“Un chiarore circonda
il mondo dello spirito.
Ci dimentichiamo l’un
l’altro, tranquilli e puri, potentissimi e vuoti.
Il vuoto è illuminato
dalla luce del cuore del cielo.
L’acqua del mare è
liscia e sulla sua superficie rispecchia la luna.
Le nuvole scompaiono
nell’azzurro.
I monti risplendono.
La coscienza si
dissolve in contemplazione.
Il disco lunare riposa
solitario.”
Hui Ming Ch’ing (testo
cinese)
(Questo testo è uno degli esempi di stato di consapevolezza
distaccata, in Oriente è un’esperienza psichica molto ripetuta.)
L’inconscio è la radice di tutta l’esperienza dell’umanità darma-kàya;
è la matrice di tutte le forme archetipiche o strutturali sambhoga-kàya;
è la conditio sine qua
non del mondo fenomenico nirmàna-kàya.
Gli dei sono forme di pensiero archetipiche appartenenti al bhoga-kàya. I loro aspetti benevoli e
irati, che hanno grande parte del Libro tibetano dei morti, simboleggiano gli
opposti.
Nel nirmàna-kàya questi
opposti non sono che conflitti umani, ma nel sambhoga-kàya significano i principi positivi e negativi uniti in
una stessa figura.
Ciò corrisponde all’esperienza psicologica, così come è
formulata nel Tao Te Ching di Lao Tze,
cioè che non esiste posizione senza la sua negazione.
Dove è la fede è anche il dubbio; dove è il dubbio è anche
la possibilità di credere; dove è la moralità è anche la tentazione.
Gli opposti si condizionano l’un l’altro e sono propriamente
una stessa cosa.
Il fatto che gli opposti appaiano come dèi deriva
semplicemente dalla loro grande potenza; la filosofia cinese ne dedusse che
erano principi cosmici e li chiamò yang e
yin.
Quanto più vogliamo separare gli opposti, tanto maggiore
diventa la loro potenza. “Se un albero cresce fino al cielo, le sue radici
affondano nell’inferno” Nietzsche.
E pur si tratta sopra e sotto dello stesso albero, noi
occidentale scindiamo i due aspetti in personificazioni antagoniste come Dio e
diavolo.
Il “vedere la realtà”
si riferisce chiaramente allo spirito considerato come realtà suprema; in
Occidente invece l’inconscio è tutt’ora considerato una fantasia irreale. Il
“conoscere lo spirito” significa autoliberarsi.
Quanto maggior peso attribuiamo al processo inconscio tanto
più ci stacchiamo dal mondo della cupidigia e degli opposti separati e tanto
più ci avviciniamo allo stato d’incoscienza, caratterizzata dall’unità,
dall’indeterminatezza, dall’eternità.
Si potrà comprendere il “proprio spirito” e dal nostro
spirito potremmo comprendere l’Unità.
Lo Spirito Uno è l’inconscio, poiché è caratterizzato come
“eterno, sconosciuto, non visibile, inconoscibile” per noi occidentali sono gli
attributi stessi del Supremo
Per l’esperienza orientale gli attributi sono “ sempre
chiaro, sempre esistente, splendente e senz’ombra” anche questi descrivono la
medesima cosa che sia chiamato Spirito Uno, Dio, Inconscio collettivo, Supremo,
il Buddha ecc.. e il nostro spirito ne è compreso.
Quanto più ci si concentra sui propri contenuti inconsci,
tanto più essi si ricaricano di energia,
essi si animano come illuminati dall’interno e si
trasformano in una specie di realtà sostitutiva.
Coloro che sono incatenati nella cupidigia non possono percepire la “chiara luce”.
La “chiara luce” si riferisce allo Spirito Uno.
I desideri anelano a realizzarsi all’esterno e forgiano la
catena che vincola l’uomo al mondo conscio; naturalmente in questo stato non
può rendersi conto dei propri contenuti inconsci.
Il ritirarsi dal mondo conscio ha una forza guaritrice.
Perfino la “via di mezzo” finisce per essere oscurata dalla
cupidigia; il problema non consiste tanto nel ritirarsi dagli oggetti
desiderati, quanto in un atteggiamento distaccato nei confronti del desiderio
in quanto tale, indipendentemente dal suo oggetto.
