La virtù delle ali è quella di portare in alto ciò che pesa, sollevandolo sino alla sfera abitata dagli dei... e il divino vuol dire bellezza, sapienza, bontà e ogni altra cosa simigliante.
...L'intelletto si nutre di pensiero e di scienza pura, come quello di ogni anima a cui stia a cuore accogliere ciò che le si conviene, vedendo di tanto in tanto l'ente, se ne compiace; e, contemplando il vero, si nutre e si diletta, fino a che il moto circolare non lo riporti al medesimo luogo.
E nel suo tragitto esso contempla la giustizia in sé, contempla la temperanza, contempla la scienza, non quella che è soggetta a divenire, ed è diversa nei diversi oggetti che chiamiamo enti, ma quella che è la vera scienza del vero ente.
È legge di Adrastea (la dea a cui non si sfugge, la dea della necessità) che qualsiasi anima, fattasi seguace d'un dio, riesca a vedere qualcuno dei veri, fino all'altro giro sia immune da dolore; e qualora possa farlo sempre, non vada mai soggetta ad alcun male.
Allorché un uomo, vedendo la bellezza di quaggiù e rammentandosi della vera bellezza, metta le ali e desideri, così alato, di levarsi in volo e s'accorga di non poterlo fare e, come un uccello, guardi in alto e trascuri le cose terrene, costui si acquista la fama di folle.
Ebbenei, io dico che di tutte le forme di delirio divino questa è la più alta e derivante dalle più alte sorgenti, così per chi la possiede, come per chi ne partecipa; e che colui il quale, possedendola, s'innamori di quelli che son belli, si chiama appunto amante..... ricordarsi attraverso le cose terrene di quel che vide lassù non è facile per ogni anima...
Alcune appena ne serbano un ricordo sufficiente; e queste, allorché vedono qualcosa che somigli a quelle, ne rimangono sbalordire.
La giustizia infatti e la temperanza e quant'altro hanno importanza per le nostre anime, nelle loro immagini di quaggiù hanno perso ogni splendore; e ben pochi e a stento, attraverso questi nostro torbidi organi, appressandosi a queste immagini, contemplano il modello che esse rappresentando.
Ma la bellezza brillava ai nostri occhi, quando insieme col coro dei beati...c'iniziavano alla più beata delle iniziazioni che celebravamo, allorché perfetti e immuni dei mali che ci attendevano nell'avvenire, iniziati ai più profondi misteri, godevamo di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba, che chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati in esso, come ostriche nel proprio guscio.
La bellezza.... sfolgorava allora nella sua essenza tra quegli spettacoli; e noi, venuti quaggiù, l'abbiamo senz'altro riconosciuta per la sua luminosità mediante il più luminoso dei nostri sensi.
La vista è infatti il più acuto dei nostri sensi corporei, ma con essa non si vede la sapienza - che desterebbe in noi ardentissimi amori, se la sua immagine si offrisse altrettanto chiara al nostro occhio - come del resto non si vedono le altre amabili essenze.
Alla sola bellezza toccò questo privilegio d'essere la più evidente e la più amabile.
Chi è iniziato di recente, chi è pieno delle visioni avute, allorché veda un volto divino o una forma corporea, imitazione felice della vera bellezza...è assalito dagli sgomenti d'un tempo...la contempla e la venera come un nume..
Nell'accogliere attraverso gli occhi l'efflusso della bellezza si riscalda d'un calore, da cui si ristora la natura delle ali, e per effetto di esso si fonde l'involucro che copriva i germogli e che da tempo induratosi ne impediva lo sviluppo.
Quindi, penetrandovi il nutrimento, il gambo delle penne si gonfia e tenta di spuntare dalla radice di sotto a tutta l'anima, perché questa era un tempo tutta alata.
...Tutta l'anima ribolle e sussulta...soffre l'anima, quando comincia a rivestirsi di penne; essa prova un ardore, una pena, un solletico nel metter le ali.
Ma non appena volge lo sguardo alla bellezza...si ristora e riscalda e, cessando di soffrire, si sente lieta e felice.....si sente lieta nel ricordo della bellezza...
A questa passione....gli uomini hanno dato il nome di amore...
Lui Eros alato noman per fermo i mortali
Ma gl'immortali Pteros, perché egli impenna le ali.
