martedì 29 agosto 2017

Il mito arcaico e l'universalità dei dati sparsi nelle varie tradizioni


Platone sapeva ancora parlare la lingua del mito arcaico; nel costruire la prima filosofia moderna, egli rese il mito consono al proprio pensiero.
Platone ci ha dato una prima norma empirica, ed egli sapeva quel che diceva.
Dietro Platone si erge il corpus imponente delle dottrine attribute a Pitagora, di grezza formulazione in parte, eppure ricche di contenuto prodigioso della matematica primitiva, pregne di una scienza e di una metafisica destinate a sbocciare ai tempi di Platone; da qui provengono parole come "teorema", "teoria" e "filosofia".
Tutto ciò poggia a sua volta su quella che potremmo definire una fase proto-pitagorica, diffusa in tutto l'Oriente, ma con punto focale a Susa.
E infine c'è dell'altro ancora: il severo calcolo numerico dei Babilonesi.
Da tutto ciò deriva lo strano principio che "le cose sono numeri".
Una volta afferrato il filo che risale indietro nel tempo, la prova delle dottrine più tarde e dei loro sviluppi storici sta nella loro congruenza con una tradizione conservatasi intatta anche se compresa solo a metà.
Vi sono infatti semi che si propagano lungo le correnti del tempo.
E l' universalità, quando è unita a un disegno preciso, è già da sola una prova.
Quando per esempio un elemento presente in Cina compare anche in testi astrologici babilonesi, lo si deve considerare pertinente, poiché rivela un complesso di immagini insolite cui nessuno potrebbe attribuire una genesi indipendente per generazione spontanea.
Non è accidentale che i numeri come 108, oppure 9X13, si trovino, ripetuti in vari multipli, nei Veda, nei templi di Angkor, a Babilonia, negli oscuri detti di Eraclito e anche nella Valhöll norrena.
Vi è modo per controllare i segnali così sparsi negli antichi dati, nelle tradizioni, nelle favole, nei testi sacri.
Una morfologia comparata: il serbatoio dei miti e delle fiabe è assai vasto ma esistono 'segnacoli' morfologici per tutto ciò che non è semplice narrazione di tipo spontaneo.
Inoltre presso i promitivi 'secondari', quali gli Amerindi e gli indigeni dell'Africa occidentale, si trova materiale arcaico meravigliosamente ben conservato.
Abbiamo infine  racconti cortesi e annali dinastici che sembrano romanzi: il Feng-shen Yan-yi, il giapponese Nihongi, lo hawaiano Kumulipo, che non sono soltanto favole infarcite di credenze fantastiche.
Un'altra notevole fonte sono i testi sacri che in origine rappresentavano una forte concentrazione di attenzione su materiali distillati per la loro importanza nel corso di un lungo periodo di tempo e considerati degni di essere imparati a memoria generazione dopo generazione.
La tradizione druidica celtica veniva trasmessa non solo mediante canti ma anche attraverso una dottrina dell'albero molto simile a un codice; in Oriente, da giochi complessi fondati sull'astronomia si sviluppò una specie di stenografia che divenne poi l'alfabeto.
Una molteplicità rieccheggiante ove ogni cosa reagisce a ha un suo luogo e un suo tempo stabilito.
Una specie di matrice matematica, un'Immagine del Mondo che s'accorda a ognuno dei molti livelli, regolata in ogni sua parte da una rigorosa misura.
È la misura a fornire la controprova; molte cose possono essere identificate e ricombinante in base a regole a analoghe al vecchio detto cinese sui flauti rituali e il calendario.
Nell'universo arcaico tutte le cose erano segni e segnature l'una dell'altra, iscrizioni nell'ologramma, da divinarsi con sottigliezza.
E su tutte dominava il numero.
Tratto da "Il mulino di Amleto" di G. di Santillana e H. von Dechend

Nessun commento:

Posta un commento

Google+