mercoledì 16 luglio 2014

La solitudine intenzionale



Per conversare con il femminino selvaggio, la donna deve lasciare temporaneamente il mondo e abitare in uno stato di solitudine nel senso più antico del termine.
Molto tempo fa la parola inglese alone, solo, era composta da due parole, all one.
Essere all one significava essere nell'unicità, essenzialmente o temporaneamente.
È proprio questo il fine della solitudine. 
È la cura per il logorio tanto diffuso tra le donne moderne, quella che consente di "balzare in sella al cavallo e cavalcare in tutte le direzioni".
Solitudine non è assenza di energie o azione, come credono alcuni, ma piuttosto un dono di provviste selvagge a noi trasmesse dall'anima.
Se l'esercizio della solitudine intenzionale diventa regolare, favoriamo una conversazione tra noi e l'anima selvaggia.
Nella tradizione mistica lo scopo di questa unione è per noi di porre domande, e per l'anima di dare consigli.
Tutte abbiamo almeno uno stato mentale familiare in cui realizzare questo genere di solitudine.
L'unica cosa necessaria per la solitudine intenzionale è la capacità di spegnere tutte le distrazioni.
Mescolandoci con l'anima brilliamo, desideriamo affermare i nostri talenti. 
È questa unione breve, anche un istante, ma intenzionale, che ci aiuta a vivere la nostra vita interiore; invece di seppellirla nella vergogna, nella paura della rappresaglia o dell'attacco, nel letargo, nella compiacenza o altri ragionamenti o scuse, lasciamo che la nostra vita interiore fluttui, brilli, divampi all'esterno affinché tutti possano vedere.
Tratto da "Donne che corrono coi lupi" C.P.Estes

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