martedì 27 agosto 2013

AMORE ARTE E FEDE


AMORE ARTE E FEDE
Sono le tre qualità dell’anima che attengono al cuore, nello specifico cabalistico a Tiferet, cioè BELLEZZA che compare sul diagramma dell'Albero Sefirotico, in quanto questa non è valutata solo con le caratteristiche armoniche del corpo fisico, ma con quelle ben più immortali ed interiori del nostro corpo glorioso, che siamo tenuti a costruire nella vita materiale: come si si legge nel Libro dell’Uscire Verso la Luce del Giorno, meglio conosciuto come Libro dei Morti degli egizi: “la nascita del bambino in noi è preludio di quest’uomo nuovo, in possesso di questo corpo di luce”.
Non è una coincidenza che le tre parole chiave che si attengono all’attivazione del cuore, nella lingua ebraica, inizino con la lettera Alef, la lettera madre per eccellenza, associata al cuore dell’uomo:

AHAVA – OMANUT – EMUNA’: AMORE – ARTE – FEDE.
L’amore, innanzi tutto, sarà la luce ininterrotta che guiderà  i nostri passi sul sentiero.
L’amore secondo i parametri cabalistici è luce ; se ci ricordassimo ogni momento di questo parallelo, cadrebbero da noi i gusti orridi di associare l’amore a qualche blanda sensazione che di poco supera la cintola o, ancor più, prodotta dalle sole convinzioni generate dal nostro emisfero celebrare sinistro, che, se mal usato, tende a razionalizzare anche l’area emotiva, con discapito della stessa e dello stesso.
Proviamo ad entrare invece con le nostre coordinate interiori nel processo trasmutativo , dove l’amore è un fatto a cui è strettamente connesso il dare: senza questi  due requisiti non ci può essere emissione di luce e, non solo; la perfezione prevede che questa emissione debba essere incondizionata .

“ Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello,
è ancora nelle tenebre.
Chi ama suo fratello rimane nella luce
E non c’è nulla in lui che lo faccia inciampare”
(1Giov.2,9)

Non c’è peggior cosa, nell’uomo avviato verso questi misteri, scoprire che c’è un dare senza riavere: basti pensare alla ricorrente espressione ‘beneficio di ritorno che si ha quando si fa il bene’; ecco comunque svelata la trappola: il miele prodotto dallo zucchero e non dai fiori;
il bene è di questo mondo, il mondo delle energie: l’amore, la luce dell’amore, seppure sia praticabile qui e ora e già del mondo a venire, cioè fa parte di quel paradiso che perdemmo proprio perché la nostra remota madre vide quel frutto che era buono da mangiare.
L’amore può essere paragonato al Fuoco Sacro; se noi siamo il tempio di Dio, noi stessi siamo custodi di questo fuoco.
Questo nostro amore, seppure apparentemente spento, giace intatto sepolto dalla nostra terra.
L’aria nel suo insieme è l’elemento che meglio di ogni altro tende ad unirci, a farci sentire veramente individui che si nutrono medesimamente della stessa cosa.
Anche il Fuoco si spegne senza Aria e se abbiamo pocanzi detto che l’amore incondizionato è paragonato al Fuoco Sacro, l’Aria diventa un elemento fondamentale per alimentare tale fuoco.
RESPIRIAMO LA STESSA ARIA, accorgiamoci di questo e sentiamo quanto questo sia importante, per noi che stiamo su strade infinite, ma tutti diretti verso Una medesima meta.

 


Fonte " Roma segreta e pagana" C.Monachesi

domenica 25 agosto 2013

L'Araba Fenice

"Così per il gran savi si confessa
che la fenice more e poi rinasce,
quando al cinquecentesimo anno appressa:
erba né biada in sua vita non pasce,
ma sol d'incenso lagrime e d'ammonio
e nardo e mirra son le ultime fasce"

