giovedì 30 giugno 2016

La pazienza della terra e la rinascita interiore


"I semi della nuova vita non trovano ospitalità né motivo per riposare qui se non lasciamo tutto libero, se non lasciamo tutto nudo affinché un bosco di semi trovi ospitale il posto.
Perché la terra è tanto paziente.
Vedi? Prende il seme, l' erbaccia, l'albero, il fiore; prende la pioggia, la grandine, il fuoco.
Consente di entrare e invita a entrare. È l'ospite perfetta"
I semi della terra, le creature del mondo, le stelle del firmamento e noi medesimi: tutti siamo i convitati di questo campo.
Dunque lasciamo spoglia la terra, così i semi avrebbero saputo trovare il modo per raggiungerla.
Sarebbero stati trasportati in bocca da piccoli animali che magari sapevano che questo campo era in attesa e li avrebbero lasciato cadere lì....le dolenti colombe, sorvolandolo, avrebbero lasciato cadere i semi dai loro becchi, il tempo nel cielo e il tempo nell'aria si sarebbero uniti per portare semi sul vento.
"Vedrai una cosa meravigliosa avrà inizio qui.
Sai come far crescere alberi belli e selvaggi come ancora non ne hai visti mai? Lasci la terra ospitale. E come si fa?
Non è un segreto... innanzitutto prepari dell'acqua. Oh, Dio l'ha già fatto per noi...la chiama pioggia. Che ospite magnifico è Dio!
Bene, poi tira fuori il sole e un po' d'ombra.
Oh, con le nuvole e il sole Dio si è preoccupato anche di questo...
Infine, lasci il terreno incolto...lo lasci rivoltato, ma non seminato.
Significa che gli mandi il fuoco per prepararlo.
Questa è la pace che Dio non fa da solo.
A Dio piace avere dei compagni nell'impresa.
Ma viene il fuoco.
Ci fa paura, ma lui comunque viene, talvolta per caso, talvolta di proposito, talvolta per motivi che nessuno può comprendere, motivi che sono una faccenda di Dio soltanto.
Ma il fuoco può anche volgere ogni cosa verso una direzione nuova, una vita nuova e diversa, una vita che ha forze sue proprie e modi suoi propri per riuscire a forgiare il mondo.
Non esiste cosa priva di valore. Tutto può essere usato per qualche scopo"
Noi in famiglia diciamo: "Vai fuori nei campi a piangere, perché allora le tue lacrime faranno un gran bene a te e alla terra....."

...La terra dormiva nella luce soffusa alle nostre spalle.
E, mentre dormivano, quella notte, semi da tutti gli angoli del mondo cominciarono a viaggiare verso il campo aperto con divina velocità e fortuna.
A tempo debito spuntarono minuscoli alberelli.
Vennero le querce, vennero i pini bianchi...aceri rossi e argentei e persino salici verdi ...passò un bel po' di tempo... e crebbe un bel boschetto.
In ogni luogo incolto una nuova vita attende di rinascere. E, ancor più  sorprendentemente, che la nuova vita verrà, che la si voglia o no.
Uni può cercare anche di sradicarla ogni volta, ma ogni volta radicherà di nuovo e si ritroverà.
Nuovi semi saranno portati dal vento, e continueranno ad arrivare, e daranno molte opportunità per un cambiamento del cuore, un ritorno del cuore, un rammendo del cuore, e per la scelta della vita...
CHE COS'È CIÒ CHE NON PUÒ MAI MORIRE?
È QUESTA FORZA FIDUCIOSA 
CHE È NATA DENTRO DI NOI,
QUELLA CHE È PIÙ GRANDE DI NOI,
CHE CHIAMA NUOVI SEMI NEI LUOGHI APERTI, 
BATTUTI E ARIDI, AFFINCHÉ POSSONO DI NUOVO 
ESSERE SEMINATI.
È PROPRIO QUESTA FORZA, 
NELLA TUA OSTINAZIONE,
NELLA SUA LEALTÀ VERSO DI NOI,
NEL SUO AMORE PER NOI, NEI SUOI MODI
PER LO PIÙ MISTERIOSI, CHE È MOLTO
PIÙ GRANDE, MOLTO PIÙ MAESTOSA,
E MOLTO PIÙ ANTICA DI QUALSIASI 
ALTRA COSA...
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

