giovedì 29 settembre 2016

La divinità nei numeri


L'Ineffabile è al di là della nostra conoscenza; con il nostro linguaggio non possiamo neppure dire se Egli esista.
L'Ineffabile automanifesto, quindi non più Ineffabile, è l'Elohīm, duplice ( Immanifesto e Manifesto ) e, mentre l'Immanifesto è ( simbolicamente ) privo di sesso, il Manifesto possiede ( simbolicamente ) entrambi i sessi.
Poi, per così dire, c'è anche l'altro-manifestato-Immanifesto, cioè la manifestazione dell'Immanifesto come altro al di là di sé, ed è quest'ultimo che contiene i quattro mondi.
Tutte e tre costituiscono la Trinità: rispettivamente Spirito Santo, Figlio e Padre, dove il Padre è identico al Mondo.
Uno è il numero della Divinità in se stessa;
Due il numero della Divinità Manifesta, poiché il Figlio contiene entrambi;
Tre è per l'uomo il numero della Divinità completa.
Quattro, essendo i quattro mondi, è il numero della realtà, o della manifestazione come realtà.
Cinque, essendo i quattro mondi del Padre e il mondo cui dà forma il Figlio  (come uno), è il numero della perfezione del mondo.
Sei, essendo i quattro mondi più le Due Nature del Figlio, è il numero della Creazione o Perfezione di Dio e dell'Uomo, o di Dio e del Mondo, e quindi i sei giorni della Creazione.
Sette è la somma di questi con il Mondo Supremo e quindi il mumero perfetto, nel quale c'è comprensione completa poiché contiene la pienezza (quattro) del Mondo, la pienezza  (due) del Figlio Formatore e la pienezza (uno) dello Spirito Santo.
L'Essere Supremo è ciò che essenzialmente esiste e supremamente è.
Egli, però, pensa se stesso e nel pensarsi diventa Oggetto di se stesso, ovvero la propria passività o femminilità; questo è ciò che chiamiamo Figlio... "per la Seconda Persona della Trinità suoneranno due rintocchi di campana perché Essa è  femminile".
Tratto da " Pagine esoteriche " di Fernando Pessoa

martedì 27 settembre 2016

Il numero come fondamento di tutte le cose

La quantità, numero in sé, infinito, la qualità di un'idea.
È grazie alla Quantità  (ideale) che noi conosciamo la pluralità delle cose.
Perciò la quantità in sé produce tale pluralità.
C'è più di un'idea, ce ne sono molte, quindi una volta che ce n'è più di una, ce n'è un numero infinito.
Il numero, allora, precede l'idea.
È stata una profonda intuizione dei discepoli di Pitagora quella di porre il numero a fondamento di tutte le cose.
I tre mondi: il mondo casuale, il mondo intellettuale e il mondo numerico.
La realtà del mondo "materiale" dipende dal numero. In questo mondo-risultato siamo come ogni ente, meri numeri.
Ma i numeri hanno una logica, una ragione.
Non presuppongono nient'altro. (Neanche la coscienza di essi)
Ma i numeri hanno un ordine. Per questo, al di sopra dei numeri c'è la ragione dei numeri.
Questa ragione è del tutto immanente ai numeri.
La pensiamo soltanto grazie a quel fenomeno che ha luogo tra i numeri e che chiamiamo Legge.
Ma questa ragione deve avere un'ordine, una causa.
Quindi al di sopra del mondo razionale c'è il mondo causale.
Il mondo numerico è retto dagli dei; vale a dire, relativamente al mondo che concepiamo, il politeismo è la Verità.
Ma nel mondo razionale non ci sono più dei, o meglio, questo mondo è al di sopra degli dei.
Esso non è reale:  cioè non c'è niente in noi che ci permetta di affermarne l'esistenza.
Il mondo razionale non può essere raggiunto né  dai sensi che insegnano l'idea di Realtà, né dalla ragione, che insegna l'idea di Legge, né dalla Coscienza, che insegna l'idea di Essere.
Nessuna nostra facoltà, nessuna modalità di percezione ci può innalzare fino al mondo razionale; tutt'al più possiamo scorgere il riflesso tra i numeri.
Perché ci sono numeri, relazioni fra numeri  (riflesso della Ragione), esistenza  (astratta) di numeri e relazioni fra loro, in quanto il dato comune fra numeri e le loro relazioni consiste nell'essere "cose" che esistono.
Ciò che il pensiero concepisce come infinitamente divisibile non e la materia,  ma l'idea astratta di materia.
La matematica è una scienza soltanto al proprio interno.
Non è applicabile alla realtà.
Tratto da " Pagine esoteriche " di Fernando Pessoa

