martedì 30 maggio 2017

L'extra spazio-temporalità dei fatti parapsicologici


Occorre che la psicologia finisca di digerire certi fatti parapsicologici: ciò che essa non ha neppure incominciato a fare.
Pare infatti che la nostra psiche inconscia possieda proprietà che gettano una nuova e strana luce sui suoi rapporti con lo spazio e col tempo.
Si tratta di quei fenomeni telepatici, spaziali e temporali che, come sappiamo, è più facile ignorare che spiegare.
La scienza ha assunto la posizione più comoda; ma occorre convenire che le cosiddette capacità telepatiche della psiche hanno creato molti rompicapi, non certo sciolti dalla magica parola "telepatia".
La limitazione spazio-temporale della coscienza è cosa talmente prepotente, che ogni eccezione a tale verità fondamentale costituisce un fatto della massima importanza teoretica.
La psiche a cui la spazio-temporalità spetterebbe tutt'al più come una proprietà relativa e cioè condizionata, la barriera della spazio-temporalità potrebbe anche essere infranta e ciò necessariamente per mezzo della sua proprietà essenziale di essere relativamente extra spazio-temporale.
Questa possibilità è di tale incalcolabile portata che dovrebbe spingere ai massimi sforzi lo spirito di ricerca.
Accenno a questo tipo di fenomeni per rilevare come l'imprigionamento della psiche nel cervello, e cioè la sua limitazione spazio-temporale, non sia per nulla così indubbia e incrollabile come si è creduto sinora.
Chi conosca appena la documentazione parapsicologica abbastanza seria di cui già si dispone, sa che i cosiddetti fenomeni telepatici sono fatti incontrovertibili.
Un vaglio obbiettivo e una critica delle osservazioni fatte può stabilire l'esistenza di percezioni che accadono in parte come se non ci fosse lo spazio e in parte come se non ci fosse il tempo.
Non si può trarre una conclusione metafisica, nel senso che per l'essenza delle cose lo spazio e il tempo non esistano e che quindi lo spirito umano sia avviluppato nelle categorie dello spazio e del tempo come in una nebbia illusoria.
Spazio e tempo, oltre a costruire le certezze più immediate e spontanee, sono senz'altro evidenti empiricamente, giacché tutto ciò che è percettibile accade come se si svolgesse nello spazio e nel tempo.
Ma dove ci si attenga a determinati fatti non si può non riconoscere che l'apparente extra spazio-temporalità ne costituisce l'essenza più profonda.
Il fatto che le nostre capacità di rappresentazione non siano assolutamente in grado di immaginare una forma di realtà extra spazio-temporale, non prova però che una tale realtà non sia possibile.
Cosa significa in fin dei conti la "limitatezza dello spazio" considerata filosoficamente, se non una relativizzazione della categoria spaziale? E anche alla categoria temporale (come alla casualità) potrebbe accadere qualcosa di simile.
L'essenza della psiche si estende in tenebre che sono molto al di là delle nostre categorie intellettuali.
L'anima contiene non meno enigmi di quanti ne abbia l'universo con le sue galassie, di fronte al cui sublime aspetto soltanto uno spirito privo di fantasia può non riconoscere la propria insufficienza.
La conclusione è che la psiche partecipi profondamente a una forma di realtà extra spazio-temporale e appartenga quindi a ciò che in modo inadeguato e simbolico viene detto "eternità".
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G.Jung