martedì 28 giugno 2016

Gli accidenti che travolgono la barca

Ci sono accidenti che travolgono la barca, scompaginano la forma.
Gli shock, le psicosi traumatiche, gli incidenti, gli stupri...
Eppure, alcune anime sembrano assumerseli e addirittura collaborare con essi, mentre altre vi rimangono fissate e si dibattono nel vano tentativo di trovarvi un senso.
Viene da chiedersi: la ghianda è  stata dunque così deteriorata da questi accidenti che la sua forma rimane incurabilmente lesa, un timone irrimediabilmente spezzato, che non risponde più alle sterzate del timoniere?
Il fatalismo risponde: Tutto è  nelle mani degli dèi.
Il finalismo teologico aggiunge: Tutto ha un fine nascosto e fa parte del tuo sviluppo.
L'Eroe dice: Occorre integrare l'Ombra oppure ucciderla; lasciati alla spalle la tragedia, la vita deve continuare.
In ciascuna di queste risposte, l'accidentale, come categoria, si dissolve, assorbito nella filosofia più  vasta del fatalismo, del finalismo, dell'eroismo.
Io (Hillman) dico che è  meglio mantenerlo come un'autentica categoria dell'esistenza, che obbliga a riflettere su di essa.
Un grave incidente esige risposte.
Che cosa significa, perché è  accaduto, che cosa vuole?
Questo aggiornare continuamente le nostre valutazioni è  come le scosse di assestamento dopo un terremoto.
Può darsi che l'incidente non sarà mai integrato, però potrebbe rafforzare l'integrità della forma dell'anima, aggiungendovi perplessità, sensibilità, vulnerabilità e tessuto cicatriziale.
...Che appartengano coerentemente alla ghianda.
Non nel senso che quegli accidenti fossero predetti dalla ghianda come scritti in un disegno divino, né che siano stati determinati per la successiva carriera, incanalandola a forza in un percorso definito.
Piuttosto, sono stati "accidenti necessari", necessari e accidentali insieme.
Sono stati gli strumenti per far emergere la vocazione, modi in cui la ghianda ha espresso la propria forma e ha dato forma alla loro vita.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

giovedì 23 giugno 2016

La narrazione delle storie curative




...In tutta la storia dell'umanità e nelle più profonde tradizioni della famiglia, il fondamentale dono di una storia ha un duplice valore: che resta almeno una creatura in grado di raccontare la storia, e che, grazie alla narrazione, le più grandi forze dell'amore, della misericordia, della generosità e della tenacia vengono richiamate nel mondo.
La narrazione di una storia è considerata un esercizio spirituale basilare.
Storie, leggende, miti e racconti popolari vengono appresi, sviluppati, catalogati e conservati così come si ordina un farmacopea.
La custode di storie è nel contempo una ricercatrice, una guaritrice, un'esperta del linguaggio simbolico, colei che narra delle storie, che ispira, che parla con Dio e viaggia nel tempo.
Tradizionalmente queste storie medicinali hanno molti e diversi usi: servono  per insegnare, correggere errori, alleviare, accompagnare una trasformazione, medicare le ferite, ricreare la memoria.
Il loro fine principale è di educare e arricchire l'anima e la vita terrena.
...in verità una storia nasce per lo più dal travaglio - loro, nostro, vostro, di qualcuno che conosciamo, di qualcuno che non conosciamo e che è  lontano nel tempo e nello spazio.
Eppure, paradossalmente, queste stesse storie sgorgate da una profonda sofferenza possono fornire i rimedi più efficaci contro i mali passati, presenti e futuri.
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

martedì 21 giugno 2016

Rappresentazione geometrica dell'infinito e l'indefinito


 La distinzione tra infinito e indefinito si può spiegare mediante una rappresentazione geometrica:
In un piano orizzontale qualsiasi i confini dell'indefinito sono dati dal cerchio-limite cui certi matematici hanno dato il nome (peraltro assurdo) di "retta all'infinito"; tale cerchio non è chiuso in alcuno dei suoi punti, essendo un cerchio massimo dello sferoide indefinito il cui sviluppo comprende l'integralità dell'estensione, la quale rappresenta la totalità dell'essere.
Se ora consideriamo sul loro piano le modificazioni individuali come parti di un ciclo qualsiasi esterno al centro che si propagano indefinitamente in modo vibratorio, il loro incontro con il cerchio-limite corrisponde al loro punto massimo di dispersione, ma nello stesso tempo è necessariamente il punto di arresto del loro moto centrifugo.
Tale moto rappresenta la molteplicità dei punti di vista parziali al di fuori dell'unità del punto di vista centrale, dal quale tutti derivano come raggi emessi dal centro comune, e che costituisce così la loro unità essenziale e fondamentale, la quale però non è  effettivamente realizzata rispetto al loro percorso di esteriorizzazione graduale, contingente e multiforme, nell'indefinità della manifestazione.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Réne Guénon 

