giovedì 28 aprile 2016

Necessità


Necessità è  colei che ruota il fuso sul quale è  avvolto il filo della nostra vita.
La dea Ananke o Necessità, siede sul trono, circondata dalle Moire, sue figlie, compagne e aiutanti.
Ma è  lei, Ananke, a stabilire che la sorte scelta dall'anima è  necessaria: non un accidente, non buona o cattiva, non già nota né garantita, semplicemente necessaria.
Ciò che viviamo è  necessario che lo viviamo.
Platone cita soltanto due grandi forze cosmiche: Ragione (nous, la mente) e Necessità  (ananke).
Ragione risponde per ciò che possiamo comprendere, ciò che segue le leggi e gli schemi dell'intelletto.
Necessità opera come una causa "mutevole" o, come si traduce a volte, come causa "errante" o "erratica".
Quando una cosa non combacia, sembra fuori posto o strana, rompe lo schema consueto, allora più  probabilmente lì c'è la mano di Necessità.
I modi in cui esercita la sua influenza sono irrazionali.
Ecco perché è  così difficile comprendere la vita, perfino la propria.
La legge che l'anima segue è  quella di Necessità, che è  erratica.
L'etimologia della parola ananke deriva da un'antica radice semitica riconoscibile nei termini usati, per esempio nell'antico egizio, nell'accadico, nell'aramaico e nell'ebraico per significare "angusto", "gola", "costringere", "strangolare", o per indicare il giogo dei buoi e il collare degli schiavi.
Ananke ci stringe alla gola,  ci tiene prigionieri, ci trascina come schiavi.
Insomma non si può  sfuggire alla necessità.
Necessità non vuole cedere, non può sottomettersi: ne cedere.
Se alziamo per un attimo gli occhi dall'azione in cui siamo impegnati e ci fermiamo a riflettere, ecco l'implacabile sorriso di Necessità a dirci che, qualunque scelta compiamo, è  esattamente la scelta richiesta da lei.
Non poteva essere altrimenti.
Nell'istante in cui la decisione accade, essa è  necessaria.
In ciascuna decisione rischiamo tutto, anche se poi ciò  che alla fine viene deciso diventa immediatamente necessario.
E gli errori, allora, dove sono? Come possiamo sbagliarci,  perché ci sentiamo in colpa? Se tutto ciò  Che accade è  necessario, come mai il rimorso?
Abbiamo sempre il collare addosso, ma il collare è  adattabile.
È il giogo di Necessità che produce la familiare sensazione di essere comunque incastrati,  comunque vittime delle circostanze, anelanti alla liberazione.
Necessità dice che anche il rimorso è  necessario, come sentimento.
Interpretare in questa maniera la necessità rende i nostri errori qualcosa di profondamente tragico invece che peccati di cui pentirci o accidenti a cui rimediata .
Occorre un cuore grande per accettare il collare che strangola. 
Il più  delle volte, noi rifiutiamo gli assurdi, irrazionali eventi che ci capitano addosso.
Finché il cuore non attira la nostra attenzione su di esse, suggerendo che forse sono importanti, forse sono necessari.
Beninteso, la mente può procrastinare la chiamata, reprimerla,  tradirla.  Non saremo necessariamente punitie dannati per questo.
E fuggire non è peccato, perché Necessità non è un moralista. La fuga potrebbe fare parte del destino della mia anima  e della sua immagine tanto quanto potrebbe farne parte l'affrontare il pericolo e offrire il petto alla frecce.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