Tratto da "Dialoghi sull'amicizia e sull'amore" Platone
...L'intelletto si nutre di pensiero e di scienza pura, come quello di ogni anima a cui stia a cuore accogliere ciò che le si conviene, vedendo di tanto in tanto l'ente, se ne compiace; e, contemplando il vero, si nutre e si diletta, fino a che il moto circolare non lo riporti al medesimo luogo.
E nel suo tragitto esso contempla la giustizia in sé, contempla la temperanza, contempla la scienza, non quella che è soggetta a divenire, ed è diversa nei diversi oggetti che chiamiamo enti, ma quella che è la vera scienza del vero ente.
È legge di Adrastea (la dea a cui non si sfugge, la dea della necessità) che qualsiasi anima, fattasi seguace d'un dio, riesca a vedere qualcuno dei veri, fino all'altro giro sia immune da dolore; e qualora possa farlo sempre, non vada mai soggetta ad alcun male.
Allorché un uomo, vedendo la bellezza di quaggiù e rammentandosi della vera bellezza, metta le ali e desideri, così alato, di levarsi in volo e s'accorga di non poterlo fare e, come un uccello, guardi in alto e trascuri le cose terrene, costui si acquista la fama di folle.
Ebbenei, io dico che di tutte le forme di delirio divino questa è la più alta e derivante dalle più alte sorgenti, così per chi la possiede, come per chi ne partecipa; e che colui il quale, possedendola, s'innamori di quelli che son belli, si chiama appunto amante..... ricordarsi attraverso le cose terrene di quel che vide lassù non è facile per ogni anima...
Alcune appena ne serbano un ricordo sufficiente; e queste, allorché vedono qualcosa che somigli a quelle, ne rimangono sbalordire.
La giustizia infatti e la temperanza e quant'altro hanno importanza per le nostre anime, nelle loro immagini di quaggiù hanno perso ogni splendore; e ben pochi e a stento, attraverso questi nostro torbidi organi, appressandosi a queste immagini, contemplano il modello che esse rappresentando.
Ma la bellezza brillava ai nostri occhi, quando insieme col coro dei beati...c'iniziavano alla più beata delle iniziazioni che celebravamo, allorché perfetti e immuni dei mali che ci attendevano nell'avvenire, iniziati ai più profondi misteri, godevamo di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba, che chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati in esso, come ostriche nel proprio guscio.
La bellezza.... sfolgorava allora nella sua essenza tra quegli spettacoli; e noi, venuti quaggiù, l'abbiamo senz'altro riconosciuta per la sua luminosità mediante il più luminoso dei nostri sensi.
La vista è infatti il più acuto dei nostri sensi corporei, ma con essa non si vede la sapienza - che desterebbe in noi ardentissimi amori, se la sua immagine si offrisse altrettanto chiara al nostro occhio - come del resto non si vedono le altre amabili essenze.
Alla sola bellezza toccò questo privilegio d'essere la più evidente e la più amabile.
Chi è iniziato di recente, chi è pieno delle visioni avute, allorché veda un volto divino o una forma corporea, imitazione felice della vera bellezza...è assalito dagli sgomenti d'un tempo...la contempla e la venera come un nume..
Nell'accogliere attraverso gli occhi l'efflusso della bellezza si riscalda d'un calore, da cui si ristora la natura delle ali, e per effetto di esso si fonde l'involucro che copriva i germogli e che da tempo induratosi ne impediva lo sviluppo.
Quindi, penetrandovi il nutrimento, il gambo delle penne si gonfia e tenta di spuntare dalla radice di sotto a tutta l'anima, perché questa era un tempo tutta alata.
...Tutta l'anima ribolle e sussulta...soffre l'anima, quando comincia a rivestirsi di penne; essa prova un ardore, una pena, un solletico nel metter le ali.
Ma non appena volge lo sguardo alla bellezza...si ristora e riscalda e, cessando di soffrire, si sente lieta e felice.....si sente lieta nel ricordo della bellezza...
A questa passione....gli uomini hanno dato il nome di amore...
Lui Eros alato noman per fermo i mortali
Ma gl'immortali Pteros, perché egli impenna le ali.
Tratto da "Dialoghi sull'amicizia e sull'amore" Platone
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