giovedì 16 giugno 2016

"Telos" e teologia


C'è qualcosa in serbo per me.
Sono destinato a diventare....
"Teologia" è il termine usato per indicare la convinzione che gli eventi abbiano un finalità, siano attirati da uno scopo verso un preciso fine.
Telos significa "scopo, fine, adempimento".
Si contrappone a "causa" nella nostra accezione moderna.
La casualità domanda: "Chi ha dato il via a questo evento?", e immagina gli eventi come sospinti da dietro, dal passato.
La teologia invece domanda: "Qual è  il fine?", e concepisce gli eventi come indirizzati verso una meta.
Sinonimo di teologia è  finalismo, la concezione secondo cui ciascuno di noi, e come noi l'universo stesso, muove verso una meta finale.
La teologia conferisce una logica all'esistenza.
Fornisce un'interpretazione razionale dello scopo a lungo termine della vita.
E legge qualsiasi cosa accade nella vita come una conferma di questa visione a lungo raggio: per esempio, come volontà di Dio, disegno divino.
Se però lasciamo cadere il suffisso "logia" e ci atteniamo a "telos", possiamo ritornare al suo significato originale, formulato da Aristotele: "Ciò per cui".
Telos fornisce una ragione limitata, specifica per cui compio la mia azione.
Si immagina, sì, uno scopo per ogni azione, ma non formula uno scopo dominante per tutto l'agire in generale; quello sarebbe teologia o finalismo.
La ghianda sembra seguire questo schema circoscritto.
Non indulge in filosofie di ampia portata.
Ti fa battere il cuore, esplode in un eccesso di rabbia, eccita, chiama, pretende; ma raramente offre uno scopo grandioso.
La forza di attrazione dello scopo è intensa e improvvisa; ci si sente molto risoluti.
Ma in che cosa consista esattamente lo scopo e il come arrivarci rimangono nel vago.
Il telos può essere duplice a volte, o addirittura triplice, e non sapersi decidere....
Lo scopo di solito non si presenta come una meta nettamente inquadrata, bensì come un'urgenza indefinita, che turba, unità a un senso di indubbia importanza.
L'idea di telos conferisce valore a ciò che accade, perché considera ciascun evento come dotato di uno scopo.
Le cose avvengono per un qualcosa. Hanno un'intenzionalità.
Telos conferisce importanza agli eventi.
Ma basta aggiungere il suffisso "logia", e subito quel valore acquista un nome. Viene detto qual è l'intenzione del capriccio e dell'ossessione.
La teologia osa pronunciare il nome dello scopo.
Se sai già quale sia lo scopo di un sintomo,  derubi il sintomo delle sue peculiari intenzioni.
Perdi rispetto per il suo autonomo scopo e in questo modo ne sminuisci il valore.
La ghianda non si comporta tanto come una guida personale, quanto piuttosto come uno stile mobile, una dinamica interna che conferisce alle occasioni il sentimento che abbiano uno scopo; di lì quel senso di importanza: questo momento, apparentemente banale, è significativo, mentre quell'evento apparentemente importante, non conta poi molto.
Ecco diciamo che alla ghianda interessa di più l'aspetto animico degli eventi, è più attenta a ciò che fa bene all'anima che a ciò che noi pensiamo faccia bene a noi stessi.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