sabato 24 settembre 2016

Melki-Tsedeq e Salem


Melki-Tsedeq è re e sacerdote insieme: il suo nome significa "re di Giustizia" e nello stesso tempo è  re di Salem cioè della Pace; ritroviamo la Giustizia e la Pace, i due attributi fondamentali del Re del Mondo.
La parola Salem, contrariamente all'opinione comune, in realtà non ha mai designato una città, ma se ls si prende quale nome simbolico della residenza di Melki-Tsedeq, può essere considerata come un equivalente del termine "Agarttha".
In ogni caso è un errore vedere in essa il nome primitivo di Gerusalemme, perché quel nome era "Jebus"; al contrario, se il nome di Gerusalemme fu dato a quella città allorché gli Ebrei vi fondarono un centro spirituale, fu per indicare che da quel momento essa era come un'immagine visibile della vera "Salem"; bisogna notare che il Tempio fu edificato da Salomone il cui nome (Shlomoh) deriva da Salem, sognifica il "Pacifico".
Possiamo dire che ci troviamo qui al punto di congiunzione fra la tradizione ebraica e la grande tradizione primordiale.
Sion in realtà potrebbe essere uno dei centri spirituali secondari e tuttavia identificarsi simbolicamente al centro supremo in virtù della similitudine.
Come indica il suo nome Gerusalemme è effettivamente un'immagine della vera Salem; la Terra Santa non è soltanto la Terra d'Israele.
A questo proposito è assai significativa, quale sinonimo di Terra Santa, l'espressione Terra dei Viventi: tale espressione designa chiaramente il "soggiorno d'immortalità" sicché nel suo significato più vero, può essere attribuita al Paradiso Terrestre o ai suoi equivalenti simbolici; ma tale appellativo è stato esteso anche alle "Terre Sante" secondarie, e in particolare alla Terra d'Israele.
Si dice che la Terra dei Viventi comprende sette terre e secondo il Vulliaud questa terra è Chanaan, dove si trovano i sette popoli.
Questo è esatto in senso letterale; ma simbolicamente queste terre potrebbero benissimo corrispondere, come d'altronde quelle di cui si parla nella tradizione Islamica, ai sette "dwCEpa" che secondo la tradizione Indù, hanno il "M^ru" come centro comune.
Tratto da " Il Re del Mondo" di Réne Guénon

giovedì 22 settembre 2016

Gli ostacoli della vita e la via verso l'Alto


L'uomo non era destinato ad essere ciò  che è: è divenuto tale solo in seguito alla Caduta.
Ritrovare la Parola significa ritrovare l'autentica Legge Umana, l'Adamo primitivo e androgino, fatto a immagine di Elohīm
Realizzare dentro di sé l'unione dei due principi: ecco la Legge Umana ritrovata, la vera creazione della pietra filosofale....
Ogni uomo che debba aprirsi a una via verso l'Alto incontrerà di continuo ostacoli incomprensibili.
Se fosse soltanto per gli ostacoli che si frappongono al cammino e che spronano, per il pericolo o per la resistenza immediata, andrebbe tutto bene e gli ostacoli stessi sarebbero un simbolo a procedere.
Ma egli ne troverà altri:
gli ostacoli subdoli, che fanno male e piegano;
gli ostacoli suadenti, che stordiscono e ammaliano;
gli ostacoli affettivi, che come accadde a Orfeo, lo indurranno a voltarsi verso l'Averno proibito.
Non solo impedimenti duri, come quelli eretti a ostacolo dalle rocce, ma anche impedimenti morbidi, come il ricordo delle valli o delle case ai piedi dei monti.
E il trionfo consiste nella capacità di sottomettere all'emozione superiore queste forze d'attrazione, pur sapendole sentire intensamente  (perché non saper sentire è non avere l'anima per l'ascesa); pur sapendo organizzare le volontà dell'amore e della terra, saperle anche sottomettere alla volontà dello spirito del mondo.
Questo percorso vittorioso è rappresentato dagli emblematisti nel simbolo della Crocefissione della Rosa, ossia nel sacrificio dell'emozione del mondo nelle linee incrociate della volontà fondamentale e dell'emozione fondamentale, che costituiscono il sostrato del Mondo, non come Realtà (il Circolo fiorito cioè la Rosa), ma come prodotto dello spirito  (la Croce).
Tratto da " Pagine esoteriche " di Fernando Pessoa