Non possiamo procurarci violentemente la compensazione
inconscia servendoci dell’impeto di desideri incontrollati, ma dobbiamo
spettare pazientemente, e stare a guardare se essa nasca da sola, e accettarla
come ci si presenta. Siamo così obbligati a un atteggiamento contemplativo che
non di rado ha già in sè un effetto liberatore e salutare.
“Dato che in realtà la
dualità non esiste, la molteplicità è falsa”
Questa è certamente una delle verità fondamentali
dell’Oriente. Non ci sono contrasti: sopra e sotto è sempre il medesimo albero.
La molteplicità è ancora più illusoria, poiché tutte le
formule singole procedono dall’indifferenziabile unità della matrice psichica,
nell’inconscio profondo.
Questo si riferisce al fattore soggettivo, al materiale
costellato direttamente da un impulso, cioè alla prima impressione che
interpreta ogni nuova percezione nel senso di precedenti esperienze.
L’”esperienza” precedente risale fino agli istinti e così
alle forme ereditate e inerenti del comportamento psichico, alle leggi
ancestrali ed “eterne” dello spirito umano. Se si tenta di identificarsi con
l’origine monistica della vita, bisogna chiudere gli occhi al dualismo e al
pluralismo e dimenticare che esiste un mondo. Ci si pongono le domande:
perché lUno dovrebbe apparire come i Molti, quando l’ultima
realtà è un Tutt’uno?
Qual è la causa del molteplice o dell’illusione del
molteplice?
Se l’Uno trova piacere in sé, perché dovrebbe specchiarsi
nei Molti?
Che cos’è più reale, l’Uno che si specchia o lo specchio che
è adoperato?
Tali domande sono lecite ma senza risposta.
Si raggiunge il diventare uno al momento in cui ci si ritrae dal mondo
della coscienza. Nella stratosfera dell’inconscio non ci sono più tempeste,
poiché nulla è così differenziato, da essere in grado di produrre tensioni e
conflitti che appartengono alla superficie della nostra realtà.
Lo spirito, in cui sono uniti i non-unificabili, samsàra e
nirvana, è in definitiva il nostro spirito.
L’atteggiamento collettivo introverso dell’Oriente non ha
permesso al mondo dei sensi d’interrompere il collegamento vitale con
l’inconscio; la realtà psichica non è stata seriamente combattuta nonostante
l’esistenza delle cosidette speculazioni materialistiche.
Il solo stato analogo a questo fatto è lo stato spirituale
del primitivo che fonde nel modo più sorprendente sogno e realtà.
L’Occidente ha coltivato l’altro aspetto della primitività,
cioè l’osservazione estremamente precisa della natura a spese dell’astrazione.
Le nostre scienze derivano dalla sorprendente capacità di osservazione del
primitivo.
Abbiamo fatto scarso uso dell’astrazione per paura che i
fatti ci contraddicessero. L’Oriente invece coltiva l’aspetto psichico della
primitività insieme con un’esorbitante quantità di astrazione.
I fatti sono storie interessantissime, ma non molto di più.
L’Oriente afferma che lo spirito è insito in ciascun uomo.
Spostando il sentimento della personalità sulle sfere
spirituali meno note, si ottiene un effetto liberatore. E’ la funzione
trascendente che produce la trasformazione della personalità, è importante che
vi sia una compensazione spontanea inconscia.
La compensazione dell’”intera essenza” di queste dottrine
sembra anche l’”intera essenza” dell’”autoliberazione”.
Per l’occidentale questo significherebbe: “impara la tua
lezione e ripetila, e allora libererai te stesso”.
Molti europei che si limitano a svolgere l’attività dello
yoga in modo estroverso, dimenticano completamente di volgere lo spirito verso
l’interno, che è la cosa essenziale con questo tipo di dottrina.
In Oriente le verità fanno talmente parte della coscienza
collettiva da essere comprese anche soltanto intuitivamente.
L’occidentale non è in condizioni di liberarsi dalla sua
storia, egli ha per così dire, la storia nel sangue. Per questo la domanda da
porsi è: “che senso ha praticare lo yoga se la parte oscura dell’uomo resta
cristiano-medievale?