martedì 14 giugno 2016

I maghi della pioggia


A milioni di noi è  stata affidata la cura di piccole parcelle del pianeta, sicché, sommati, noi singoli custodi delle nostre piccole parcelle individuali costituiamo la maggioranza dei protettori dell'intera vita sulla Terra.
Come singoli siamo deboli, ma come massa le nostra forza spirituale e concreta è enorme.
E le piccole grandi azioni che possiamo intraprendere, quali che siano, insegnano costantemente agli altri, a chiunque abbia occhi per vedere e volontà di guardare, che la Terra è la nostra tenera madre e sorella, e non un magazzino di risorse da continuare a saccheggiare selvaggiamente.
Quando un individuo, un luogo, un oggetto sono stati rovinati o quasi, paradossalmente riaffiora in noi qualcosa di assolutamente intatto, un io mistico e mitico.
Spesso allora percepiamo un forte richiamo che non avevamo sentito/udito/percepito prima, quando pensavamo che tutto andava bene, che tutto era "a posto", o guardavamo "dall'altra parte".
Secondo la leggenda, i maghi della pioggia sono persone senza pretese, che non fanno grandi pronunciamenti su ciò che intendono compiere.
Sono schivi, appartati, simili forse agli Hobbit di Tolkien.
Amano la Terra, e della Terra e del cuore umano sono i protettori.
Benché possiate scorgere qua e là segni evidenti delle loro azioni, raramente gli elfi delle saghe e gli angeli delle Scritture, spesso lavorano all'alba, o alla luce della luna, in quelle ore in cui i più dormono o badano ai fatti loro.
Si danno da fare aggiustando qua, riparando là, raddrizzando questo, trapiantando quell'altro, notando di cos'altro ancora c'è bisogno laggiù, facendo mille piccole cose capaci di trasformare in meglio il mondo.
Non sempre.
Ma spesso.
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

lunedì 13 giugno 2016

Resoconto di un anno coraggioso...

È stato un anno importante questo, dal punto di vista psicologico e di crescita interiore, un anno pieno di prove, ricco di emozioni e non sempre date dalla gioia...
La delusione di un presente che non mi dava la proiezione di un futuro che avrei potuto sentire mio...
La forza per affrontare il cuore umano che ha lottato fino all'ultimo contro l'anima... che sa dove vuole andare...
Il coraggio di affrontare un passato remoto in cui avevo lasciato dei quesiti irrisolti... andare e capire, a km e km di distanza.... disseppellire per aver chiarezza..
Con lo stesso coraggio affrontare la realtà che a volte è più dolorosa di una  pessima menzogna... il dubbio, la voglia di cambiare vita, un bivio in cui potevo perdermi nell'ipocrisia della scorciatoia... che poi alla fine della strada più facile, arrivi sempre ad un punto in cui c'è uno specchio che ti impone di guardare in faccia la realtà...è inevitabile...
E allora prosegui passo dopo passo per la via più ostile ma più vera, quella che ti porta dove vuoi andare anche se implica uno sforzo maggiore...
Rendersi conto che ciò che fai lo fai per una Ragione che esula dalla ragione...e che nessun altro comprende oltre a te...
Perché se scegli una strada non battuta c'è chi pensa che stai andando incontro all'orco che ti sbranerà...
Gente come me, cerca l'orco per affrontarlo....
Gente come me, la vita la prende di petto, con coraggio, senza aggrapparsi a nessuno e non sceglie mai ciò che conviene, ma ciò che non mina il centro interiore creato da una vita...
Essere forti non vuol dire essere possenti fuori, ma avere il guerriero dentro, che non ti abbandona neanche nei periodi peggiori...
...In quei momenti in cui sei te il primo a volerti abbandonare...
E quante volte ho avvertito la nostalgia della gabbia dorata...e per non cadere in essa mi sono concentrata sulle sbarre e non sulla lucentezza dell'oro... perché se il tuo sogno è Libertà  non puoi amare nessun tipo di coercizione...
Voler cambiare una persona vuol dire creare la sua galera, il suo campo di concentramento...
Alla fine, se mi guardo indietro... vedo solo un sentiero che avrei comunque dovuto percorre, nel quale mi sarei potuta fermare e restare, arredarlo e adattarlo...
....E invece, sono andata avanti verso la crescita continua di me, senza farmi sedurre da ciò che è più  convenzionale.... per gli altri... e che mi avrebbe privato di ciò che ho costruito fin ora..
Ognuno sceglie la sua vita in base alle sue priorità... le mie sono solo diverse da quelle di moltissime altre persone...
E non pretendo di esser capita...
Ma solo di mantenere il forte legame che ho con me stessa a costo di tutto...
...E intanto un altro anno ricco di prove ed emozioni è passato... e sono felice e soddisfatta di tutto ciò che ho costruito dentro di me con le esperienze che la Vita mi ha offerto...
Il mio resoconto di un anno coraggioso...
Nell'AniMo Antico