martedì 20 settembre 2016

Immaginate... l'anima nella scienza


Da lungo tempo abbiamo un mondo di scienza e sapere scientifico senza sapientia - saggezza dell'anima.
Immaginate adesso una nuova era, in cui fosse possibile avere un "scienza dotata di anima", una scienza che attingesse a un mistico "philosophorum" - un modo di vedere, pensare ed essere non determinato dalla routine, o dalla politica, o dall'utilitarismo, o dall'opportunismo, o dal mero freddo realismo, ma passato al vaglio dell'anima.
Immaginate: l'anima informata dalla scienza, la scienza informata nelle proprie applicazioni dall'anima.
Immaginate se potessimo offrire al mondo un modo di vedere che vada "oltre" - oltre il velo delle apparenze - e sveli come da impercettibili segnali  di insufficienza di risorse del pianeta, via via sempre più drammatici, nascano le visibili, atroci guerre che lo insanguinano.
Immaginate di parlare di scienze....entro l'ambito dell'anima....parlare a più livelli interconnessi contemporaneamente è parlare da profeti nel senso più visionario del termine.
Una persona  che vede l'incandescente forza vitale...laddove gli altri passano indifferenti, senza vedere...
Immaginate di insegnare ai giovani che la tutela di ogni essere umano e la costruzione della pace nel mondo iniziano con la tutela di quelle cose in mancanza delle quali gli esseri umani muoiono e per le quali giungono a uccidersi: disponibilità in quantità adeguate di acqua, aria, terra non inquinate; raccolti e medicinali; un ecosistema che non privi gli esseri umani del loro habitat,....che ricordi loro quotidianamente quella "Fonte che non ha altra fonte"....perché si è  già là: si è già "a Casa".
In questo senso la tutela degli elementi e della forza vitale della terra è  un sacro patto di fedeltà...
Gli elementi della terra ci influenzano profondamente, ben più che soltanto a livello di sussistenza fisica.
L'anima trova nei vetri in frantumi una metafora appropriata per ciò che nella psiche è a pezzi e viceversa ravvisa un boschetto un'oasi di quiete che evoca nella psiche pace e armonia.
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

sabato 17 settembre 2016

Analogia tra i gradi di iniziazione e la poesia


Il Neofita attraverso i gradi che tale qualifica descrive è essenzialmente un apprendista; la sua vita è diretta al compimento della conoscenza nella sfera esteriore.
Nell'Adepto, attraverso i suoi tre livelli, si verifica uno sviluppo del processo di unificazione della conoscenza con la vita.
Nel Maestro c'è, o si dice ci sia, un superamento dell'unità così raggiunta in virtù di una più elevata unità.
Il paragone con cose più semplici renderà tutto più chiaro.
Supponiamo che lo scrivere poesie sia il fine dell'iniziazione.
Il grado di Neofita consisterà nell'acquisizione degli elementi culturali con cui il poeta avrà a che fare scrivendo poesie e che saranno rispettivamente e in quella che sembra un'analogia esatta:
- grammatica; 
- cultura generale;
- cultura letteraria specifica  (...)
Il grado di Adepto consisterà sviluppando l'analogia:
- nello scrivere poesia lirica semplice come una comune lirica;
- nello scrivere poesia lirica complessa;
- nello scrivere poesia lirica ordinata o filosofica come nell'ode.
Il grado di Maestro consisterà a sua volta:
- nello scrivere poesia epica;
- nello scrivere poesia drammatica
- nella fusione di tutta la poesia, lirica, epica e drammatica  in una sintesi superiore ai tre generi.
La fusione di tutta la poesia lirica, epica e drammatica, in qualcosa che trascenda tutte e tre è un conseguimento che oltrepassa la comprensione...
Tratto da " Pagine esoteriche" di Fernando Pessoa

