L'idea che la ghianda sia celata alla vista, nascosta, sotterrata nell'infanzia, rimossa dimenticata e dunque possa essere redenta soltanto con l'introspezione attiva nello specchio della mente...è una falsa credenza...
Vedere è credere, credere in ciò che si vede, e questo fatto conferisce immediatamente il dono della fede alla persona o alla cosa che riceve lo sguardo. Il dono della vista è superiore ai doni dell'introspezione.
Perché tale vista è una benedizione: trasforma.
Noi siamo fenomeni offerti alla vista.
"Essere" è in primo luogo essere visibili. Il lasciarci passivamente vedere apre una possibilità di benedizione.
Perciò noi cerchiamo amanti e mentori e amici, affinché possiamo essere visti, ed essere benedetti.
Zone riservate e ombre non sono visibili. Si manifestano nelle reticenze, nelle circonlocuzioni e negli eufemismi, negli occhi ombroso, distolti, nei lapsus, nei gesti esitanti, nei ripensamenti, nelle omissioni.
Non c'è niente di ovvio in una faccia e niente di semplice in una superficie.
Il presunto nascosto è anch'esso in vista e suscettibile di essere notato, anzi è una parte di ciò che qualsiasi evento offre a chi sa guardare.
L'immagine che un mentore scorge in un allievo o in un apprendista non è né tutta davanti né quel che è nascosto dietro, non è né un falso sé e neppure uno vero; non esiste alcun me reale se non la realtà di me nella mia immagine.
Il mentore percepisce le pieghe di una complessità, quelle curve dentro/ fuori, sotto/sopra dell'implicito che sono la verità dell'immaginazione in ogni sua forma, per cui possiamo ben definire l'immagine.
Eccomi sono qui, proprio davanti ai tuoi occhi. Riesci a leggermi?
Rivediamo l'idea della ghianda come potenzialità nascosta e invisibile. Pensiamola invece perfettamente visibile...
L'invisibilità della ghianda sta nel come di una prestazione visibile, nelle sue tracce....
L'invisibile è perfettamente visibile in ogni punto è momento della quercia e non è altrove o prima della quercia, ma si comporta come ordine implicito tra le pieghe del visibile, come il burro nella sfoglia dei croissant o l'aria fragrante nel pane che lievita: invisibile, ma non letteralmente tale, bensì l'invisibile fatto visibile.
Quando cerchiamo di vedere per mezzo di tipologie, categorie, classi, sistemi diagnostici, siamo incapaci di vedere comd stanno questa o quella persona.
I tipi, di qualunque genere, offuscano l'unicità.
L'occhio del cuore vede dei "ciascuni" ed è toccato dalla "ciascunicità".
Gli affetti del cuore scelgono sempre il particolare.
Ci commuove questa immagine e solo questa.
Ci innamoriamo di questa immagine particolare, non di una qualunque.
Ma anche se la persina particolare: se la vediamo come Irlandese o Tedesca, Ebrea o Cattolica, Nera o Bianca....allora non vediamo una persona, bensì categorie.
Parliamo sociologichese, non la lingua dell'anima.
I nostri fallimenti in amore, nelle amicizie, in famiglia spesso sono riconducibili a fallimenti della percezione immaginativa.
Quando non guardiamo con l'occhio del cuore, allora sì l'amore è cieco, perché in questi casi non sappiamo vedere l'altro come portatore di una ghianda di verità immaginativa. Può esserci il sentimento, ma non la vista; e come la vista si appanna, così si appannano la simpatia e l'interesse.
La percezione immaginativa richiede grande pazienza.
Come dicevano gli alchimisti dei loro complicati, frustranti esperimenti: "Nella tua pazienza è la tua anima".
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman
Non c'è niente di ovvio in una faccia e niente di semplice in una superficie.
Il presunto nascosto è anch'esso in vista e suscettibile di essere notato, anzi è una parte di ciò che qualsiasi evento offre a chi sa guardare.
L'immagine che un mentore scorge in un allievo o in un apprendista non è né tutta davanti né quel che è nascosto dietro, non è né un falso sé e neppure uno vero; non esiste alcun me reale se non la realtà di me nella mia immagine.
Il mentore percepisce le pieghe di una complessità, quelle curve dentro/ fuori, sotto/sopra dell'implicito che sono la verità dell'immaginazione in ogni sua forma, per cui possiamo ben definire l'immagine.
Eccomi sono qui, proprio davanti ai tuoi occhi. Riesci a leggermi?
Rivediamo l'idea della ghianda come potenzialità nascosta e invisibile. Pensiamola invece perfettamente visibile...
L'invisibilità della ghianda sta nel come di una prestazione visibile, nelle sue tracce....
L'invisibile è perfettamente visibile in ogni punto è momento della quercia e non è altrove o prima della quercia, ma si comporta come ordine implicito tra le pieghe del visibile, come il burro nella sfoglia dei croissant o l'aria fragrante nel pane che lievita: invisibile, ma non letteralmente tale, bensì l'invisibile fatto visibile.
Quando cerchiamo di vedere per mezzo di tipologie, categorie, classi, sistemi diagnostici, siamo incapaci di vedere comd stanno questa o quella persona.
I tipi, di qualunque genere, offuscano l'unicità.
L'occhio del cuore vede dei "ciascuni" ed è toccato dalla "ciascunicità".
Gli affetti del cuore scelgono sempre il particolare.
Ci commuove questa immagine e solo questa.
Ci innamoriamo di questa immagine particolare, non di una qualunque.
Ma anche se la persina particolare: se la vediamo come Irlandese o Tedesca, Ebrea o Cattolica, Nera o Bianca....allora non vediamo una persona, bensì categorie.
Parliamo sociologichese, non la lingua dell'anima.
I nostri fallimenti in amore, nelle amicizie, in famiglia spesso sono riconducibili a fallimenti della percezione immaginativa.
Quando non guardiamo con l'occhio del cuore, allora sì l'amore è cieco, perché in questi casi non sappiamo vedere l'altro come portatore di una ghianda di verità immaginativa. Può esserci il sentimento, ma non la vista; e come la vista si appanna, così si appannano la simpatia e l'interesse.
La percezione immaginativa richiede grande pazienza.
Come dicevano gli alchimisti dei loro complicati, frustranti esperimenti: "Nella tua pazienza è la tua anima".
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman
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