giovedì 9 giugno 2016

Fato e fatalismo


Il fatalismo è  l'altra faccia, la grande seduzione, dell'Io eroico, che in questa civiltà del fai da te, dove l'asso piglia tutto, ha già un tale peso sulle proprie spalle.
Più  pesante è  il carico, più  forte è  la tentazione di disporlo o di trasferirlo su un portatore più grosso e più forte, il Fato per esempio.
In questa definizione paranoide della vita - La vita come lotta, come competizione per la sopravvivenza, con l'altro o alleato o nemico -, il fatalismo offre una pausa di respiro.
Sta scritto nelle stelle; c'è un disegno divino; quello che accade, accade per il meglio nel migliore dei modi possibili.
Io vivo il particolare destino che è  uscito dal grembo di Necessità.
Del resto la mia non è  una vera scelta; l'idea di scelta è  un'illusione.
La vita è  predeterminata.
Questo modo di ragionare è  fatalismo e non c'entra niente con il fato.
L'idea che la grecità aveva del fato semmai è che gli eventi ci accadono e gli uomini "non possono capire perché una cosa è accaduta, ma, visto che è  accaduta, evidentemente 'doveva essere'".
Post hoc, ergo propter hoc.
Dopo l'evento  (post hoc), diciamo una spiegazione di ciò  che l'ha fatto accadere  (ergo propter hoc).
Per i greci, la causa di infausti eventi sarebbe il fato.
Ma il fato causa soltanto gli eventi insoliti, che non rientrano nello schema.
Non è che ogni singolo fatto sia chiaramente delineato in un superiore disegno divino.
Dunque immaginiamo il fato come una momentanea "variabile che si interpone".
C'è un termine tedesco, Augenblicksgott, che indica una divinità minore che ci passa accanto rapida come un battito di ciglio producendo effetti momentanei.
Il fato interviene nei momenti più inattesi e ti strizza l'occhio o ti dà una bella spinta.
(Tutto ciò che fai) sono scelte tue, derivanti dal significato che tu leggi...
Il fatto di scorgere la mano del Destino in quegli eventi infausti ne eleva l'importanza e il senso, e consente una pausa di riflessione.
Il fatalismo scarica tutto sul destino.
Non serve a niente andare a votare, offrirsi come vigile del fuoco volontario, anzi non serve a niente avere un corpo di vigili del fuoco, tanto se e disgrazie devono succedere, succedono.
Il cogliere la strizzata d'occhio del fato è  un atto di riflessione.
È  un atto del pensiero; mentre il fatalismo è  uno stato del sentimento, un abbandonare la ponderazione,  l'attenzione per i particolari, il ragionamento rigoroso.
Anziché riflettere a fondo sulle cose, ci si abbandona all'umore più  generico della fatalità.
Il fatalismo spiega la vita globalmente.
Qualsiasi cosa accada può essere inserita dentro la capace generalità dell'individuazione, del mio viaggio, della crescita.
Il fatalismo consola, perché non fa sorgere interrogativi.
Non c'è bisogno di analizzare, se davvero tutto combacia.
Il termine greco per indicare fato, moira, significa "parte assegnata, porzione ".
Così come il fatoha solo una parte in ciò che succede, allo stesso modo il daimon, l'aspetto personale, interiorizzato della moira, occupa solo una porzione della nostra vita, la chiamata, ma non la possiede.
Moira deriva dalla radice indoeuropea smer o mer, "ponderare, pensare, meditare, considerare, curare".
È  un termine profondamente psicologico, in quanto ci chiede di analizzare da vicino gli eventi per determinare quale porzione viene dall'esterno ed è  inspiegabile, e quale mi appartiene, attiene a ciò  che ho fatto io, avrei potuto fare, posso ancora fare.
La moira non è in mano mia,  è  vero, ma è  solo una porzione.
Non posso abbandonare le mie azioni, o le mie capacità e la loro realizzazione, nonché la loro frustrazione o fallimento, a loro, agli dèi e dee, o al volere della ghianda daimonica.
Il fato non mi solleva dalla responsabilità; anzi me ne richiede molta di più.
In particolare, richiede la responsabilità dell'analisi.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