giovedì 15 settembre 2016

Le tre forme delle religioni


C'erano tre ragioni per le quali nelle religioni pagane certe verità venivano trasmisse solo in segreto e separatamente, per iniziazione.
La prima ragione era sociale: si pensava che non fosse opportuno trasmettere queste verità a chiunque a meno che costui non fosse in qualche modo preparato a riceverle e che avrebbero provocato effetti sociali disastrosi se fossero state rese pubbliche, perché ciò avrebbe comportato una loro cattiva comprensione.
La seconda ragione era filosofica: si pensava che, in se stesse, queste verità non fossero alla portata dell'uomo comune e che, se comunicate senza motivo, avrebbero potuto produrre confusione mentale e squilibrio di condotta.
La terza ragione era spirituale: si pensava che trattandosi di verità della vita interiore, non dovessero essere comunicate, ma solo evocate e che tale evocazione dovesse avvenire in forma solenne e avvolta nella segretezza, perché se ne potesse riconoscere il valore; attraverso il rituale, perché si potesse impressionare e produrre meraviglia; attraverso simboli, per indurre il candidato ad aprirsi da sé il proprio cammino, lottando interpretare i simboli, invece di credersi pieno di conoscenze come forma di dogma o precetto filosofico.
Le religioni degli antichi e soprattutto quelle pagane della Grecia e di Roma erano divise in tre forme.
C'era una forma sociale, il culto, propria dell'uomo in quanto cittadino .
C'era una forma individuale, la poesia, propria dell'uomo in quanto non - cittadino; osservato debitamente il culto, egli poteva figurarsi gli dei a suo piacimento ed elaborarne le leggende nel suo  modo che gli sembrasse più adeguato.
C'era la forma segreta, l'iniziazione, che, pur mantenendo il suo carattere segreto, partecipava delle caratteristiche di entrambe: era individuale, perché anche quando l'iniziazione era collettiva come nei grandi Misteri pagani, essa riguardava sempre l'individuo e non il gruppo; era sociale, perché l'iniziazione veniva trasmessa con un rituale e il rituale è sociale.
Tutte le religioni si trovano nella stessa condizione delle grandi religioni pagane.
Le tre forme di culto sono presenti in un modo o nell'altro in ognuna.
Nella religione cristiana, per esempio, abbiamo il culto pubblico sia con un cerimoniale elaborato come nella Chiesa Romana, sia con uno povero fino alla nudità come nelle sette protestanti estremiste;
Abbiamo la religione individuale in forma di riflessione personale sui dogmi e sulle formule di fede, cioè una teologia là dove prima si aveva la poesia;
E abbiamo la vita interiore del cristiano, che rappresenta la sua iniziazione, perché nelle religioni cristiane l'iniziazione si considera data solo da Cristo in forma mistica e non da un sacerdote o da uno ierofante in forma rituale o cerimoniale.
L'iniziazione pagana ha imboccato la via della Magia, come tutte le iniziazioni rituali.
L'iniziazione cristiana quella del Misticismo, come tutte le iniziazioni meditative.
Trattoda " Pagine esoteriche" di Fernando Pessoa

