sabato 29 giugno 2013

L'Altra Parte di noi


"L'Altra Parte è la prima cosa che si apprende quando si vuole seguire la Tradizione della Luna, solo intendendo l'Altra Parte si comprende come la conoscenza si possa trasmettere attraverso il tempo... Noi siamo eterni perché siamo manifestazioni di Dio, ecco perché attraversiamo molte vite e molte morti, uscendo da un punto che nessuno conosce e dirigendoci verso un altro punto parimenti ignoto.
Dio decise di fare determinate cose in una certa maniera, ma il motivo per cui agì in questo modo è un segreto che solo Lui conosce.
In qualsiasi caso ciò accade.
E quando gli uomini pensano alla reincarnazione, arrivano sempre a scontrarsi con una domanda molto ardua: se all'inizio c'erano pochi esseri umani sulla faccia della Terra, e oggi ne esistono così tanti, da dove provengono queste nuove anime?
La risposta è semplice, in alcune reincarnazioni, noi ci dividiamo. Proprio come i cristalli e le stelle, le cellule e le piante, anche le nostre anime si dividono.
La nostra anima si scinde in due, e ciascuna di queste nuove entità si suddivide in altre due...e così nel giro di alcune generazioni, ognuno di noi si trova ad abitare buona parte della Terra.
Ma quale parte ha la coscienza di chi è una o tutte?
Noi facciamo parte di ciò che gli alchimisti chiamano Anima Mundi, l'Anima del Mondo, se questa dovesse soltanto suddividersi, si indebolirebbe sempre di più, nonostante la diffusione e l'accrescimento.
Ecco perché, mentre la nostra anima si divide, contemporaneamente si ritrova. E questo incontro si chiama Amore. Allorché si scinde, l'anima origina sempre una parte maschile e una femminile.
È quanto si afferma in alcune trascrizioni del Libro della Genesi: l'anima di Adamo si divise ed Eva nacque dall'interno di lui.
Anche le carte sono molte e tutte appartengono allo stesso mazzo ma per comprendere il loro messaggio abbiamo bisogno di ciascuna di esse: ognuna è ugualmente importante. E questo vale anche per le anime.
Tutti gli esseri umani sono collegati tra loro, proprio come gli arcani di questo mazzo.
In ogni vita abbiamo  il misterioso obbligo di ritrovarci con almeno una di queste Altre Parti. L'Amore Sommo, quello che le ha separate, si rallegra per l'Amore che le unisce di nuovo.
È possibile identificare l'Altra Parte di sé dal bagliore dello sguardo: sin dall'inizio dei tempi era questo il modo che persone riconoscevano il vero Amore.
E questo si trova correndo dei rischi, correndo il rischio del fallimento, delle delusioni, delle disillusioni, ma non cessando mai di cercare l'Amore. Chi persevera nella ricerca trionferà.
Possiamo incontrare più di un'Altra Parte di noi in ogni vita.
E quando ciò accade il cuore si ritrova diviso e il risultato è dolore e sofferenza. Sì è possibile incontrate tre o quattro Altre  Parti, perché noi siamo tanti, e molti sparpagliati.
Esiste una sola essenza della Creazione e si chiama Amore. L'Amore è la forza che ci permette di ricongiungerci, per condensare l'esperienza sparsa in molte vite e in molti luoghi del moldo.
Dobbiamo reputatci responsabili dell'intera Terra, poiché ignoriamo dove si trovano le Altre Parti che siamo stati sin dall'inizio dei tempi. Se esse staranno bene, saremo felici se stanno male soffriremo inconsapevolmente del loro dolore.
Ma soprattutto noi abbiamo l'obbligo di ricongiungerci, almeno una volta in ogni incarnazione con l'Altra Parte giacché, sicuramente la incontreremo lungo il nostro cammino, magari solo per qualche istante. In qualsiasi caso, quegli attimi racchiuderanno un amore così intenso da giustificare il resto della nostra esistenza.
Ovviamente è possibile che l'Altra Parte di noi prosegua per la sua strada: accade quando ci rifiutiamo di accettarla, o magari non ci accorgiamo della sua presenza.
In tal caso, avremmo bisogno di una nuova incarnazione per rincontrarla e ricongiungerci ad essa.
Tratto da "Brida" di Paulo Coelho
La Fiamma Gemella

venerdì 28 giugno 2013

L'uomo massa e il processo d'individuazione


 