martedì 7 giugno 2016

Le storie e la comunità

Come i sogni notturni, le storie spesso ricorrono al linguaggio simbolico, aggirando così l'io e la persona, e puntando dritto allo spirito e all'anima di chi ascolta le antiche e universali lezioni che vi stanno incastonate.
In virtù di tale processo, le storie possono insegnare, correggere errori, alleggerire il cuore è rischiarare l'oscurità,  offrire un riparo psichico, assecondare la trasformazione e rimarginare le ferite.
Ai nostri giorni c'è del buono nella decisa indipendenza tra individui e se ne sente anche la necessità.
Ma spesso è meglio servita e in buona misura sostenuta, dalla deliberata interdipendenza con una comunità di altre persone.
Alcuni affermano che la comunità si basa su legami di sangue, altri che è  frutto di una scelta, altri ancora che è  imposta dalla necessità.
E sebbene sia vero, il campo gravitazionale incommensurabilmente più forte che tiene insieme un gruppo è  costituito dalle storie...dalle semplici storie comuni e condivise.
Se talvolta s' incenteano su crisi risolte, tragedie scongiurate, inclusa la morte,....su un'irrefrenabile ilarità e via dicendo, pure i racconti che le persone si fanno intessono una tela robusta capace di riscaldare le più fredde notti emotive o spirituali.
Così le storie che nascono dal gruppo con il paese e degli anni diventano estremamente personali e nel contempo eterne, poiché grazie alla ripetuta narrazione acquistano una vita propria.
Non ci sono modo giusti o sbagliati di raccontare una storia. Vi potrà capitare di dimenticare l'inizio, o la parte centrale o la fine.
Ma un raggio di sole attraverso una finestrella può comunque rallegrare il cuore.
Tutti si sentiranno riscaldare, sostenuti dal cerchio di storie che insieme creerete.
A noi non è  dato vivere in eterno, alle storie sì.
Fintanto che ci sarà una creatura in grado di raccontare una storia e pertanto, grazie alla narrazione, le maggiori forze dell'amore, della generosità e dell'energia verranno costantemente chiamate in essere nel mondo, io ve lo prometto....
sarà ciò che conta nella vita.
Tratto da "Storie di donne selvagge" di Clarissa Pinkola Estés

giovedì 2 giugno 2016

Angeli come stati superiori dell'essere


Quasi tutte le affermazioni teologiche riguardanti gli angeli possono essere  riferite metafisicamente agli stati superiori dell'essere, così come, nel simbolismo astrologico medievale, i "cieli",  cioè le varie sfere planetarie e stellari, rappresentavano questi stessi stati e anche i gradi iniziatici cui corrisponde la loro realizzazione; e,  come i "cieli" e gli "inferi", i Dêva e gli Asura rappresentano nella tradizione indù rispettivamente gli stati superiori e inferiori a quello umano.
Quindi per "gerarchie spirituali" possiamo intendere propriamente solo l'insieme degli stati dell'essere superiori all'individualità umana, e in special modo degli stati informali o sovra-individuali, stati che dobbiamo peraltro considerare realizzabili per l'essere a partire dallo stato umano, e ciò anche nel corso della sua esistenza corporea e terrena.
Questa realizzazione è essenzialmente implicita nella totalizzazione dell'essere, dunque nella "Liberazione" (moksha o mukti),  che permette all'essere di affrancarsi dai legami di ogni particolare condizione di esistenza, e che, non essendo suscettibile di gradi diversi, è ugualmente completa e perfetta quando è  ottenuta sia come "liberazione in vita" (jîvan-mukti), sia come "liberazione informale" (vidêha-mukti).
Non può esistere alcun grado spirituale superiore a quello dello Yogî, poiché costui, giunto alla "Liberazione" che è  al tempo stesso l'"Unione" (Yoga) o l'"Identità Suprema", non ha più  nulla da ottenere.
Ciascun individuo raggiunge ciò seguendo la sua "via personale", nel corso di questa realizzazione, tappe molteplici e diverse, che possono essere percorse in successione o simultaneamente, a seconda dei casi, e che, ricollegandosi ancora a stati determinati, non si devono in alcun modo confondere con  la liberazione totale che ne è il fine e il risultato supremo.
Queste "gerarchie spirituali", poiché i diversi stati che esse comportano sono realizzati attraverso il conseguimento di altrettanti gradi iniziatici effettivi, corrispondono a ciò che l'esoterismo islamico chiama "categorie dell'iniziazione" (Tartîb at-tasawwuf).
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Réne Guénon
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