martedì 13 settembre 2016

L'essenza di Cristo


Cristo è la rappresentazione simbolica, umanizzata del processo, che il paganesimo non racconta o non sa raccontare, per il quale la Realtà è  passata dal Caos e dalla Notte  (Destino) agli Dei.
Tra l'Informe, rappresentato dal duplice mistero della Notte e del Caos e il Formato, che ha inizio con il primo dio, c'è  un abisso causale la cui natura il sistema pagano taceva di proposito.
Fra gli  dei e Cristo c'è una differenza.
Gli dei sono reali e di carne, fatti di una propria carne; esistono come noi, ma a un livello superiore; agiscono come noi, ma in modo compiuto; nascono come noi, ma non hanno tramonto  (né crepuscolo) né imperfezione.
Cristo invece non esiste se non simbolicamente; è  nella sostanza, simbolico.
Cristo è nella sua stessa realtà un mito ed reale nella misura in cui è mitico.
È  solo simbolo ma simbolo di sé stesso.
È puro sogno che niente ha proiettato.
Il processo mentale cui si comprende Cristo non è umano. Gli  stessi dei non lo comprendono.
Cristo il Logos non può essere compreso: appartiene a un'altra realtà.
Cristo è l'intermediario assoluto
Il Verbo che non è pronunciato, cosa impossibile.
La ragione non raggiunge il Logos perché lì non c'è  ragione.
Tanto il Cristianesimo quanto il Buddhismo sono crimini contro l'umanità, perché crimini contro le leggi divine.
Sono tentativi, fra tutti i sacrilegi, di rivelare l'irrivelabile; di rendere pubblico ciò che per natura, una volta reso pubblico, non  è più quello che è.
É come un gioiello o un fiore, il cui meraviglioso colore potesse esistere solo di notte, scomparendo al sopraggiungere di quella luce che pure potrebbe renderlo visibile.
Non si può volgarizzare il mistero, perché, così come il segreto, una volta rivelato, non è più tale e perde la virtù mistica di segreto, allo stesso modo i misteri, una volta rivelati, non sono davvero rivelati.
Ha detto bene Tertulliano: rivelarli significa distruggerli.
Quando si legge in libri come quelli dei Rosacroce che il sentimento (che non è il sentimento che  proviamo in quanto uomini) è più veritiero della ragione.
Si tratta di un'altra forma di coscienza che non esiste neppure abbozzata nell'anima umana.
Il mistero di Cristo non può essere rivelato perché nell'anima umana non vi sono facoltà per comprendere questa rivelazione.
(La Bibbia, trattato di alchimia, è come tutti i trattati di alchimia un'opera scritta in cifra trascendentale)
Dire che Cristo è un simbolo del Sole significa rovesciare i termini del processo di iniziazione.
È il Sole a essere il simbolo di Cristo.
In altre parole, Cristo è la realtà e il Sole è l'illusione, (perché il sole è materia e la materia è  illusione), Cristo è la luce e il Sole è l'Ombra ("La luce è  l'ombra di Dio" A. Einstein).
Tratto da "Pagine esoteriche" di Fernando Pessoa

sabato 10 settembre 2016

Il talismano


Le immagini visive era considerate talismani interiori.
Il talismano è un oggetto che porta impressa un'immagine, che si suppone sia stata resa magica o abbia efficacia magica, perché è stata costruita in ottemperanza a certe regole magiche.
Le immagini dei talismani di solito, anche se non sempre, sono immagini delle stelle, per esempio un'immagine di Venere come dea del pianeta Venere, o un'immagine di Apollo come dio del pianeta Sole.
Il manuale di magia talismanica intitolato Picatrix, ben noto nel Rinascimento, descrive i processi attraverso cui, si supponeva, le immagini talismaniche divenivano magiche impregnandosi di spitiro astrale.
Il libro ermetico che fungeva da base teorica alla magia talismanica era l'Asclepius, in cui è  descritta la religione magica degli egiziani.
Secondo l'autore dell'Asclepius gli egiziani sapevano il modo d'infondere nelle statue dei loro dei poteri cosmici e magici: con preghiere, incantesimi e altri processi, davano vita alle loro statue; in altre parole gli egiziani sapevano come "creare dei" con procedimenti simili a quelli con cui si fa un talismano.
Le pratiche di magia, incantesimi poetici o musicali, o il ricorso alle immagini magicizzate puntavano a mettere l'immaginazione in condizione di accogliere gli influssi celesti.
Le immagini erano destinate ad essere trattenute nell'interiorità, nell'immaginazione di chi ne faceva uso.
Un'immagine tratta dalla mitologia astrale può impremersi internamente nell'animo con forza tale che, quando una persona con questa impronta nell'immaginazione usciva nel mondo delle apparenze esterne, queste si presentavano unificate, per il potere dell'immaginazione interna, tratta dal mondo superiore.
I maghi egizi mantenevano lo spirito celeste nelle loro statue magiche con riti celesti, che riflettevano l'armonia  del Cielo.
La teoria rinascimentale della proporzione era basata sull'"armonia cosmica", le proporzioni armoniose del mondo, il microcosmo, riflesso nel corpo dell'uomo, il microcosmo.
Fare una statua secondo le regole della proporzione poteva così essere un modo per introdurre in essa l'armonia celeste, conferendole per questa via animazione magica.
Applicato alle immagini talismaniche interne di un sistema di memoria occulta, questo dovrebbe significare che il potere magico di immagini del genere poteva consistere nelle loro perfette proporzioni.
Tratto da "L'arte della memoria" di Frances A. Yates

