mercoledì 31 luglio 2013

ROMA la provenienza del nome

Alcuni sostengono che l’etimo provenga dal greco Rome che significa forza.
Altre fonti dimostrano che dirivi dal nome arcaico (etrusco) del Tevere: RUMON o RUMEN la cui radice è analoga al verbo ruo: scorro (Città del fiume).
Altri dal nome stesso del 1° re: ROMULUS.
Servio sostenne: “….Roma, prima dell’avvento di Evandros, fu chiamata a lungo Valentia (forte) e poi Roma, con nome greco”.
Si pensi che nel 753 a.C. viene a germogliare un seme: l’abitato del Palatino, il cui primo nucleo centrale risale alla fine del II millennio a.C. e aveva già una storia sacrale.
Questo abitato aveva il nome di RUMA, con le varianti rumis e rumen che significavano sia nel latino arcaico che nell’etrusco poppa, mammella.
 RUMILIA era una dea che veniva invocata durante l’allattamento dei bambini, ad essa si offrivano libagioni d’acqua e nei sacrifici in suo onore si cospargevano le vittime di latte.
Da un punto di vista cabalistico, l’acqua rappresenta l’amore gratuito che, discendendo dal vertice del pilastro destro dell’Albero della Vita, manifesta in Hesed la virtù dell’amore: a questo pilastro viene assimilato il latte e tutti i suoi derivati.
Secondo Giovanni Lorenzo Lido nel V secolo d.C.  Romulus pronunciò il nome della città… una città ha tre nomi : SEGRETO, SACRALE; PUBBLICO. Quello pubblico era Roma;  quello sacrale Flora o Florens; quello segreto Amor.
Gli esperti non intravidero che AMOR fosse il nome segreto, ma semplicemente un aspetto femminile del Genio della Città, che si celava, ermafrodita, a gli occhi pubblici: infatti sul Campidoglio era posto uno scudo consacrato, sul quale era scritto:

GENIO URBIS ROMAE SIVE MAS FOEMINA

(Al  Genio della Città di Roma sia maschi sia femmina)

Il nome della Città, se letto da sinistra a destra, si interpretava come Marte, Roma, forza; se invece letto da destra a sinistra si interpretava come Venere, Amor, la Dea dell’amore, nascente dalle acque.
L’unione del maschile, Marte, e del femminile, Venere, aveva generato il Figlio, cioè il Genio della Città il cui nome doveva rimanere celato ma si può intuire che essendo Marte e Venere due opposti  il nome del Genio poteva essere l’equilibrio cioè Optimo Maximo che esso rappresentava.
Secondo la tradizione romana, che rispecchia una tradizione universale, il nome era la formula che esprimeva  l’energia di ciò che si nominava : conoscere il nome era conoscere la cosa, e questa conoscenza dava le chiavi per poter influire sulla cosa stessa.
“il Romano conobbe il divino come AZIONE: prima di quella del DEUS era viva, nel Romano, la sensazione del NUMEN;L e il NUMEN è la divinità, intesa meno come “persona” che non come potere, come principio di azione: è l’ente, dal quale non interessa la figurazione, ma l’azione positiva.
Alla concezione del dio come numen  fece riscontro la concezione del culto come PURO RITO.
La più antica religione romana si lega agli Ingitamenta: indigitare significa, più o meno, invocare.
Gli Indigitamenta erano un trattato in cui erano fissati i nomi dei vari Dei  e le occasioni nelle quali ciascuno di essi poteva essere evocato efficacemente, secondo la natura propria e, per così dire, la sua giurisdizione. Questi nomi erano quindi NOMINA AGENTIS, non avevano cioè un’origine mitologica ma pratica.
Il nome contiene in una certa misura, il potere, l’anima della cosa nominata ed evocata.
Caratteristica è la formula romana che accompagnava il rito:

“IO SENTO CHE STO NOMINANDO”


 Fonte "Roma segreta e pagana" C. Monachesi

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