lunedì 25 aprile 2016

L'Essere e l'Esistenza


Dobbiamo considerare l'Essere come ciò che è propriamente il principio stesso della manifestazione; l'Esistenza universale sarà allora la manifestazione integrale dell'insieme delle possibilità che l'Essere comporta, le quali del resto sono tutte le possibilità di manifestazione, e ciò implica l'effettivo sviluppo di tali possibilità in modo condizionato.
L'Essere racchiude l'Esistenza, ed essendone il principio è metafisicamente più di questa; l'Esistenza non è dunque identica all'Essere, poichè quest'ultimo corrisponde a un minor grado di determinazione e, di conseguenza, a un più alto grado di universalità.
Ricordiamo che "esistere", nell'accezione etimologica del termine (dal latino ex-stare), significa propriamente "essere dipendente o condizionato"; in definitiva significa dunque non avere in se stessi il proprio principio o la propria ragione sufficiente, e questo è appunto il caso della manifestazione.
Sebbene l'Esistenza sia essenzialmente unica, e cioè perchè l'Essere è in se stesso uno soltanto, essa nondimeno comprende la molteplicità indefinita dei modi della manifestazione; infatti li comprende ugualmente tutti proprio perchè sono ugualmente possibili, in quanto tale possibilità implica che ciascuno di essi deve realizzarsi secondo le condizioni che gli sono proprie.
L'Esistenza, pur nella sua "unicità", comporta una indefinità di gradi, che corrispondono a tutti i modi della manifestazione universale e tale molteplicità indefinita implica una molteplicità ugualmente indefinita di stati di manifestazione possibili, ciascuno dei quali deve realizzarsi in un grado determinato dell'Esistenza universale.
Lo stato di un essere è dunque lo sviluppo di una possibilità particolare compresa in un certo grado, grado che è definito dalle condizioni cui è sottoposta la possibilità in questione, considerata come possibilità che si realizza nell'ambito della manifestazione.
Ciascuno stato di manifestazione comporta inoltre modalità diverse, secondo le differenti combinazioni di condizioni di cui è suscettibile;
ciascuna modalità comprende a sua volta una serie indefinita di modificazioni secondarie ed elementari.
Ogni modalità va considerata come suscettibile di svilupparsi nel corso di un certo ciclo di manifestazione e, per la modalità corporea in particolare, le modificazioni secondarie che tale sviluppo comporta saranno tutti i momenti della sua esistenza.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Réne Guénon

giovedì 21 aprile 2016

Invenzione patologica

Per designare l'invenzione, "con modalità che lasciano perplesso l'ascoltatore", di fatti che in realtà non sono mai accaduti, la psichiatria usa un vecchio termine ancora valido: pseudologia phantastica.
Questi racconti appartengono alla categoria dei disturbi fittizi, cioè di comportamenti che non sono "reali", autentici o naturali".
Nella forma estrema indicano "La tendenza incontrollabile alla menzogna patologica".
Quando i travestimenti e le invenzioni assumono la forma prevalentemente fisica di finte malattie che portano l'interessato a farsi ricoverare senza necessità, allora il disturbo viene chiamato sindrome di Münchausen, dal nome del romanzesco barone uso a raccontare mirabolanti avventure e a comparire in sempre nuovi travestimenti mostrando grande senso teatrale.
Più comune è  il caso di quegli ubriaconi inveterati,  presenti nella cerchia di conoscenze di quasi tutti noi, i quali in preda alla sindrome di Korsakov, riempiono i propri vuoti di memoria con tortuose fabulazioni.
Il fenomeno della fabulazione è  presente anche nei bambini normali, tant'è vero che i minori non sono considerati testimoni attendibili nei processi.
Tutti questi fenomeni appartengono a una zona crepuscolare della psiche dove due mondi collidono: il mondo dei fatti e il mondo delle favole.
E la psichiatria legge le favole come menzogne patologiche.
È  come se le invenzioni cercassero di dirci: " Io non sono i tuoi beneamati dati di fatto. 
Non permetterò che la mia stranezza, il mio mistero, siano inseriti in un mondo di fatti".
La ghianda non vuole essere ridotta a rapporti umani, a influenze, a eventi fortuiti, o al diminio  del tempo,  al "prima è  accaduto questo poi quest'altro", come se la vita potesse essere abbracciata dalla formula.
E non vuole essere ridotta nemmeno all'intervento inatteso della fortuna.
Di qui le costruzioni e ricostruzioni, di qui i travestimenti e le negazioni da parte dei soggetti sotto il microscopio;  queste manipolazioni servono a preservare la visione romantica attraverso una visione romanzata dei fatti.
Le "falsificazioni" biografiche fanno parte dei fatti narrati tanto quanto i fatti in sé.
La fabulazione è  un fenomeno spontaneo.
Non mi si può accusare di mentire, perché le storie che mi vengono fuori su di me stesso non sono propriamente verbo mio".
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