Volatile mitico, l'airone rosso (in egiziano bojnew, che i greci trascrissero foinix, cioè l'imporporato).
La versione egiziana è la più conosciuta, dove la fenice è l'emblema della giornaliera apparizione del Sole e simbolo della risurrezione di Osiride.
Di essa si narra che ogni 500 anni, avvertendo l'avvicinarsi della morte la fenice si fabbricherebbe in una imprecisata 'Arabia', un gran nido con piante aromatiche, incenso e cassia, nardo e cinnamomo, dove terminerebbe i giorni.
Dalle spoglie poi nasce un verme, che si tramuta in breve nella nuova Fenice, pronta a recarsi in volo ad Eliopoli (città del Sole), per depositare sull'altare del dio Sole il corpo precedente, involto in un bozzolo ovale di mirra.
Gli arabi lo definivano: "L'essere di cui si conosce il nome, ma del quale si ignora il corpo"  .E' alquanto più grossa di un'aquila e al collo ha una ghirlanda di penne, il suo colo è giallo, il becco azzurro, le ali color porpora, la coda gialla e rossa.
Sir John Maunderville dà la seguente descrizione: "In Egitto c'è la città di Eliopoli, in essa sorge un tempio di forma rotonda.... i sacerdoti di questo tempio datano tutti i loro scritti su questo uccello, del quale esiste solo un esemplare al mondo; egli vive 500 anni e al termine della sua vita arriva volando al tempio per trovare sull'altare la sua morte nel fuoco. I sacerdoti adornano il loro altare e vi mettono sopra degli aromi, del fosforo e altre materie infiammabili, e la Fenice cala dall'alto sull'altare, per farsi incenerire.
Il giorno seguente si trova tra le ceneri un baco,
il secondo nasce un uccello,
che il terzo se ne vola via.
(Da notare il ricorrere della morte e della resurrezione e ascesa al cielo dopo tre giorni, di tutte le storie di simboli sacri)
I cinesi dicono che le immagini di questo uccello misterioso  portano felicità alla casa e procurano lunga vita.
La Fenice è un simbolo mistico del mondo: la sua testa è il Cielo, i suoi occhi sono il Sole, il becco la Luna, le sue ali sono il Vento, la sua coda sono le Piante e gli Alberi.
La Fenice egizia aveva simbolicamente in sé qualcosa di arcano, come la Grande Piramide, immagine del Dio imperscrutabile, manifestata dalla legge del Ternario e del Quaternario; la Sfinge, il suo Verbo vivente;
la Fenice, immagine dell'Anima immortale, che varca tutti i mondi con le sue ali secolari.
Questa descrizione ci fa intendere il favoloso uccello come capace di essere presente in più dimensioni, superando ogni limite imposto dallo spazio e dal tempo.
La Fenice come simbolo si può ritrovare sotto diversi aspetti: resurrezione e immortalità, rinascita ciclica.
La Fenice è spesso contrassegnata da una stella per indicare la propria natura celeste della vita nell'altro mondo.
"....Se tu segui la tua stella
non puoi fallire a glorioso porto"
Dante
 
Fonte: "Roma segreta e pagana"  di Claudio Monachesi

mercoledì 21 agosto 2013

L'Amore Universale

Cosa accade se l'amore è cieco e privo di giudizio? Parlo dell'Amore Totale, Universale, dell'amore inteso a un livello superiore di coscienza...
"L'amore da solo non serve a nulla, se non è sostenuto dalla ragione. Un uso appropriato della ragione esige l'espansione della coscienza e un punto di osservazione più elevato che amplifichi l'orizzonte.
Sicuramente anche l'amore è necessario, ma un amore che si accompagni al giudizio e alla ragione.
La funzione di quest'ultima è di illuminare regioni ancora oscure e di condurle alla coscienza attraverso la 'comprensione': regioni che sono fuori, nel mondo circostante, come dentro, nel mondo interno dell'anima.
Più l'amore è cieco  e più esso è preda dell'istinto e portatore di minacce distruttive, poiché esso è una potenza, che necessita di forma e direzione.
Per questo ad esso è congiunto un Logos compensatorio, come una luce che brilla nelle tenebre.
L'uomo non è cosciente di sé stesso agisce in preda dell'istinto ed è ingannato da tutte le illusioni che egli stesso si crea: ciò che in lui è inconscio gli si para dinnanzi come se venisse dall'esterno, ma in realtà è la sua stessa proiezione sul prossimo"
C.G.Jung