giovedì 8 settembre 2016

La luce dell'anima


In tutti i tempi oscuri vi è  la tendenza a sentirsi sopraffatti da tutto ciò che c'è di sbagliato o fuori posto nel mondo...anche nel nostro piccolo mondo personale.
Non focalizzatevi su queste cose.
Farlo vi esaurisce soltanto.
E c'è  anche la tendenza a logorarsi perseguendo obbiettivi al di fuori della nostra portata, qualcosa che non può ancora essere.
Non focalizzatevi neppure su questo.
Farlo è sciupare il vento senza issare le vele.
....Non tocca a noi rimettere a posto di punto in bianco il mondo intero, ma possiamo e dobbiamo adoperarci per migliorare quella parte del mondo che è alla nostra portata.
Ho sentito molti direi profondamente disorientati.
Il modo in cui va il mondo li turba e li preoccupa.
È vero, bisogna avere cojones e ovarios forti per sopportare gran parte di ciò che oggi passa per buono nella nostra cultura.
L'assoluta noncuranza verso ciò  che per l'anima è più prezioso e insostituibile, e la corruzione di valori e ideali, sono divenute, in vasti ambiti della società, "la nuova norma", il grottesco assurto a quotidiana normalità.
Vi incito...Vi esorto a non esaurire il vostro spirito nella sterile deplorazione di questi tempi difficili. Soprattutto, non perdete la speranza.
E questo perché la verità è che siamo stati fatti per questi tempi.
Malgrado i vostri dubbi, le frustrazioni nel tentare di raddrizzare ciò che non va, persino la sensazione di aver del tutto smarrito la rotta, voi non siete privi di risorse, e soprattutto non siete soli.....ci sono milioni di anime giuste in acqua con voi.
Nel vostro cuore avete sempre saputo che è  così.
C'è bisogno di noi, questo è  tuto ciò  che ci è  dato sapere.
Ciò che serve per una svolta epocale è  un accumulo di atti- che si sommino, e si sommino, e continuino a sommarsi, ancora e ancora.
Una delle azioni più  potenti che si può  compiere per imprime una svolta a questo mondo burrascoso è  levarsi in piedi e mostrare la propria anima.
In tempi oscuri, un'anima risplende come oro, sulla tolda.
Mostrare la lucerna dell'anima in tempi oscuri...è  un atto di immenso coraggio e della massima urgenza.
Le anime in lotta captano la luce di altre anime già illuminate e disposte a mostrare loro la luce..
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