mercoledì 20 aprile 2016

Normal People di Giorgio Pastore



WEB SITE: joepastore

Ecco a mio parere un'altro bellissimo cortometraggio di Giorgio Pastore...
Le parole usate in esso sono per tutti coloro che preferiscono passare ore a fare ricerche, leggere, che vogliono sapere...
Tutte quelle persone per cui l'acquisto di un nuovo libro è una delle cose più eccitanti che si possa fare
Tutte quelle persone che vengono definite "strane" per la loro intellettualità, accompagnata però, da tanti sogni.. quei sogni persi per sempre da tante persone che non hanno interessi differenti dalla routine giornaliera..."La gente normale non si pone mai domande.."
Ma.."cos'è la normalità?....la verità è che non esiste un concetto di normalità assoluta... tutto è relativo.."
E davvero solo le persone che credono nelle chimere possono realizzarle.. perchè sono proprio loro che credendoci le fanno restare in vita...
Questo cortometraggio ha un risvolto romantico (Giorgio ha una dolce Musa che ispira i suoi lavori più sentimentali...) ma l'intero film può essere "applicato" a qualunque sogno purchè sia
nobile..
Ma ancora una volta il messaggio è che l'Amore è il motore di tutto...Amore inteso universalmente..
Per Amore potremmo scoprire qualsiasi formula, potremmo realizzare qualsiasi cosa...
"La vera normalità.. sta proprio nel porsi domande....."

Nell'AniMo Antico


lunedì 18 aprile 2016

"Nulla si perde"


Lo stato di manifestazione è  sempre transitorio e condizionato e anche le possibilità che comportano la manifestazione, lo stato di non manifestazione è l'unico assolutamente permanente e incondizionato.
Nulla di ciò che è manifestato può "perdersi" se non con il passaggio nel non-manifestato.
Quando si tratta della manifestazione individuale, è propriamente la "trasformazione" nel senso etimologico del termine, cioè il passaggio al di là della forma.
Questo passaggio costituisce una "perdita" solo dal punto di vista particolare della manifestazione, poiché, nello stato di non-manifestazione, tutte le cose, al contrario, sussistono eternamente in principio.
Per poter affermare che "nulla si perde", sia pure con la restrizione concernente il non- manifestato, occorre considerare tutto l'insieme della manifestazione universale, e non soltanto questo o quello dei suoi stati a esclusione degli altri, poiché, per la continuità esistente tra tutti gli stati, un passaggio dall'uno all'altro può sempre avvenire come un cambiamento di modo e senza uscire dall'ambito della manifestazione.
Il Non-Essere o il non-manifestato, contiene o racchiude l'Essere, o il principio della manifestazione, così il silenzio comporta in sé il principio della parola; in altri termini, come l'Unità  (l'Essere) è soltanto lo Zero metafisico  (il Non-Essere) affermato, così la parola è  soltanto il silenzio espresso;
inversamente, però, lo Zero metafisico, pur essendo l'Unità non-affermata, è  anche qualcosa di più  (anzi di infinitamente di più), e così il silenzio, che non è semplicemente la parola non-espressa, poiché occorre che in esso sussista anche ciò che è inesprimibile, ossia non suscettibile di manifestazione.
La parola "mistero" designava originariamente l'inesprimibile  (e non l'incomprensibile come si ritiene volgarmente), poiché dal greco deriva dalla parola "tacere", "essere silenzioso". 
Alla stessa radice verbale mu (da cui latino mutus, "muto") si riallaccia anche il termine "mito", che, prima di essere allontanato dal proprio senso fino a designare soltanto un racconto di fantasia, indicava quanto, non essendo suscettibile di espressione diretta, poteva solo essere suggerito mediante una rappresentazione simbolica non importa se verbale o figurata.
Il rapporto fra il silenzio e la parola mostra come sia possibile concepire possibilità di non-manifestazione che corrispondono, per trasposizione analogica, a determinate possibilità di manifestazione.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di Rène Guènon