L'Amore Totale, l'amore da donare incondizionatamente al prossimo è dato da un fondersi del Sentimento e della Ragione perché non stiamo parlando di un semplice amore passionale tra due persone ma di quell'amore che come diceva Dante "move il sole e l'altre stelle" , che è l'essenza stessa della vita e non può essere semplicemente sentimento istintivo ma qualcosa di più puro forte e costruttivo...
Nell'AniMo Antico

sabato 17 agosto 2013

ZEN; La grande liberazione


“La grande liberazione.  Introduzione al buddhismo ZEN”

Colui per il quale il tempo
E’ come l’eternità
E l’eternità come il tempo 
E’ liberato da ogni lotta.
Jacob Bohme (1575-1642)

Lo zen è il frutto più significativo di quell’albero che ha per radici le raccolte del Canone pàli.
Tutto ciò che sappiamo sulla natura dello zen, risulta che si tratta anche qui di una concezione centrale d’insuperabile singolarità. Questa caratteristica concezione è designata con la parola satori e va tradotta “illuminazione”.

“Satori è la raison d’ètre dello zen. Senza satori, zen non è zen”, dice Suzuki.

Ma satori significa un tipo e una via d’illuminazione alla quale è quasi impossibile che un’europeo arrivi.
Kaiten Nukariya ( professore del collegio buddhista So-to-shu di Tokio) dice a proposito dell’ illuminazione:
“Una volta liberati dalla concezione erronea del Sé, dobbiamo destare la nostra più intima,  pura e divina saggezza, che i maestri dello zen chiamano lo spirito di Buddha  o bodhi  (il sapere attraverso il quale si sperimenta l’illuminazione) o prajna ( la più alta saggezza).
È la luce divina, il cielo interiore, la chiave di tutti i tesori dell’anima, il centro del pensiero e della coscienza, la sorgente dell’influenzamento e del potere, la sede della bontà, della giustizia, della simpatia, della misura di tutte le cose.
Quando questo intimo sapere è pienamente ridesto, siamo in condizioni di comprendere che ciascuno di noi è identico in spirito, essenza e natura, alla vita universale o Buddha, che ciascuno vive con Buddha faccia a faccia, xche ciascuno riceve la zampillante grazia del santificato (Buddha),
che egli ridesta le nostre forze morali, ci apre l’occhio dello spirito, sviluppa il nostro nuovo potere, ci dà una missione, e che la vita non è un mare di nascita, malattia, vecchiaia e morte, nemmeno una valle di lacrime, ma piuttosto il sacro tempio di Buddha, la ‘terra pura’ (sukhavati, la terra della beatitudine), dove possiamo gustare la delizia del nirvana. Allora il nostro spirito sarà completamente mutato. Non saremo più disturbati dall’ira e dall’odio, non saremo più feriti dall’invidia e dall’ambizione, non saremo più afflitti dai dispiaceri e dalle pene, non saremo mai più sopraffatti dalla tristezza e dalla disperazione” Kaiten Nukariya, The Religion of the Samuray.
Fra gli aneddoti e l’illuminazione mistica si spalanca, per il nostro modo di pensare, un abisso, che si può solo tendere a valicare, mai valicare realmente. Si ha qui la sensazione di sfiorare un segreto vero, non immaginario o pretestuale; non si tratta cioè di frasi senza senso, di mistificazioni, ma di un’esperienza che mozza il fiato.
Satori viene come una cosa improvvisa, come una cosa inaspettata.
Lo zen è certamente uno dei fiori più sorprendenti dello spirito orientale fecondato dal prodigioso mondo del pensiero buddhistico.

“Lo zen è senza dubbio uno dei beni più preziosi e sotto molti aspetti uno dei beni spirituali più notevoli di cui sia dotato l’Oriente” Suzuki.

