mercoledì 28 gennaio 2015

Mestieri antichi e industria moderna



In ogni civiltà tradizionale qualsiasi attività umana viene sempre considerata come essenzialmente derivante dai principi; questo, che è particolarmente vero per le scienze, lo è altrettanto per le arti e i mestieri.
Secondo una formula che era un assioma fra i costruttori del Medioevo ars sine scientia nihil è da intendersi naturalmente nel senso di scienza tradizionale e non di quella scienza profana perché l'unico risultato possibile dell'applicazione di questa è la nascita dell'industria moderna.
Il mestiere è un'attività che riveste un carattare prettamente "sacro" e "rituale", ogni occupazione è un sacerdozio.
Per rendersi conto del carattere "sacro" di tutta quanta l'attività umana si prendano in esame  civiltà in cui gli atti più comuni dell'esistenza vi hanno sempre qualcosa di religioso, la religione (a spiritualità) compenetra tutta l'esistenza dell'essere umano, o per meglio dire, nel suk ambito si trova come inglobato tutto quanto costituisce tale esistenza, e in particolare la vita sociale propriamente detta.
Presso altri popoli, ove il nome "religione" non può convenientemente applicarsi alla forma di civiltà considerata, v'è tuttavia una legislazione tradizionale sacra, la quale pur avendo caratteristiche diverse, svolge esattamente la stessa funzione:
Se si passa dall'exoterismo all'esoterismo si constata l'esistenza di un'iniziazione legata ai mestieri, la quale prende questi per base o per supporto, i mestieri hanno dunque un significato superiore e  più profondo per poter fornire una via di accesso all'ambito iniziatico.
La nozione di swadharma come è intesa nella dottrina indù, riguarda lo svolgimento da parte di ciascun essere di un'attività conforme alla sua essenza o alla sua natura propria.
Nella concezione profana moderna un uomo può dedicarsi ad una professione qualsiasi, ed anche cambiarla a suo piacimento, come se questa professione fosse qualcosa di puramente esteriore a lui.
Nella concezione tradizionale al contrario ciascuno deve normalmente svolgere la funzione cui è destinato dalla sua natura, con le attitudini che questa essenzialmente implica.
Secondo la concezione tradizionale sono le qualità essenziali degli esseri a determinare la loro attività: nella concezione profana invece queste qualità non contano e gli individui sono considerati altro che "unità" intercambiabili e puramente numeriche.
Questa concezione moderna non può offrire alcuna possibilità d'ordine iniziatico ed anzi può rappresentare un vero e proprio impedimento allo sviluppo di ogni spiritualità.
Il mestiere è qualcosa dell'uomo stesso, un'espansione, una manifestazione della sua natura, che serve come base alla sua iniziazione.
Quello che conta è risvegliare le possibilità latenti che l'essere porta in sé stesso.
Nel lavoro industriale l'operaio non mette niente di sé stesso: è reso perfettamente privo di iniziativa dalla "formazione", o meglio dalla deformazione professionale ricevuta, che ha come unico scopo quello di insegnargli ad eseguire movimenti meccanici senza che debba capirne la ragione, l'uomo diventa servitore della macchina e il suo lavoro non ha più nulla di umano.
Si può osservare come la macchina è l'opposto di utensile e non un utensile perfezionato.
Il primo è il prolungamento dell'uomo stesso, mente la macchina riduce l'individuo alle condizioni di suo servitore; e se si può dire che l'utensile generò il mestiere, la macchina lo uccide.
Il "progresso" appare alle tradizioni come una decadenza profonda che sta conducendo l'umanità verso i "bassifondi" ove regna la quantità pura.
Tratto da "Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi" R.Guenon

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