giovedì 14 aprile 2016

La pazienza

La sua trascendenza situa il daimon fuori dal tempo; e nel tempo il daimon può entrare soltanto calandosi dentro il mondo.
Per cogliere la biografia del daimon a partire dalla cronologia di una vita umana, è  necessario leggere quella via a ritroso mediante l'intuizione.
L'intuizione vede le cose tutte in una volta, mentre il tempo inanella le cose in una catena di eventi che si succedono l'un l'altro verso la linea del traguardo.
Per il disegno iscritto nel seme tutto è  presente nello stesso momento e spinge verso un articolarsi simultaneo.
Voglio tutto, tutto e subito, perché io lo sento e lo vedo tutto in una volta.
Questa è una forma di percezione trascendente, appropriata a un Dio onnipresente.
Come spiegò il vecchio rabbino: "Dio creò il tempo affinché le cose non dovessero accadere tutte in una volta".
Il tempo rallenta la vita; gli eventi si dispiegano uno per volta.
Per il daimon il tempo non può causare niente che non sia già presente nell'immagine globale.
Il tempo può solo rallentare e frenare la realizzazione, favorendo così la nostra discesa, cioè la nostra crescita. L'atemporalità della ghianda, con la sua spinta a far succedere tutto subito, rimanda alla possessione da parte del daimon, un daimon sul punto di diventare demoniaco.
Il saper assaporare come ogni cosa abbia la sua stagione, il saper dare tempo e avere tempo e metterci tempo sono atteggiamenti estranei al Cattivo Seme, il quale predica e impone l'inflazione maniacale che non tollera interruzioni.
Dicevano gli alchimisti: "Nella tua pazienza è la tua anima" e "La precipitazione viene dal demonio".
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

lunedì 11 aprile 2016

L'Essere e il Non-Essere


L'Essere in senso universale, come il principio della manifestazione, e nel contempo come ciò che di per se stesso  comprende l'insieme di tutte le possibilità di manifestazione, dobbiamo dire che non è  infinito, poiché non coincide con la Possibilità totale;  comprende sì tutte le possibilità di manifestazione, ma soltanto in quanto esse si manifestano.
Al di fuori dell'Essere vi è  tutto il resto cioè tutte le possibilità di non-manifestazione, e le possibilità di manifestazione allo stato di non manifestato.
Per designare ciò che è pertanto al di fuori e al di là dell'Essere, siamo costretti a chiamarlo Non-Essere e tale espressione negativa non è in alcun modo sinonimo di "nulla".
Il Non-Essere, nel senso indicato, è più che l'Essere o, se si vuole, è  superiore all'Essere, se con ciò si intende che quanto esso comprende è al di là dell'estensione dell'Essere, e continente in principio l'Essere stesso.
Né l'Essere né il Non-Essere è più infinito, perché essi si limitano reciprocamente in certo qual modo: l'infinità appartiene soltanto all'insieme dell'Essere e del Non-Essere, poiché questo insieme coincide con la Possibilità universale.
L'Essere manifesta le possibilità  (o più precisamente alcune di esse); il Non-Essere, non le manifesta.
L'Essere contiene dunque tutto il manifestato; il Non-Essere contiene tutto il non-manifestato, incluso l'Essere stesso; ma la Possibilità universale comprende a un tempo l'Essere e il Non-Essere.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'Essere" di René Guénon

giovedì 7 aprile 2016

La "mediocrità"