In Occidente il filosofo ha a che fare esclusivamente con l’intelletto che, a sua volta, non ha a che fare con la vita. E chi è “cristiano” non tratta con i pagani. Entro quest’atmosfera occidentale non esiste satori, che è un fenomeno orientale.
Il satori è un accadimento naturale, anzi una cosa talmente semplice che il dettaglio fa perdere di vista l’essenziale, e chi vuole spiegarlo si serve sempre delle parole più adatte a confondere l’interlocutore.
Un maestro ha detto: “ Per chi non abbia ancora studiato lo Zen, le montagne sono montagne e le acque, acque. Ma se riesce a intuire la verità dello zen attraverso l’insegnamento di un buon maestro, allora per lui le montagne non sono più montagne e le acque non sono più acque; ma più tardi, quando avrà realmente raggiunto il luogo della pace (il satori), allora le montagne ritorneranno ad essere montagne per lui e le acque, acque”
L’illuminazione comporta un’intuizione della natura del Sé ed è un’emancipazione della coscienza da un concetto illusorio del Sé. L’illusione sulla natura del Sé  è la solita confusione tra Io e il Sé.
Nukariya intende per Sé il Buddha totale, cioè semplicemente una totalità di coscienza della vita.
Pan Shan dice: “La luna dello spirito (mind) comprende l’intero universo nella sua luce; E’ vita cosmica e spirito cosmico (spirit) e al tempo stesso vita individuale e spirito (spirit) individuale”.
In qualunque modo si voglia definire il Sé, esso è qualcosa di diverso dall’Io, e siccome una più alta comprensione dell’Io conduce al Sé, questo è qualcosa di più comprensivo che racchiude in sè l’esperienza dell’ Io e quindi lo trascende. Proprio come l’Io è una certa esperienza di me stesso, così il Sé è un’esperienza del mio Io, vissuta però non più nella forma di un Io più vasto e più alto, ma in forma di un non-Io.
Ogni accadimento psichico è un’immagine e un immaginare, altrimenti non potrebbero esistere di quel processo né coscienza né fenomenalità. Anche l’immaginare è un processo psichico, per cui è del tutto irrilevante chiamare un’illuminazione “reale” o “immaginata”.
Colui che è illuminato o asserisce di esserlo pensa, in ogni caso, che è illuminato. Quel che ne pensano gli altri non ha alcuna importanza ed interesse per lui e la sua esperienza.
Furono lo yoga in India e il buddhismo in Cina  a dare l’avvio a questi tentativi di strapparsi alla cattività di uno stato di coscienza, sentito come imperfetto.
Per quanto riguarda la mistica occidentale, i suoi testi sono pieni di istruzioni sul mondo in cui l’uomo possa e debba liberarsi dall’essere Io della sua coscienza, onde elevarsi, per mezzo della conoscenza della sua natura, al di sopra di questa e raggiungere l’uomo interiore.
Ruysbroeck usa l’immagine dell’albero che ha le sue radici in alto e la chioma in basso l’ambrosia.

“Ed egli deve arrampicarsi sull’albero della fede che cresce dall’alto al basso, poiché ha le sue radici nella divinità."
Il linguaggio dello yoga è molto simile:
“L’uomo dev’essere libero senza immagini, liberato da tutti i legami che lo trattengono e svuotano di tutte le creature”.

“Dev’essere inaccessibile  alla gioia e al dolore, al tornaconto e alla perdita, all’ascesa e alla caduta, alla preoccupazione per gli altri, al piacere e al timore, e non deve avere attaccamento per creatura alcuna”.

Da ciò deriva l’unita dell’essere, “la capacità di tendere verso l’interno”, ciò equivale a dire che “ l’uomo è volto verso l’interno, verso il proprio cuore, in modo da poter comprendere e sentire l’azione interna e le parole interiori di Dio”.
Le cose esteriori non influiscono più sulla coscienza fatta di Io, il che dà vita a un attaccamento reciproco, una coscienza vuota è aperta a un’influenza diversa. Questa influenza “diversa” non è più sentita come attività propria, ma come quella di un non-Io il cui oggetto è la coscienza.

“O Signore, insegnami la tua dottrina che si basa sulla natura di Sé dello spirito (self-nature of mind). Istruiscimi nella dottrina del non-Io” dal Lànkavatàra-sutra di Suzuki.

