La coscienza è una condizione dell'esistenza in certi stati, non però rigorosamente nello stesso senso in cui parliamo, per esempio, di condizioni dell'esistenza corporea; si potrebbe dire, più esattamente, che essa è una "ragion d'essere" per gli stati in questione, poiché è evidente ciò attraverso cui l'Essere individuale partecipa dell'Intelligenza universale (Buddhi nella dottrina indu); naturalmente, nella sua forma determinata (come ahankâra) essa inerisce alla facoltà mentale individuale (manas), e di conseguenza in altri stati la medesima partecipazione dell'essere all'Intelligenza universale può manifestarsi in tutt'altro modo.
La coscienza è qualcosa di peculiare allo stato umano, nonché ad altri stati individuali più o meno analoghi a questo; essa non è affatto un principio universale, e se nondimeno costituisce una parte integrante e un elemento necessario dell'Esistenza universale, lo è esattamente allo stesso titolo di tutte le condizioni inerenti a qualsiasi altro stato dell'essere, senza possedere al riguardo il benché minimo privilegio, come non ne hanno gli stati cui essa si riferisce in rapporto agli altri stati.
La coscienza nello stato individuale umano suscettibile di un'estensione indefinita; e anche nell'uomo ordinario, vale a dire in chi non ha specificatamente sviluppato le proprie modalità extra-corporee, si estende in effetti molto più in là di quanto si creda.
La concezione degli stati molteplici ci consente di considerare tutti questi stati come esistenti simultaneamente in un medesimo essere, anziché come stati che possono essere attraversati solo in successione, nel corso di una "discendenza" che segnerebbe non soltanto il passaggio da un essere all'altro, ma persino da una specie all'altra.
L'essere che come individuo appartiene a una data specie è nondimeno, al tempo stesso, indipendente da tale specie nei suoi stati extra-individuali, e può anche, senza andare tanto lontano, avere legami con altre specie attraverso semplici prolungamenti della sua individualità.
La simultaneità degli stati molteplici basta a dimostrare l'inutilità di ipotesi perfettamente insostenibili, se considerate dal punto di vista metafisico, la cui mancanza di principio implica necessariamente la falsità di fatto, delle teorie "trasformiste".
Il "trascorrere delle forme" nel manifestato, a patto di mantenerne il carattere del tutto relativo e contingente, è pienamente compatibile con la "permanente attualità" di tutte le cose nel non-manifestato, ma, se non vi fosse alcun principio del cambiamento, il cambiamento stesso sarebbe privo di ogni realtà.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Réne Guénon
La coscienza è qualcosa di peculiare allo stato umano, nonché ad altri stati individuali più o meno analoghi a questo; essa non è affatto un principio universale, e se nondimeno costituisce una parte integrante e un elemento necessario dell'Esistenza universale, lo è esattamente allo stesso titolo di tutte le condizioni inerenti a qualsiasi altro stato dell'essere, senza possedere al riguardo il benché minimo privilegio, come non ne hanno gli stati cui essa si riferisce in rapporto agli altri stati.
La coscienza nello stato individuale umano suscettibile di un'estensione indefinita; e anche nell'uomo ordinario, vale a dire in chi non ha specificatamente sviluppato le proprie modalità extra-corporee, si estende in effetti molto più in là di quanto si creda.
La concezione degli stati molteplici ci consente di considerare tutti questi stati come esistenti simultaneamente in un medesimo essere, anziché come stati che possono essere attraversati solo in successione, nel corso di una "discendenza" che segnerebbe non soltanto il passaggio da un essere all'altro, ma persino da una specie all'altra.
L'essere che come individuo appartiene a una data specie è nondimeno, al tempo stesso, indipendente da tale specie nei suoi stati extra-individuali, e può anche, senza andare tanto lontano, avere legami con altre specie attraverso semplici prolungamenti della sua individualità.
La simultaneità degli stati molteplici basta a dimostrare l'inutilità di ipotesi perfettamente insostenibili, se considerate dal punto di vista metafisico, la cui mancanza di principio implica necessariamente la falsità di fatto, delle teorie "trasformiste".
Il "trascorrere delle forme" nel manifestato, a patto di mantenerne il carattere del tutto relativo e contingente, è pienamente compatibile con la "permanente attualità" di tutte le cose nel non-manifestato, ma, se non vi fosse alcun principio del cambiamento, il cambiamento stesso sarebbe privo di ogni realtà.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Réne Guénon
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