Può essere un angelo mediocre? 
Una vocazione alla mediocrità?
In fondo la maggior parte di noi trascorre l'esistenza al sicuro... intorno alla media, guardiamo con invidia e timore le rare eccezioni che premono per sfuggire agli estremi. "Mediocre" tende a significare "senza tratti distintivi", mentre agli snob piacciono tanto le griffe che distinguono il loro stile dalla massa.
Nessuna anima è mediocre, per convenzionali che siano i nostri gusti personali e per medie che siano le nostre prestazioni in tutto.
Di un'anima si può dire che è vecchia, o saggia, o tenera.
Parlando di una persona diciamo che ha una bella anima, o è ferita nell'anima, che ha un'anima profonda o grande, o che è un'anima bella, cioè semplice, fanciullesca, ingenua.
Ma non diremo mai: "La tale ha un'anima di ceto medio"; termini come "medio", "usuale", "tipico", "normale", "mediocre" non si accompagnano con "anima".
Non ci sono parametri standard per il daimon.
Non possiamo far coincidere la mediocrità dell'anima con il mestiere mediocre che una persona fa, perché potrà essere mediocre il lavoro in sé, ma non il modo in cui è svolto.
Ciascuno è "uno" in virtù del suo stile.
Siamo tutti segnati; ciascuno di noi è al singolare.
Per l'anima, l'idea di mediocrità non ha senso.
Attenti però a non confondere un dono particolare con la vocazione dell'anima.
Molti sono i chiamati, pochi gli eletti; molti hanno talento, pochi il carattere che può realizzare quel talento.
È il carattere il mistero; e il carattere è individuale.
Alcuni possono nascere senza un talento particolare per una cosa precisa.
Ciò che determina l'eminenza non è tanto una vocazione alla grandezza, quanto la chiamata del carattere, l'impossibilità di essere  diverso da quello che sei nella ghianda, e allora le ubbidisci fedelmente, oppure sei incalzato senza scampo dal suo sogno.
La teoria della ghianda afferma che ciascuno di noi è un eletto.
Il fatto stesso di essere dei "ciascuni" presuppone una ghianda unica e irripetibile che caratterizza ogni persona.
L'errore è: il carattere non è quello che faccio, ma il modo in cui lo faccio.
È la vocazione all'armonia dell'uomo.
E si rifiuta di identificare l'individualità con l'eccentricità.
La vocazione accompagna la vita e la guida in maniera impercettibile e in forme meno vistose di quelle a cui si assiste nelle figure esemplari.
Una vocazione all'onestà invece che al successo, al prendersi cura dell'altro, al servire e lottare per amore della vita.
Finché giudicheremo le persone in base alla loro capacità salariale o a una specifica competenza, non vedremo il loro carattere.
La messa a fuoco della nostra lente è  stata calibrata sui valori medi che la rendono più adatta a individuare, semmai, i mostri.
Tratto da "Il codice dell'anima" di James Hillman

mercoledì 6 aprile 2016

Aminta's Poem


Link del video: Aminta's Poem

Aminta's Poem è un cortometraggio diretto da Giorgio Pastore (Joe Pastore) e Max Pozzi, ho parlato già precedentemente dei lavori di Giorgio; i suoi due libri da me letti; "Déi del Cielo e Déi della Terra" e "La ricerca della Pietra filosofale":
nonchè della  web-serie Links
Aminta's meritava un altro post perchè secondo il mio modesto parere è profondamente  significativo e ricco di contenuto mistico ed esoterico..
Il cortometraggio stile gotico è un'altra produzione a zero budget (come la web serie sopracitata) di persone che hanno idee e sogni e vogliono crearne qualcosa di bello per tutti... e io spero che sempre più persone inizino ad apprezzare questi progetti..
La storia parla di un profondo amore che viaggia al di là del tempo e dello spazio... un tentativo disperato di sopraffare la morte per riportare in vita la propria anima gemella...
In questo cortometraggio vengono trattati argomenti come la metempsicosi, l'alchimia, la magia, lo spiritismo.. il destino, il fato...
Penso sia volutamente confuso l'antico e il nuovo per indicare l'eternità dei sentimenti, per sottolineare che l'amore non ha tempo non ha limiti...
Ma soprattutto il protagonista ha uno stile fuori dal tempo e penso che stia volutamente ad indicare e sottolineare la atemporalità che si percepisce nelle persone che hanno un'anima antica..(questa è una mia deduzione)
Questo cortometraggio mi ha suscitato emozioni profonde...
Credo che per concepire una storia così ricca di pathos bisogna possedere un animo profondo, una concezione dell'amore molto intensa e anacronistica che solo alcune anime riescono ancora a "ricordare"...