Tutte le conversioni improvvise possono essere considerate illuminazioni come ad esempio quella di San Paolo.
Un nuovo stato di coscienza, separato  da quello precedente da un profondo processo di trasformazione religiosa.
È come se l’atto di vedere nello spazio fosse  mutato da una nuova dimensione. Quando il maestro domanda: “ Odi il mormorio del ruscello?”  È chiaro che intende un “udire” del tutto diverso dal solito.
Ci sono dei limiti e delle condizioni personali come ad esempio si può essere consci a diversi livelli, in un ambito ampio o ristretto, superficialmente o profondamente. Queste differenze di grado sono però spesso anche differenze di essenza in  quanto dipendono dallo sviluppo della personalità in toto, cioè dalla qualità del soggetto che percepisce.
L’intelletto non si interessa alla qualità del soggetto che percepisce finchè questo pensa soltanto logicamente.
Soltanto la passione filosofica può costringere a tentare di superare l’intelletto per penetrare fino alla conoscenza di colui che conosce. Ma poiché questa passione quasi non è distinguibile da impulsi religiosi, anche tutto questo problema fa parte del processo religioso di trasformazione, incommensurabile co l’intelletto. La filosofia classica è ampiamente al servizio della trasformazione.
Un uomo nuovo, completamente trasformato, deve entrare in scena, un uomo che ha infranto il guscio dell’antico e che ha non soltanto scorto ma anche creato un cielo nuovo e una terra nuova.
Angelo Silesio ha espresso questo concetto così:

Il mio corpo è un guscio in cui un pulcino

sarà covato dallo spirito dell’eternità.

