lunedì 28 marzo 2016

Infinità dei mondi e l'indefinitezza dei mondi


Questa concezione dei presunti "gradi di infinità" presuppone insomma che possano esistere mondi incomparabilmente più  grandi e più piccoli del nostro, dove le parti corrispondenti di ciascuno di essi mantengono proporzioni equivalenti, sicché gli abitanti di uno qualunque di questi mondi potrebbero reputarlo infinito con altrettanta ragione di quanto facciamo noi nei confronti del nostro.
Un simile modo di considerare le cose non avrebbe a priori nulla di assurdo senza l'introduzione dell'idea di infinito, che certo non vi ha nulla a che vedere: ciascuno di questi mondi, per quanto grande lo si supponga, è  nondimeno limitato, come si può allora  chiamarlo infinito?
La verità è che nessuno di essi può  esserlo realmente, non fosse altro perché sono concepiti come molteplici, e perciò torniamo di nuovo alla contraddizione di una pluralità di infiniti.
Del resto ci si può chiedere se si tratti proprio di mondi diversi o non piuttosto, molto semplicemente, di parti più o meno estese di uno stesso mondo, poiché, per ipotesi, debbono essere tutti soggetti alle stesse condizioni di esistenza e in particolare alla condizione spaziale, sviluppandosi a una scala semplicemente ingrandita o rimpicciolita.
È  tutt'altro senso che si può  davvero parlare, non dell'infinità, ma dell'indefinitezza dei mondi, e ciò  soltanto perché, al di fuori di condizioni di esistenza quali lo spazio e il tempo, proprie al nostro mondo considerato in tutta la sua estensione di cui è  suscettibile, ve ne sono un'indefinitezza di altre ugualmente possibili: un mondo, cioè uno stato di esistenza, si definirà così tramite l'insieme delle condizioni cui è  soggetto; ma appunto perché sarà sempre condizionato, ossia determinato e limitato, e non comprenderà dunque tutte le possibilità, non lo si potrà mai ritenere infinito, ma soltanto indefinito.
Tratto da "I principi del calcolo infinitesimale" di René Guénon

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