Soltanto se una
persona ha il coraggio di uscire dalla forza centripeta delle convenzioni
occidentali e smette di pensare che ciò che importa nella vita sia la politica,
la finanza ecc.. il suo caso può considerarsi favorevole ma tutto il resto è un
falso spirituale, lo yoga è molto di più di un’attività sportiva, non deve
essere praticato al posto dell’aerobica.
E’ necessaria la congiunzione degli opposti, specialmente il
difficile compito del collegamento di estroversione e introversione mediante la
funzione trascendente altrimenti non si può entrare nella visione della spiritualità orientale.
Per il pensiero orientale “Lo spirito è di saggezza
intuitiva”
Per spirito viene inteso il “diretto apprendimento della
prima impressione” che trasmette l’intera somma dell’esperienza precedente
basata su fondamenti istintivi.
La formula richiama l’attenzione sul carattere eminentemente
differenziato dell’intuizione orientale.
Lo spirito intuitivo è noto perché non si prendono in
considerazione i fatti bensì le possibilità.
L’affermazione che lo spirito non ha “esistenza alcuna” si
riferisce chiaramente alla “potenzialità” peculiare dell’inconscio. Una cosa
sembra esistere soltanto in quanto ne siamo consci, e così si spiega
l’inclinazione occidentale a non credere nell’inconscio.
Le differenti espressioni usate per esprimere un’idea
“difficile” oppure “oscura” costituiscono una preziosa fonte d’informazioni sul
modo in cui è possibile interpretarla. Una cosa poco nota o ambigua può essere
descritta in molteplici modi al fine di descriverne la sua particolare natura.
I “differenti nomi dato allo spirito sono innumerevoli” e
ciò che può essere descritto in vari modi presenterà altrettante qualità o
sfaccettature che, se effettivamente innumerevoli non possono essere
contate, ne deriva che la sua natura è pressoché
indescrivibile e incomprensibile.
Esso non può mai essere completamente realizzato. Spirito è
l’equivalente orientale del nostro inconscio, specialmente nel concetto di
inconscio collettivo.
Lo spirito è chiamato anche il “Sé spirituale”.
Il Sé è un concetto importante e benchè i suoi simboli siano
prodotti dell’attività inconscia e si manifestino soprattutto nei sogni, i
fatti compresi nel concetto non sono soltanto di tipo psichico, ma abbracciano
anche aspetti della vita fisica.
Nei testi orientali
il Sé rappresenta un’idea puramente spirituale, nella psicologia occidentale il
Sé rappresenta la totalità che abbraccia istinti, fenomeni fisiologici e
semifisiologici.
Lo spirito come “mezzo per raggiungere l’altra riva” accenna
a un collegamento tra la funzione trascendente e l’idea dello spirito o il Sé.
Poiché la natura inconoscibile dello spirito, cioè
dell’inconscio, si mostra sempre alla coscienza sottoforma di simboli – il Sé è
uno di questi – il simbolo funziona come un “mezzo per raggiungere l’altra
riva”; in altre parole è un mezzo di trasformazione, il simbolo agisce come
trasformatore di energia.
Una qualità propria dell’inconscio collettivo è la atemporalità,
sembra che la pratica dello “yoga dell’autoliberazione” reintegri nella coscienza tutto il sapere dimenticato
del passato.
Questo è anche un aspetto importante della psicologia
dell’inconscio; nell’analisi sistematica di un individuo, lo spontaneo
ridestarsi delle forme ancestrali (come compensazione) produce una
reintegrazione. È anche un fatto che i sogni premonitori sono relativamente
frequenti e da ciò appare chiaramente
quello che testi spirituali chiamano “la conoscenza del futuro”.
La connessione col Tutto si può esprimere dicendo che “il
proprio spirito è inseparabile dagli altri spiriti”.
Nello stato inconscio tutte le distinzioni scompaiono.
Nei testi orientali l’attuazione dello Spirito Uno è la
congiunzione del Trikàya; esso provoca un divenire uno.