giovedì 25 maggio 2017

I Dodici guaritori di Bach


Immaginate un cerchio di pietre con dodici monoliti disposti a intervalli regolari lungo la circonferenza, corrispondenti alle ore sul quadrante di un orologio.
Nel centro del cerchi o c'è uno spazio aperto.
Ora, visualizzate al centro una luce che si riversi sulla terra da un altro mondo, da un'altra dimensione.
Quando colpisce i monoliti, questa luce intensa genera ombre che si perdono nel buio.
Un lato di ogni pietra è illuminato e risalta contro l'ombra e la penombra, la parte invisibile è rivolta verso il buio.
I dodici monoliti equivalgono alle lezioni dell'anima dei Dodici guaritori.
Ognuno di noi, afferma Bach, nasce con il fine di imparare una di tali grandi lezioni.
L'aspetto negativo di ogni stato legato al rimedio è individuabile nell'ombra, nel buio, nell'isolamento che viviamo quando voltiamo le spalle alla luce.
Da qualsiasi punto della circonferenza possiamo guardare fuori, verso il buio e vedere paura o dolore, indifferenza, sofferenza o dubbio a seconda della lezione dell'anima che dobbiamo apprendere.
Se invece ci voltiamo verso la luce, incontriamo la forza positiva dell'insegnamento, che dona coraggio, pace, tolleranza o comprensione.
L'esperienza dell'amore e della luce, l'unità della vita, Bach vede tali virtù come le qualità di Cristo :
Ora, se consideriamo i dodici attributi di Cristo a cui maggiormente ambiamo e che Egli è venuto a insegnarci, troviamo le dodici grandi lezioni della vita.
L'azione dei rimedi floreali è quella di farci voltare, di indurci a passare alla via che porta alla luce dall'isolamento di un cammino che conduce alla tenebra.
Essi ci aiutano ad abbandonare la strada del dolore, dell'impazienza e dell'irritazione per seguire quella corroborante dell'indulgenza e della gentilezza.
In ciascuno di noi i quattro elementi del mondo fisico compongono il corpo fisico, mentre i quattro elementi del mondo invisibile compongono la nostra anima
Quest'ultima conosce la lezione di vita che ogni i individuo deve imparare.
Una a una le persone si voltano e iniziano a camminare nella vita.
All'inizio procedono affiancate, ma proseguendo nel cammino resteranno sole.
Lungo il percorso si presenteranno loro varie possibilità di crescere e apprendere.
Ciascuna le scorge, illuminate dalla luce che proviene da dietro; quando infine deciderà, allora si volterà e inizierà a ripercorrere i suoi passi verso la luce, verso il centro e il cerchio iniziale.
Tratto da "Fiori di Bach - forma e funzione " di J.Barnard

martedì 23 maggio 2017

Paracelso e la malattia

Il mondo di Paracelso è costituito, in grande come in piccolo, da particelle viventi, da entia.
E tali sono per lui anche le malattie, così come vi è un ens astrorum, veneni, naturale, spirituale e deale.
In una lettera all'imperatore egli spiegò la grande epidemia di peste del tempo come dovuta all'azione di sùccubi generati nelle case di prostituzione.
L'"ente" è parimenti un essere "spiritualistico", sicché nel suo libro Paragano egli dice: "....le malattie non sono corpora; perciò deve impiegarsi spirito contro spirito"
Con queste parole Paracelso vuol dire che secondo la dottrina dei corrispondentia a ogni ens morbi corrisponde un arcanum della natura, ad esempio una pianta o un minerale, costituente uno specifico per la corrispondente malattia.
Egli denominò  quindi le malattie non clinicamente o anatomicamente, ma secondo il loro rimedio specifico: vi erano così le malattie "tartariche", ossia quelle che erano curate col tartaro, che in questo caso era l'arcanum corrispondente.
Per questo egli approvò quella dottrina delle segnature che sembra essere stata uno dei principi fondamentali della medicina popolare del tempo, quale era praticata dalle lavatrici, dai chirurghi, dalle fattucchiere, dai ciarlatani, dai boia.
Per tale dottrina una pianta, ad esempio, che abbia le foglie a forma di mano è buona per le malattie della mano e così di seguito.
La malattia per lui è "una concrescenza naturale, qualche cosa di spirituale, di vivente, un germe".
Possiamo ben dire che per Paracelso la malattia è un necessario compagno vivente, un vero elemento costitutivo della vita umana, e non quell'odioso corpo estraneo che è per noi.
Perciò vi è anche parentela fra la malattia e quegli arcana presenti in natura e costitutivi della natura stessa, che sono altrettanto indispensabili per la natura è partecipi di essa quanto la malattia per l'uomo.
Paracelso attinse la propria esperienza da lunghi viaggi, senza disprezzare, da impareggiabile pragmatista, anche le fonti più torbide.
Trasse dalla zona primitiva e oscura della sua anima le idee filosofiche fondamentali della sua opera.
Riesumò un antichissimo paganesimo sotto la veste delle peggiori superstizioni del popolo minuto.
Lo spiritualismo cristiano si tramutó in lui nella sua fase preistorica, nell'animismo dei primitivi; e la formazione spirituale scolastica di Paracelso generò così una filosofia che non si accosta a nessun modello cristiano ma piuttosto al pensiero gnostico.
Non negò lo spirito a cui il suo sentimento credeva ma accanto ad esso eresse l'opposto principio della material la terra di fronte al cielo, la natura di fronte allo spirito; perciò egli non è divenuto un cieco sovvertitore, un genio mezzo truffaldino ma un padre della scienza naturale.
È presente in lui la pritiva partecipation mystique con la natura.
L'indissolubile e inconscio legame dell'uomo e del mondo stava ancora di fronte a lui come un dato indiscutibile, contro il quale il suo spirito cominciò a lottare con le armi dell'empirismo scientifico.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G. Jung

