 29 luglio 2013

LE SIBILLE, I LIBRI SIBYLLINI E IL DIO APOLLO

I LIBRI SIBYLLINI sono di facile associazione al dio Apolllo, la divinità oracolare; solo la solarità, la luce del giorno poteva essere preposta all’oracolo, perché ritenuta infallibile. 
I libri giungono a Roma tramite un re etrusco, Tarquinio il Superbo, che li aveva acquistati dalla Sibilla Cumana.                      
Si narra che fossero di numero dodici (secondo altre fonti i Libri erano 9, e ne rimasero dopo i rifiuti del re Superbo 3), Tarquinio decise di non acquistarli, perché riteneva il prezzo troppo alto.               
La Sibilla ne bruciò tre; alla nuova proposta, il Re ancora rifiutò, sicchè la Sibilla ne bruciò altri tre; alla fine Tarquinio decise di acquistare i rimanenti sei.                                                                              
Non si sa se i Libri vennero poi acquistati allo stesso prezzo iniziale.                                                             I Libri vennero custoditi in lamine d’oro, alla base della statua di Apollo, nel Tempio di Apollo Palatino il cui ingresso dava sul Mundus.                                                                                                         
Altra versione o successiva collocazione narra che i Libri furono deposti in Campidoglio sotto il tempio di Giove. In un incendio del campidoglio perirono.                                                                   
Orazio compose il Carmen saeculare cantato davanti al Tempio  di Apollo Palatino nel cerimoniale del 17 a.C. che inaugurava l’età dell’oro romana:

“Febo, luce del cielo
Diana, signora delle selve
sempre venerati e venerabili,
esaudite i voti                      
in questo sacro giorno
che nei versi sibillini prescrive
alle vergini elette e ai fanciulli
di cantare un inno agli dei che amarono
i nostri sette colli
Sole fecondo, che col carro ardente
Porti e nascondi il giorno, e nuovo e antico
rinasci, nulla più grande di Roma
possa mai tu vedere!
La Terra ricca di animali e biade
incoroni di spighe la campagna
piogge e brezze benefiche del cielo
ne nutrano i prodotti.
Deposti i dardi, tenero e tranquillo
ascolta, Apollo,  i giovani che pregano
e tu, Luna, regina delle stelle,
ascolta le fanciulle.
Se Roma è opera vostra e milizie
troiane occuparono il lido etrusco,
impegnate a mutare città, casa,
solcando in salvo il mare;
se scampato alla strage il pio Enea
aprì un varco che potesse
salvarli in mezzo alle fiamme di Troia,
per donargli di più;
o dei, date virtù ai nostri giovani,
date dolce riposo alla vecchiaia
e alla gente di Romulus potenza,
figli e tutta la gloria.
E ciò che vi chiede con tori bianchi
il sangue puro di Anchise e di Venere,
forte col nemico e mite coi vinti,
fate voi che l’ottenga.
Ormai per terra e per mare i Parti temono
l’arte del suo braccio e le scuri albane;
ormai la superbia sciti e indiani
attende la sentenza.
Fede, pace, onore e pudore antico,
la virtù smarrita osano ora
tornare e lieta appare l’abbondanza
col suo corno ricolmo….”

Fu sempre su consultazione dei Libri Sibillini, in occasione di una grave pestilenza che colpì il popolo romano nel 293 a. C., che fu inviata un’ambasceria  in Grecia,  ad Epidauro, presso il più importante santuario dedicato al Dio della meditazione Asclepio, prima divinità introdotta a Roma dalla Grecia. 
Gli fu dedicato un tempio (219 a.C.) col nome latinizzato di Esculapio sull’isola Tiberina, che assunse, come gli analoghi  Asklepièia, il ruolo di centro ospedaliero della Città.                                                   
Ad oggi sull’isola Tiberina vi è in piedi il centro ospedaliero chiamato dal 1700 “Fatebenefratelli”.
Fonte: "Roma segreta e pagana" di C. Monachesi

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