martedì 6 settembre 2016

La concezione metafisica di libertà


Possiamo intanto definire la libertà come assenza di costrizione: definizione negativa nella forma, ma che ancora una volta, è positiva nella sostanza, poiché la costrizione è una limitazione, ossia in realtà una negazione.
Là dove non esiste dualità, non vi è necessariamente alcuna costrizione, e questo basta per provare che la libertà è una possibilità, dal momento che discende immediatamente dalla "non-dualità", la quale, com'è ovvio, è esente da ogni contraddizione.
Si può aggiungere che la libertà non è soltanto una possibilità nel senso più universale, ma anche una possibilità d'essere o manifestazione; basta qui, per passare dal Non-Essere all'Essere, passare dalla "non-dualità" all'unità: l'Essere è "uno" (dove l'Uno è lo Zero affermato) o meglio è la stessa Unità metafisica.
La libertà appartiene anche all'Essere, il che equivale a dire che essa è  una possibilità d'essere, oppure, una possibilità di manifestazione, poiché l'Essere è prima di tutto il principio della manifestazione.
Essa si manifesta in gradi diversi, in tutto ciò che procede dall'Essere, cioè in tutti gli esseri particolari in quanto appartengono all'ambito della manifestazione universale.
Dire che un qualunque essere non è in alcun grado libero equivarrebbe ad affermare che non è  se stesso, che esso è "gli altri", o non possiede in sé la propria ragion d'essere, nemmeno immediata.
Poiché l'unità dell'Essere è il principio della libertà, un essere sarà libero nella misura in cui parteciperà di tale unità; in altri termini, esso sarà tanto più  libero quanta maggiore sarà in lui l'unità, o quanto più esso sarà "uno".
La libertà è dunque una possibilità che, in gradi diversi,  costituisce un attributo di tutti gli esseri, quali che siano e in qualunque stato si trovino, e non soltanto un attributo dell'uomo.
Si potrebbero analogamente considerare i rapporti di un essere con gli altri sotto due aspetti apparentemente opposti, ma in realtà complementari, a seconda se, in questi rapporti, l'essere in questione assimila gli altri a sé o è  da essi assimilato, dove tale assimilazione costituisce la "comprensione" nel vero senso della parola.
Il rapporto che esiste fra due esseri è al tempo stesso una modificazione dell'uno e dell'altro; ma si può dire che la causa determinante di questa modificazione risiede in quello dei due esseri che agisce sull'altro, o che lo assimila a sé.
Nell'Essere, o più esattamente nella manifestazione, la libertà si esplica nell'attività differenziata, che nello stato individuale umano prende la forma dell'azione nel senso abituale del termine.
Nell'ambito dell'azione, anzi in tutta la manifestazione universale, la "libertà di indifferenza" è impossibile, perché si tratta propriamente del modo di libertà che conviene al non-manifestato ( perché presuppone che qualcosa possa esistere senza avere nessuna ragion d'essere).
La realizzazione delle possibilità di manifestazione, che costituiscono tutti gli esseri in tutti i loro stati manifesti e con tutte le mortificazione non può dunque fondarsi su una pura indifferenza, ma è  determinata dall'ordine della possibilità universale di manifestazione e anche i tutte le sue modalità,  che  sono tutte le possibilità particolari di manifestazione.
La libertà assoluta può realizzarsi soltanto con la completa universalizzazione: mentre una libertà relativa appartiene ad ogni essere in qualsiasi condizione.
La libertà assoluta può appartenere soltanto all'essere liberato dalle condizioni dell'esistenza manifestata, individuale o sovra-individuale e divenuto assolutamente "uno", nel grado dell'Essere puro, o "senza dualità", se la sua realizzazione oltrepassa l'Essere.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'essere" di René Guénon