giovedì 18 maggio 2017

Simboli religiosi


Secondo l'opinione illuminista le religioni dovrebbero essere un che di simile ai sistemi filosofici e come quelli frutto di un'elaborazione cerebrale.
Qualcuno si sarebbe inventato Dio e altri dogmi...
Contro tale opinione sta però il fatto psicologico che proprio con il cervello si riesce male a pensare i simboli religiosi.
Questi non sono per nulla un prodotto della testa, ma di qualche altra cosa; forse del cuore; comunque di un profondo stato psichico il quale ha assai poco da fare con la coscienza, che è sempre e soltanto superficie.
Perciò i simboli religiosi hanno anche un netto carattere di "rivelazione" come prodotti spontanei di un'attività psichica inconscia.
Essi sono tutto fuorché "pensati"; sono cresciuti lentamente, come piante, nel corso dei millenni, quali manifestazioni naturali dell'anima dell'umanità.
Essi spuntano nell'inconscio come fiori di specie ignota e la coscienza rimane smarrita e non sa bene che cosa fare con tale nascita.
Non è troppo difficile stabilire che quei simboli individuali provengano, per loro contenuto come per la forma, da quello stesso "Spirito" inconscio (o quel che esso sia) da cui provengono le grandi religioni degli uomini.
L'esperienza prova che le religioni non sorgono quali frutti di un'elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell'anima inconscia che in qualche modo esprimono adeguatamente.
Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull'umanità.
Tale azione sarebbe incomprensibile se i simboli religiosi non fossero per lo meno verità naturali psicologiche.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G.Jung

martedì 16 maggio 2017

Aforismi junghiani sui "tempi moderni"(1927)


-La lotta dei contrari nel mondo degli uomini si svolge sul piano dello spirito applicato si esprime sui campi di battaglia e nei bilanci delle banche, nella donna è un conflitto dell'anima.

-L'uomo del presente deve applicarsi all'avvenire. Deve lasciare ad altri il compito di tenere in piedi il passato.
Egli non è soltanto un costruttore ma anche un distruttore.
Tanto lui quanto il suo mondo sono incerti ed ambigui.

-Le vie che il passato gli ha indicato e le risposte che esso dà alle sue domande sono insufficienti di fronte alle necessità del presente. Le vecchie vie comode sono chiuse.

-La via nuova deve passare per un terreno vergine, senza presupposti e purtroppo spesso anche senza pietà. 

-La morale è l'unica cosa che non possa essere perfezionata poiché ogni modificazione della morale tradizionale è propriamente un'immoralità.

-Una delle caratteristiche della donna è che per amore di un uomo essa è in grado di fare di tutto.
Eccezionalissimo è invece il caso delle donne che abbiano compiuto atti notevoli per amore di una cosa: ciò non risponde alla loro natura.

-Ciò che appartiene al sesso opposto si trova sempre pericolosamente vicino all'inconscio.

-Ogni vita non vissuta rappresenta un potere distruttore e irresistibile, che opera in modo silenzioso ma spietato.

-La liberazione dai legami naturali porta con sé la liberazione di cospicue forze psichiche, che chiedono inevitabilmente di essere usate.

-Ogni qualvolta una simile somma di energie non trova uno scopo che le si confaccia, provoca una perturbazione dell'equilibrio dell'anima.
Ogni energia senza scopo cosciente rafforza l'inconscio e ne sorgono incertezza e dubbio.

-La sua psicologia (della donna) è basata sull'Eros, il grande impulso che lega e libera, mentre all'uomo fu sempre attribuito quale principio supremo il Logos.