Ma noi non siamo capaci d’immaginare come una tale
attuazione potrebbe essere mai perfetta in qualunque essere umano. Non possiamo
conoscere cosa alcuna che non sia separata da noi. Quando dico conosco “me
stesso” rimane un Io infinitesimale, l’Io che conosce, sempre separato da “me
stesso”. Questo Io, non più grande di un atomo, è del tutto ignorato dal punto
di vista essenziale non dualistico dell’Oriente, eppure in esso giace
l’universo nascosto nella sua totale molteplicità e non scomponibile realtà.
Nella visione Orientale si può essere e non essere
contemporaneamente: l’esperienza della “congiunzione” è un’esperienza che
valica i confini umani.
“Dato che lo Spirito Uno promana realmente dal vuoto e non
ha causa, lo spirito individuale è vuoto come il cielo”
Lo Spirito Uno e lo spirito individuale sono vuoti e privi
di contenuto, come l’Inconscio collettivo e
quello individuale.
“Tutte le manifestazioni sono in verità le nostre proprie
idee, autogenerate dallo spirito”.
Il dharma, legge,
verità, guida, non può essere “se non soltanto nello spirito”.
Si attribuiscono così all’inconscio tutte quelle facoltà che
l’Occidente attribuisce a Dio.
La funzione trascendente mostra tuttavia quanto sia
giustificato l’Oriente nel presumere che la complessa esistenza del dharma provenga dall’”interno”; essa
mostra anche il fenomeno della compensazione spontanea esistente al di là del
controllo umano corrisponde pienamente all’espressione “grazia” o “volontà di
Dio”.
L’Introspezione è l’unica fonte d’informazione giuda
spirituale.
Lo spirito è “saggezza naturale”, rimane incontaminato dal
male e non è congiunto al bene.
Ma può ciò accordarsi con il nostro temperamento o con la
nostra storia?
Colui che si applica al più alto yoga, dovrà dare prova
della propria indifferenza morale, non soltanto come colui che fa il male, ma,
in misura ancora maggiore come colui che lo soffre.
La liberazione
orientale tanto dal vizio quanto dalla virtù è collegata sotto ogni aspetto con
un distacco, così che lo yogi è condotto fuori da questo mondo a uno stato
d’innocenza attiva e passiva.
Ma ogni tentativo europeo di distaccarsi significasoltanto
liberarsi da considerazioni morali perciò chi si accosta alla cultura orientale
dev’essere cosciente di quanto questa lo porterà lontano dagli schemi di vita e
di pensiero occidentale.
Noi pensiamo che lo yoga consista soprattutto in un’intensa
concentrazione, ma testi orientali affermano che “questa meditazione è libera
da concentrazione intellettuale”.
Noi crediamo di sapere cosa si intenda per concentrazione,
ma è molto difficile riuscire a comprendere cosa sia la concentrazione
orientale.
Anzi il nostro modo di concentrarci può essere addirittura
il contrario di quello degli orientali.
Come mostra lo studio del buddhismo zen “libero da
concentrazione intellettuale” può significare soltanto che la meditazione non è
rivolta ad alcunché. Non avendo centro, essa è piuttosto un dissolversi della
consapevolezza e quindi un accostarsi direttamente allo stato inconscio.
La meditazione senza concentrazione sarebbe uno stato di
veglia, ma vuoto, al limite dell’assopimento: ciò viene chiamata meditazione
perfetta. Una specie di via regale verso l’inconscio.
L’esperienza mistica che sta al centro dell’illuminazione è
giustamente simbolizzata, nella maggior parte delle forme di misticismo, dalla
luce.
Il simbolo della rinascita descrive semplicemente la
congiunzione degli opposti, conscio ed inconscio, mediante analogie
concretistiche(sprofondamento nel buio e risalita verso la luce)
Alla base di ogni simbolo di rinascita si trova la funzione
trascendente, dato che questa conduce a un aumento della consapevolezza e
questo stato porta con se maggiore penetrazione, viene simbolizzato da maggiore
luce.
È perciò uno stato più illuminato in confronto alla relativa
oscurità dello stato precedente.
“Il compimento della
perfezione si raggiunge quando si cerca colui che agisce e non si trova in
alcun luogo uno che agisca”.
Tratto
e adattato dalla “Saggezza orientale” di C.G.Jung
questo post è bellissimo! grazie di averci regalato queste informazioni :)
RispondiEliminaGrazie per aver apprezzato LenaArt :)
RispondiEliminaGrazie!
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