sabato 3 settembre 2016

Il Re del Mondo


Il titolo di Re del Mondo viene attribuito propriamente a "Manu", il Legislatore primordiale e universale il cui nome si trova, sotto forme diverse, presso numerosi popoli antichi; ricordiamo soltanto il "Mina" o "Menes" degli Egizi, il "Menw" dei Celti e il "Minosse" dei Greci.
Tale nome non indica un personaggio storico o più o meno leggendario.
Esso designa un principio, l'intelligenza cosmica che riflette la Luce spirituale pura e formula la Legge (Dharma) ed è l'archetipo dell'uomo considerato specialmente in quanto essere pensante (in sancrito "mfnava").
Tale principio può essere reso manifesto da un centro spirituale stabilito nel mondo terrestre, da un' organizzazione incaricata di conservare integralmente il deposito della tradizione sacra, di origine non umana, per mezzo della quale la Sapienza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla.
Il capo di tale organizzazione, in quanto rappresenta in certo modo "Manu" stesso, potrà legittimamente portarne il titolo e gli attributi; inoltre, dato il grado di conoscenza che deve aver raggiunto per poter esercitare la sia funzione, si identifica realmente col principio di cui è in un certo modo l'espressione umana e davanti a quale la sua individualità scompare.
Si tratta di un doppio potere al tempo stesso sacerdotale e regale.
Il carattere "pontificale", nel senso più vero che ha questa parola, appartiene realmente e per eccellenza al capo della gerarchia iniziatica:
letteralmente il "Pontifex" è un "costruttore di ponti" e questo titolo romano è in qualche modo un titolo massonico"; ma simbolicamente, il "Pontifex" è colui che adempie la funzione di mediatore, in quanto stabilisce la comunicazione fra questo mondo e i mondi superiori.
In tal senso l'arcobaleno, il "ponte celeste", è un simbolo naturale del "pontificato".
Presso gli Ebrei, esso è il pegno dell'alleanza di Dio con il suo popolo; in Cina, è il segno dell'unione del Cielo con la Terra; in Grecia, rappresenta l'Iride, la messaggera degli Dei; un po' dappertutto, presso gli Scandinavi, i Persiani, gli Arabi, in Africa centrale e anche presso certi popoli dell'America del Nord, è il ponte che collega il mondo sensibile a quello sovrasensibile.
Presso i Latini l'unione dei due poteri, sacerdotale e regale, era rappresentata dal simbolismo di "Janus".
Vi era nel Medioevo un espressione che riuniva in sé i due aspetti complementari dell'autorità: era una contrada misteriosa chiamata "regno del prete Gianni".
L'idea di un personaggio che è sacerdote e re al tempo stesso non è molto comune in Occidente, benché, proprio all'origine del Cristianesimo, essa sia rappresentata in modo assai evidente dai Re Magi.
Nel medioevo il potere supremo era diviso fra Papato e l'Impero: segno di un' organizzazione incompleta al vertice,  dunque il vero potere doveva trovarsi altrove.
La figura del Manu consiste letteralmente in "colui che fa girare la ruota", colui che è  posto al centro di tutte le cose,  ne dirige il movimento senza parteciparvi egli stesso o che secondo l'espressione di Aristotele ne è il "motore immobile".
Il punto fisso che tutte le tradizioni sono concordi a designare simbolicamente come il "Polo" perché intorno ad esso si effettua la rotazione del mondo, rappresentata generalmente dalla ruota, sia presso i Celti sia presso i Caldei e gli Indù.
Il Re del Mondo deve avere una funzione essenzialmente ordinatrice e regolatrice, riassunta in una parola come "equilibrio" o "armonia" (in sancrito "Dharma"); il riflesso nel mondo manifestato dell'immutabilità del Principio supremo.
Il Re del Mondo ha come attributi fondamentali la "Giustizia" e la "Pace" che sono le forme rivestite dall'equilibrio e dall'armionia nel "mondo dell'uomo".
Tratto da " Il Re del Mondo" di Réne Guénon

giovedì 1 settembre 2016

Preghiere (Clarissa Pinkola Estés)


Rifiutai di cadere
Se non puoi rifiutarti di cadere,
rifiutati di restare a terra.
Se non puoi rifiutarti di restare a terra,
leva il tuo cuore verso il cielo,
e come un accattone affamato,
chiedi che venga riempito, 
e sarà riempito.
Puoi essere spinto giù.
Ti può essere impedito di risollevarti.
Ma nessuno può impedirti
di levare il tuo cuore 
verso il cielo -
soltanto tu.
E nel pieno della sofferenza 
che tanto si fa chiaro.
Colui che dice che nulla di buono 
da ciò venne,
ancora non ascoltata.



Ovunque la terra è  arida e indurita, tu potresti essere l'acqua...
o lama che solleva e apre la terra; 
o l'acequia, il canale che trasporta l'acqua dal fiume ai campi;
o il giusto ingegnere che predispone quali dighe andranno demolite 
e quali dovranno servire i sacri tutti, anziché solo pochi privilegiati; 
o il malconcio recipiente per trasportare l'acqua a mano;
o colui che l'acqua le immagazzina, custodisce, benedice o versa;
o lo stanco suolo che riceve;
o l'assetato seme che le sugge; 
o la vite che verdeggiando si propaga con selvatica audacia...

"Vi prego cominciate da qualunque parte".

Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés
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