-In linguaggio moderno il concetto di Eros potrebbe essere espresso come "relazione delle anime" e il Logos come "interesse obbiettivo".

-Ma la più parte degli uomini è eroticamente cieca, poiché commette l'imperdonabile malinteso di scambiare Eros con sessualità.

-L'uomo crede di possedere sessualmente: ma mai la possiede meno di allora.
Infatti per la donna la sola relazione che conti è quella erotica.

-Per l'uomo l'Eros appartiene al regno delle ombre e lo avvolge nell'inconscio femminile, nella "sfera dell'anima"; mentre per la donna il Logos è un ragionare moralmente noioso, quando non addirittura temibile e ripugnante.

-La donna è "psicologica" in misura assai maggiore dell'uomo. Quest'ultimo solitamente si accontenta della sola "logica".

-Tutto quanto è pertinente dell' anima, dell'"inconscio" gli dà fastidio e gli appare nebuloso, vago, patologico.

-Le relazioni umane, contrariamente alle discussioni obbiettive, passano proprio attraverso la "sfera dell'anima",  regno di mezzo che si estende dal mondo dei sensi e degli affetti con i allo spirito e continente qualcosa di ambedue, senza venir meno alla sua natura caratteristica.

-L'uomo dovrà avventurarsi su questo terreno se vorrà andare incontro alla donna.

-Maschilità vuol dire: sapere ciò che si vuole e fare il necessario per ottenerlo.
Quando lo si è imparato, esso diventa talmente chiaro che non è non è possibile dimenticarlo senza un grave danno spirituale.

-L'autonomia e il senso critico acquistati grazie a questa conoscenza sono valori positivi, valutati come tali dalla donna che quindi non sarà più disposta a rinunciarvi.

-Non è forse una vecchia verità che la donna ama nell'uomo forte più la debolezza che non la forza e nell'uomo intelligente più la stupidità che non l'intelligenza? È questo che vuole l'amore della della donna: l'uomo nella sua interezza e non "allo stato puro"; ma anche la negazione di lui, seppure appena accennata.
Perché l' amore della donna -contrariamente a quanto accade nell'uomo - non è un sentimento,  bensì una volontà di vita, che è talvolta spaventosamente antisentimentale, sino a portare la donna al sacrificio di sé stessa.

-Nella nostra forza siamo indipendenti e isolati, artefici del nostro destino.
Nella nostra debolezza invece siamo dipendenti e legati, strumenti non volontari del destino: poiché qui non parla più la volontà propria, ma quella della specie.

-"Rispettabile" è colui che è in grado di "mostrare sé stesso"; quindi uno che risponde all'aspettativa generale; con altre parole, una maschera ideale; in breve, un inganno.
Le buone forme non sono in sé stesse un inganno, ma quando la rispettabilità rimuove l'anima - il contenuto vero, voluto da Dio, - siamo di quelli che Cristo ha chiamato un "sepolcro imbiancato".

-La storia è fatta soltanto da chi ha il coraggio di combattere in prima linea, portando sono al compimento l'esperimento, che è la sia vita stessa, e dichiarando con ciò che la sua vita non è una continuazione ma un principio.

-La donna si convince sempre più che solo l'amore sarà in grado di conferirle una statura più piena; così come l'uomo comincia a sospettare che solo lo spirito saprà dare un senso supremo alla sua vita; e in fondo sono ambedue alla ricerca di una mutua relazione delle loro anime, perché per raggiungere il compimento l'amore ha bisogno dello spirito e lo spirito dell'amore.
Di una fedeltà superiore, fedeltà nello spirito e nell'amore, al di là delle debolezze e delle imperfezioni umane.

-Chi conserverà sé stesso, sperimenterà il senso dell'essere sé stesso soltanto se sarà capace di scendere anche all'interno di sé verso ciò che è indifferenziatamente umano.