"...Nemmeno una parola hanno speso per te, che giocavi ogni mattina nel bosco per rincorrere le farfalle...."
Solo l'amore sa scorgere l'animo bambino della persona amata..solo un amore puro si sofferma sugli aspetti altrettanto puri della persona amata...
Il film contiene anche un messaggio di "accettazione" di cui vi accorgerete nell'ultima parte...atto a sottolineare che l'Anima e l'Amore non hanno barriere di nessun tipo e natura, di nessun sesso o identità...
Nei 37 minuti di Amita's Poem ci saranno anche dei colpi si scena inquietanti...quindi ha anche dei risvolti velatamente horror.. ma la parola esatta dello stile è "Gothic"
La profonda sofferenza del protagonista, nel contempo è anche la sua forza, forza che lo spinge a cercare la formula dell'immortalità per avere accanto la sua amata... Anima...
Mi sento di citare Victor Hugo con questa sua frase:
"A colui il quale non avrà saputo che amare corpi, forme, apparenze... la morte toglierà tutto.
Chi ama le Anime le ritroverà"
Aminta's Poem è una rappresentazione possibile di questa frase così intensa del grande letterato... "..chi ama le Anime le ritroverà..." in un modo o nell'altro..
L'amore è la chiave di tutto, noi, sospinti da questo meraviglioso sentimento possiamo tutto...ma a patto che sia vero e autentico Amore!
Mi domando solo se noi sognatori, romantici e capaci di un amore fuori dal tempo, capaci di riconoscere l'essenza dell'amato nei suoi occhi, di guardare oltre le apparenze... di sfidare anche la morte pur di avere accanto quello stesso amore per cui la nostra anima vibra...
... mi domando davvero, se in questo mondo così materiale e lascivo... in questo mondo in cui nessuno è più disposto a Essere ma l'importanza dell'esistenza ricade solo sull'avere...mi chiedo, se noi sognatori e innamorati dell'amore saremmo mai pienamente e completamente felici...o dovremmo arrenderci all'incessante malinconia dell'Anima...
"Pensa Giulietta che non solo nessuno muore più per amore, ma non si combatte neanche più, non si vuol rischiare neanche di restare un po' feriti.
Pare tutti siano più bravi ad accontentarsi che a scegliersi"
Cit.dal web
Ecco cosa direbbe Romeo alla sua Giulietta del mondo odierno... 
Questo tipo di storia tocca gli animi profondi, le anime antiche che credono ancora fortemente nell'amore vero, che non si accontentano della convinzione che non si possa ancora provare un sentimento che non si limiti alle sole leggi della materia...

"Attraversiamo le barriere dello spazio e del tempo
rincorriamo inconsapevoli un sogno, 
sospinti dalla forza dell'amore, quello eterno, immortale.
Chiudiamo gli occhi, li riapriamo, e dopo il buio,
un'altra luce...un nuovo inizio"

Nell'AniMo Antico

lunedì 4 aprile 2016

Le Compossibilità


I compossibili non sono altro che possibili compatibili tra loro, la cui unione in un medesimo complesso non introduce dunque al suo interno alcuna  contraddizione; di conseguenza la "compossibilità" è  sempre essenzialmente relativa all'insieme cui si riferisce.
Tale insieme può essere o quello dei caratteri che costituiscono gli attributi di un oggetto particolare o di un essere individuale, oppure qualcosa di molto più generale ed esteso, l'insieme di tutte le possibilità sottomesse a certe condizioni comuni e   che appunto per questo formano un ordine definito, uno degli ambiti compresi nell'Esistenza universale; deve comunque sempre trattarsi di un insieme determinato, altrimenti la distinzione non vale più.
Un "quadrato rotondo" è un'impossibilità, poiché l'unione dei due possibili "quadrato" e "rotondo" nella medesima figura implica una contraddizione; nondimeno questi due possibili sono entrambi realizzabili, e allo stesso titolo, poiché l'esistenza di una figura quadrata non impedisce ovviamente l'esistenza simultanea di una figura rotonda, o di una qualsiasi altra figura geometricamente concepibile.
In modo analogo le diverse geometrie euclidee e non-euclidee non possono evidentemente valere per un medesimo spazio; ma ciò non può  impedire alle differenti modalità spaziali cui esse corrispondono di coesistere nell'integralità della possibilità spaziale in cui ciascuna di esse deve a suo modo realizzarsi.
Esempi del genere hanno il vantaggio di aiutarci a comprendere, per analogia, ciò  che si riferisce a casi apparentemente più  complessi.
Se invece di un oggetto o di un esse e particolare si considera ciò che potremmo chiamare un mondo, ossia l'intero ambito costituito da un dato insieme di possibilità che si realizzano nella manifestazione, tali compossibili dovranno essere tutti i possibili che soddisfano determinate condizioni, le quali caratterizzeranno e definiranno con precisione il mondo in questione, che viene a rappresentare uno dei gradi dell'Esistenza universale.
Gli altri possibili che non sono determinati dalle medesime condizioni e pertanto non possono far parte dello stesso mondo, evidentemente non sono per questo meno realizzabili.
Ogni possibile ha in quanto tale un'esistenza propria.
Ogni possibilità che sia una possibilità di manifestazione deve appunto per questo necessariamente manifestarsi e che, inversamente, ogni possibilità che non deve manifestarsi è  una possibilità di non-manifestazione.
Una possibilità di manifestazione non ha alcuna superiorità rispetto a una possibilità di non-manifestazione; essa non è oggetto di una sorta di "scelta" o di "preferenza", ha soltanto una natura diversa.
Negare la coesistenza di altri mondi è altrettanto assurdo quanto dire che l'esistenza di una figura rotonda impedisce la coesistenza di una figura quadrata o triangolare o di qualunque altro genere.
C'è da aggiungere;
Soltanto le possibilità spaziali possono realizzarsi nello spazio, ma non è meno evidente che questo non impedisce alle possibilità non-spaziali di realizzarsi anch'esse