Nel campo cristiano satori corrisponde a un’esperienza di trasformazione religiosa.  L’esperienza più simile allo Zen in occidente si tratta senza dubbio di quell’esperienza mistica che si differenzia da fenomeni analoghi per il fatto che si annuncia con un “abbandonarsi”, uno “svuotarsi da immagini” e simili, in contrapposizione a esperienze religiose che, come gli esercizi di Sant Ignazio, son basati sull’uso di immagini sacre e sull’immaginare queste immagini.
L’analogia tra zen e cristianesimo si limita a pochissimi cristiani perché sarebbe come dire “Dio è nulla”, quindi i pochi che hanno affermato questa esperienza mistica con carattere paradossale hanno sfiorato o superato i confini dell’eterodossia.
La chiesa con la sua iconoclastia ha condannato questo stato mistico.
Anche in oriente molti maestri si affidano al metodo iconoclastico quindi poiché lo zen è un movimento , si sono costituite nel corso dei secoli forme collettive e non più prettamente individuali sull’educazione dei monaci, che però riguardano per forma e contenuto soltanto ciò che è esterno.
A prescindere dal modo di vivere, il tipo di educazione o configurazione spirituale sembra consistere nel metodo del kòan.
Per kòan s’intende una domanda, un’osservazione o un’azione del maestro che abbia carattere paradossale, domande rivolte al maestro tramandate in forma di aneddoti e da lui  proposte allo scolaro come oggetto di meditazione.
Un maestro disse al suo scolaro: ”A dire il vero non ho nulla da comunicarti, e se tentassi di farlo, ti darei l’occasione di deridermi. Inoltre, qualunque cosa io ti possa insegnare è mia, e non diventerà mai tua”.
Un monaco disse al maestro: “ Ho cercato il Buddha, ma non so come continuare la mia ricerca…” “E’ come cercare il bue che si sta cavalcando”.
Un maestro disse: “L’intelletto che non comprende, quello è il Buddha. Non ve n’è altro”.
I kòan sono talmente vari, ambigui e soprattuto così insuperabilmente paradossali che nemmeno un esperto può immaginare quale soluzione potrebbe esser considerata adatta, tra l’altro non  si può riconoscere un rapporto razionale ineccepibile fra kòan e l’esperienza.
Bisogna supporre che il metodo kòan non frapponga il più piccolo ostacolo alla libertà del processo psichico e che perciò anche il risultato finale non derivi se non dalla disposizione individuale dell’iniziando.
Il completo anientamento dell’intelletto razionale cui mira l’educazione crea un’assenza quanto più perfetta è possibile di presupposti della coscienza.
Si tende così ad escludere quanto più possibile il presupposto conscio, ma non quello inconscio, cioè quella disposizione psicologica sconosciuta ma presente che è tutto, all’infuori del vuoto e della mancanza di presupposti.
Essa è un fattore dato dalla natura; quando risponde la sua è una risposta data dalla natura, che è riuscita a portare direttamente la sua reazione alla coscienza.
Suzuki dice testualmente: “….la coscienza zen deve svilupparsi fino alla maturità. Quando è del tutto matura, irrompe con sicurezza in forma del satori che è uno sguardo gettato nell’incoscio”.
Ciò che la natura inconscia dell’alunno oppone come risposta al maestro o al kòan è evidentemente satori.
Per il maestro zen lo “sguardo nella propria natura”, “l’uomo primigenio” e la profondità dell’essere sono spesso argomenti di particolare interesse.
La quarta massima dello zen dice: “Sguardo gettato nella propria natura e raggiungimento dello stato di buddhità”
Un libro zen giapponese dice: “Se vuoi Buddha, devi guardare dentro la tua natura, poiché quella natura è il Buddha stesso”.
Le risposte che vengono dal vuoto apparente, dall’inconscio, la luce che risplende dalla tenebra più fitta, sono sempre considerate illuminazioni meravigliose, letificante.
Il mondo della coscienza è un mondo pieno di muri e limitazioni.
C’è da chiedersi: se l’uomo è già riuscito a edificare il mondo con le poche cose che egli può percepire distintamente nello stesso momento (a livello conscio), quale divino panorama si offrirebbe ai suoi occhi se egli se ne potesse rappresentare contemporaneamente e distintamente molte( attingendo dall’inconscio)?
L’inconscio è una totalità non descrivibile di tutti i fattori psichici subliminali, una “visione totale” di natura potenziale. Esso costituisce la disposizione totale da cui la coscienza trae fuori di violta in volta soltanto pochissimi frammenti.
Nello zen la rimozione dei contenuti consci ha luogo perché si sottrare energia ai contenuti consci e viene trasferita sull’idea del vuoto, l’energia risparmiata è devoluta all’inconscio e rinforza la carica naturale, accrescendo la capacità dei contenuti inconsci che irrompono nella coscienza.
Questi contenuti non sono contenuti qualsiasi, portano alla superficie tutto ciò che, nel significato più ampio, è necessario al completamento, cioè all’”interezza dell’orientamento conscio”.
In questo modo nella vita di tutti i giorni si crea una forma di esistenza psichica che meglio corrisponde all’interezza della personalità individuale; si eliminano anche conflitti sterili tra personalità conscia ed inconscia.
L’inconscio è la matrice di tutte le affermazioni metafisiche, della mitologia, della filosofia e di tutte le forme di vita che poggiano su presupposti psicologici.
Le risposte che provengono da lì  sono risultanti di una totalità, dalle idee possibili presenti.
La sua azione è sbalorditiva, è la risposta inattesa, comprensiva, totalmente illuminante.
Hshan-Tze ha detto: “ Il vostro spirito dev’essere come lo spazio e perciò non deve aderire al pensiero del vuoto. Allora la verità si dispiegherà libera in tutta la sua forza. Ogni movimento della vostra volontà venga da un cuore innocente, e voi agirete nello stesso modo con l’ignorante e col sapiente”.
Bisogna tuttavia tenere presente che moltissimi sono incapaci di distinguere  un motto di spirito da un’assurdità, e che molti sono talmente convinti della loro intelligenza che in vita loro non hanno incontrato che imbecilli.
In Occidente mancano le premesse spirituali necessarie allo zen.
Senza dubitare che l’esperienza di satori s’incontri anche in Occidente, spesso viene taciuta una condizione del genere in quanto non comprensibile da gli altri che non l’hanno avuta, è una trasformazione, un cambiamento non predeterminato, ma piuttosto indeterminabile, il cui unico criterio è la scomparsa della chiusura nell’Io.

Dal libro "La saggezza orientale" di Carl G. Jung

 

 

 

 

 
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