-Che altro potrebbe riscattarlo dalla solitudine interiore della differenziazione personale? Che altro potrebbe servirgli come ponte spirituale verso l'umanità? Chi sta in alto e spartisce tra i poveri i suoi beni, è staccato dall'umanità per la stessa sublimità della sua virtù, e quanto più atti compie per gli altri, dimenticando e sacrificando sé stesso, tanto più egli si estranierà interiormente da tutto ciò che è umano.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G. Jung

giovedì 11 maggio 2017

Fallo, madre e cavallo come simboli onirici

Fallo
Essi non significano necessariamente altro che il membro.
Dal punto di vista della psiche anche il membro è un'immagine che sta in luogo di qualche ulteriore elemento difficilmente determinabile: lo dimostra il fatto che ai primitivi e agli antichi (che facevano uso di simboli fallici con grande libertà) non è mai accaduto di scambiare il fallo, simbolo rituale, col pene.
Esso significava invece il  mana creatore, la forza medica e generatrice, espressa in forma equivalente dal toro, dall'asino, dal melograno, dal yoni, dal montone, dal lampo, dallo zoccolo di cavallo, dalla danza, dall'amplesso magico sul terreno coltivato, dal mestruo e da infinite analogie.
Sta alla base di tutte quelle analogie e quindi anche della sessualità e il significato più di ogni altra cosa si avvicina psicologicamente al primitivo simbolo del mana.
Madre
Madre è un archetipo che significa origine, natura, passiva entità generatrice (perciò materia) ed esprime quindi anche la natura materiale, il grembo (l'utero) e la finzione vegetativa, e quindi, anche l'inconscio, ossia ciò che vi è di naturale e d'istintivo, il fisiologico, il corpo (in cui si abita e si è contenuti), giàcche "madre" è anche recipiente, forma concava (ancora grembo) che contiene e nutre e quindi ancora psichicamente ciò che sta alla base della coscienza.
Con l'"essere contenuto" e l'"essere dentro" è collegata l'oscurità, l'aspetto notturno e angoscioso... una parte essenziale del concetto di yin dell'antica filosofia cinese.
La parola madre che suona così familiare, si riferisce apparentemente alla madre individuale, più nota di ogni altra, "mia madre"; come simbolo si riferisce però a ogni formulazione concettuale che si può indicare in modo assai vago ed approssimato come vita occulta, naturale, corporea. La vita inconscia.
Cavallo
È un archetipo diffusissimo nella mitologia e nel folklore.
Come animale rappresenta lo psichismo non umano, il subumano, l'animalesco e con ciò lo psichismo inconscio: perciò nel folklore i cavalli sono veggenti e comprendono il linguaggio e talora parlano.
Come bestie da soma essi hanno una stretta relazione con l'archetipo della madre (le Valchirie che portano gli eroi morti nel Walhalla, il cavallo di Troia, ecc).
Come cosa inferiore all'uomo, rappresenta il ventre e il mondo degli istinti che se ne sprigiona.
Il cavallo è forza e veicolo, esso trascina come l'istinto ma come l'istinto è soggetto al panico, giacché gli manca la qualità superiore della coscienza.
Esso ha a che fare con la magia e cioè con un'azione irrazionale, incantatoria e questo in particolar modo per i cavalli neri (e cioè notturni) che annunciano la morte.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G. Jung

martedì 9 maggio 2017

I sogni e i "grandi sogni"


L'"altro" di cui si sogna non è il nostro amico o il nostro vicino, ma l'"altro" in noi, quello di cui noi preferiamo dire: "O mio Signore ti ringrazio di non essere come lui".
Certo il sogno, figlio della natura, non ha intenzioni moraleggianti: esso illustra soltanto il noto principio secondo cui non si può fare il passo più lungo della gamba.
Nell'inconscio abbonda sempre tutto ciò che manca invece alla coscienza, ossia che esso ha una funzione compensatoria rispetto alla coscienza, si possono già trarre dal sogno conclusioni, purché il sogno stesso non provenga da strati psichici troppo profondi.
In quest'ultimo caso, il sogno contiene solitamente quelli che si possono chiamare motivi mitologici, ossia complessi di rappresentazioni o immagini corrispondenti a quelli che si riscontrano nella mitologia del proprio popolo i di altri popoli.
Il sogno racchiude allora un senso collettivo, ossia un senso genericamente umano.
Non siamo, quali soggetti o individui, unici della nostra specie, ma simili agli altri uomini.
Un sogno con significato collettivo vale anzitutto per lo stesso sognatore; ma è nel contempo espressione del fatto che il suo problema momentaneo è anche un problema di altri uomini.
Vi sono molti individui interiormente isolati rispetto agli altri uomini che si lasciano dominare dall'idea che gli altri non abbiano i loro stessi problemi.
Oppure si tratta di persone eccessivamente modeste che nel loro sentimento radicato di non valere nulla hanno tenuto troppo nascosta la loro aspirazione a un'attività collettiva.
Inoltre tutti i problemi del singolo si collegano in qualche modo al problema dell'epoca.
Ciò è lecito solo nel caso in cui il sogno utilizzi effettivamente una simbologia mitologica ossia collettiva.
I primitivi indicano come "grandi" i sogni di questo genere.
I primitivi dell'Africa orientale dispongono che i grandi sogni siano riservati ai grandi uomini ossia stregoni e capitribù.
Sogni siffatti si producono anche in uomini comuni specie quando si trovano in uno stato di grande disagio spirituale.
Nel trattare i grandi sogni sono necessarie conoscenze estese ma anche solo con le conoscenze nessun sogno può venire interpretato.
Tali conoscenze non debbono essere infatti un inerte materiale mnemonico, ma debbono possedere, in colui che lo applica, la qualità dell'esperienza.
In ognuno di noi vi è un altro che noi non conosciamo e che ci parla attraverso il sogno comunicandoci come egli ci veda diversamente da come noi vediamo noi stessi.
L'altro può talora fornirci una luce che sarà meglio in grado di modificare radicalmente il nostro atteggiamento.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G. Jung