È  importante notare che la condizione spaziale non basta da sola a definire un corpo come tale: ogni corpo è necessariamente esteso, cioè sottoposto a spazio, ma contrariamente  a quanto hanno preteso i sostenitori di una fisica "meccanicista", l'estensione non costituisce affatto la natura o l'essenza dei corpi.... lo spazio non è uno dei possibili modi della manifestazione.
Tratto da "Gli stati molteplici dell'essere" di René Guénon
Vedi anche: Portali magnetici

venerdì 1 aprile 2016

Il 'numero'


"La convenzione può  apparire arbitraria, come un avvenimento può apparire "fortuito" a chi ne ignora le cause"
I matematici nell'epoca moderna e ancor più nell'epoca contemporanea, sembrano ormai giunti a ignorare che cosa sia veramente il numero; e con ciò non intendiamo parlare soltanto del numero nel senso analogico e simbolico in cui l'intendevano i Pitagorici e i Kabbalisti.
I matematici riducono tutta la loro scienza al calcolo, secondo la concezione più ristretta che ci possa formare, considerato cioè come un semplice insieme di procedimenti più o meno artificiali, che valgono unicamente per le applicazioni pratiche cui danno luogo.
Essi sostituiscono il numero con la cifra, e, del resto, questa confusione del numero con la è così diffusa ai giorni nostri che la si potrebbe facilmente ritrovare a ogni istante fin nelle espressioni del linguaggio corrente.
La cifra non è nulla più che l'abito del numero; non diciamo nemmeno il corpo,  perché è  piuttosto la forma geometrica che,  sotto certi aspetti, può essere legittimamente considerata come costituente il vero corpo del numero, come mostrano le teorie degli antichi sui poligoni e i poliedri, messi in rapporto diretto col simbolismo dei numeri; e ciò si accorda d'altronde col fatto che ogni "incorporazione" implica necessariamente una "spazializzazione".
Non vogliamo dire che le cifre stesse siano segni completamente arbitrari la cui forma sarebbe stata determinata  dalla fantasia di individui: deve valere per i caratteri numerici quello che vale per i caratteri alfabetici, dai quali del resto in certe lingue non si distinguono (l'ebraico, il greco come pure l'arabo prima che fosse introdotto l'uso delle cifre di origine indiana), potendosi applicare sia agli uni che agli altri la nozione di un'origine geroglifica, cioè idrografica o simbolica.
I matematici non solo non si chiedono più  quale possa essere questo significato, ma sembra persino che non vogliano ve ne sia uno.
Gli scienziati ignorano che la realtà di origine matematico, al pari di tutte le altre, possono soltanto essere scoperte e non inventate, mentre loro immaginano volentieri che tutta la loro scienza non sia né debba essere nient'altro che una "costruzione dello spirito umano", il che, a dar loro retta, la ridurrebbero ad essere in verità ben poca cosa.
Il ruolo di coloro che vengono chiamati "grandi uomini" è,in buona parte, un ruolo di "ricettori", benché di solito essi stessi i primi a illudersi sulla propria "originalità".
Tratto da "I principi del calcolo infinitesimale" di René Guénon
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