martedì 2 maggio 2017

I sogni


Esiste una via che è stata abbandonata da tempo, riconosciuta come illusione, anzi sciocchezza. Quella zona non è altro che il fugace, effimero, grottesco prodotto della notte, il sogno, e la via è la comprensione del sogno.
Gli è proprio l'antico "sacro mistero", secondo il quale il sogno è visione interiore.
Il sogno è la piccola porta occulta che conduce alla parte più nascosta e intima dell'anima, aperta sulla notte cosmica originaria che era già anima molto tempo prima che esistesse una coscienza dell'Io e che sopravvivrà come anima a tutti i prodotti della coscienza dell'Io, giacché ogni coscienza dell'Io è isolata e conosce il singolo in quanto divide e separa e vede solo ciò che ha relazione con questo Io.
La coscienza dell'Io consta di tante limitazioni anche quando si estende sino alle più lontane nebulose stellari.
La coscienza divide: ma col sogno penetriamo nell'uomo più profondo, universale, vero ed eterno, ancora immerso in quell'oscurità della notte primitiva in cui egli era tutto e tutto era in lui, nella natura priva di ogni differenziazione e di ogni essere Io.
Da tale profondità, che collega tutto, nasce il sogno, per quanto infantile, grottesco e amorale esso sia.
La sua spregiudicatezza e la sua sincerità sono tali da dar arrossire la nostra mendacità autobiografica.
Nelle civiltà più antiche i sogni più impressionanti erano considerati messaggi divini.
Fu riservato al nostro razionalismo di spiegare il sogno con i "resti del giorno"...
Perché si vuol dimenticare che tutto quanto vi è di notevole e di bello nell'ampio campo dell'umana civiltà è nato da una felice ispirazione?
Che cosa mai diverrebbe  l'umanità se nessuno avesse più ispirazioni?
Solo quando ci accade di non aver alcuna ispirazione, comprendiamo fino a qual punto noi ne dipendiamo.
Ma il sogno non è che un'ispirazione di quell'oscura anima che collega tutto.
Anche se un intero mondo si sfasciasse, la connessione universale dell'anima oscura non potrebbe infrangersi.
E più si moltiplicano e si allargano le scissioni alla superficie, più aumenta nel profondo la forza dell'Uno.
I vostri sogni sono l'espressione del vostro essere soggettivo e possono perciò mostrarvi per quale falsa impostazione vi siete smarrito in quella via senza uscita.
I sogni sono puri prodotti della psiche inconscia, spontanei, imparziali, indipendenti dall'arbitrio della coscienza.
Essi sono natura pura e perciò di verità naturale, non adulterata.
Occuparsi dei sogni significa prendere conoscenza di sé.
La coscienza assume dati obbiettivi del sogno come comunicazione o messaggio dell'unica anima inconscia dell'umanità.
Non ci si conosce in base all'Io ma al Sé, a quel Sé straniero che fondamentalmente nostro.
Tratto da "Realtà dell'anima" di C.G. Jung

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