 “Quando la coscienza soggettiva preferisce le rappresentazioni e le opinioni della coscienza collettiva e si identifica con esse, i contenuti dell’inconscio collettivi vengono rimossi.
La rimozione ha delle conseguenze tipiche: la carica energetica dei contenuti rimossi si somma fino a un certo punto a quella che il fattore che è causa della rimozione, la cui efficacia aumenta in proporzione.
Più aumenta la sua carica, più l’atteggiamento repressivo assume carattere fanatico e si avvicina quindi al capovolgimento nel contrario, alla cosidetta enatiodromia.
Maggiore è la carica della coscienza collettiva, più l’Io perde la sua importanza pratica.
Esso in un certo qual modo viene assorbito dalle opinioni e dalle tendenze della coscienza collettiva: il risultato è l’uomo massa, che si identifica in qualche “ismo”.
L’Io conserva la sua autonomia soltanto se sa mantenere una posizione equidistante tra gli estremi.
Questo però è possibile solo se l’Io è cosciente di ciò che “succede” intorno a lui.
Capi sociali, politici e religiosi concorrono a rendergli difficile di emettere un giudizio , tutti vogliono che la decisione cada in favore di un’unica cosa, vogliono l’identificazione assoluta dell’individuo con una “verità” necessariamente unilaterale.
L’uomo del passato ,come quello medievale, non era caduto in preda alla mondanità perché riconosceva che oltre alle potenze manifeste tangibili di questo mondo c’erano anche quelle metafisiche ugualmente influenti che non poteva trascurare, l’uomo di massa moderno invece è preda di un’unilateralità di concezioni dotate di fondamento scientifico.
Queste concezioni si riferiscono tutte quante alla conoscenza dell’oggetto esterno, trascurando così la conoscenza di sé che in questo modo così unilaterale, diventa il problema principale dell’era moderna.
Invece vi sono fattori psichici obbiettivi la cui importanza pratica non è minore, per non dir altro, di quella dell’automobile o della radio.
La condizione psichica è minacciata da pericolose identità della coscienza soggettiva con la coscienza collettiva.
Un’identità del genere produce infallibilmente una psiche di massa con la sua inarrestabile tendenza alle catastrofi.
Per fuggire a questa terribile minaccia la coscienza soggettiva deve evitare l’identificazione con la coscienza collettiva riconoscendo sia la propria ombra sia l’esistenza e l’importanza degli archetipi.
Gli archetipi rappresentano una protezione efficace contro la strapotenza della coscienza sociale e della psiche di massa che questa comporta.
L’archetipo può rivelarsi un grande aiuto per il suo fattore spirituale ma anche un gran pericolo a causa della sua parte oscura e celata quindi l’uomo è destinato a svolgere nella sua vita un ruolo decisivo nel dissolvere questo enigma , grazie alla sua coscienza che è sorta come una luce nel buio abisso del mondo primigenio.
La massificazione che deriva dal rifiuto di questo sforzo di coscienza, distrugge il senso dell’individuo e quindi anche il senso della civiltà in generale.
La psiche se perde l’equilibrio può distruggere anche la sua stessa creazione e per evitarlo l’individuo e anche la società necessita dell’attenta considerazione dei fattori psichici.
Lo sviluppo mal diretto della psiche conduce alla distruzione di massa.
La psicologia è “farsi coscienza” del  processo psichico, ma in senso più profondo, e ciò culmina necessariamente nel processo evolutivo caratteristico della psiche, che consiste nell’integrazione dei contenuti suscettibili di diventare coscienti.
Questo processo significa il “farsi totale” dell’uomo psichico, le cui conseguenze sono tanto singolari quanto difficili da descrivere per la coscienza dell’Io.
Non è possibile descrivere adeguatamente il mutamento del soggetto sotto l’influenza del processo d’individuazione.
Si tratta infatti di un evento relativamente raro che sperimenta solo colui che ha vissuto fino in fondo il faticoso confronto – faticoso ma ineliminabile ai fini dell’integrazione dell’inconscio – con le componenti inconsce della personalità.
Il faccia a faccia con l’ombra potrebbe conseguire il pericolo di potersi perdere o inflazionare l’Io in una forma di fanatismo. Potrebbero quindi venire alterati non solo i contenuti inconsci ma anche l’Io e di conseguenza l’uomo potrebbe perdersi.
Una delle componenti fondamentali è la scintilla dell’anima, quel barlume di luce divina che non brilla mai tanto come quando deve farsi valere contro l’assalto delle tenebre. Che sarebbe mai l’arcobaleno se non si ergesse sullo sfondo di una nuvola scura?
Pensiamo ai koan del buddhismo zen, che rischiarano come un lampo i rapporti quasi imperscrutabili esistenti tra l’Io e il Sé.
San Giovanni della Croce che parla di “notte oscura dell’anima”.
Il processo di individuazione è un fenomeno limite della psiche e richiede condizioni particolarissime per diventare cosciente. Si tratta forse della fase iniziale d’uno sviluppo di cui un’umanità futura imboccherà la via.”
Fonte: C.G. Jung da“La dimensione psichica”
 

L'Uomo Sapiens deve necessariamente passare a Uomo Spirituale se vuole sopravvivere allo stato di uomo massa e se non vuole la propria prossima estinsione.
Abbiamo la più alta tecnologia ma abbiamo dimenticato l'Amore.
Abbiamo solo appigli materiali e esterni e abbiamo dimenticato che il proprio "centro" è in noi stessi solo così nulla può distruggere la propria serenità interiore.
Stiamo dimenticando la bellezza delle cose semplici perchè ormai non contempliamo più un tramonto ma abbiamo la tv lcd che ci aspetta.
Jung aveva capito che la vera sventura dell'uomo moderno è il fatto che si sta lobotomizzando in una realtà che non permette via di uscita, non appena  accade qualcosa all'esteno di noi perdiamoi riferimenti, ci sentiamo persi....
Chi trova se stesso non si sente mai perso, nel proprio cammino ci si può smarrire, ma quando puoi contare su di te, ritrovi sempre la via verso la luce....


 "La vita è come un'importante corsa ciclistica, il cui traguardo è costituito dalla realizzazione della leggenda personale: secondo gli antichi alchimisti, questa è la vera missione della nostra venuta sulla Terra.
Si tratta solo si non cedere, di non desistere. Padre Alan Jones dice che occorrono Quattro Forze Invisibili, perchè la nostra anima sia in grado di superare gli ostacoli: Amore, Morte, Potere e Tempo.
E' necessario amare, per essere amati da Dio.
E'indispensabile la consapevolezza della morte, per comprendere la vita.
E' obbligatorio lottare per crescere - senza lasciarsi illudere dal potere che deriva dalla crescita, giacchè esso non vale nulla.
Infine bisogna accettare il fatto che la nostra anima, benchè eterna, sia attualmente imprigionata nella tela del tempo, greve di oportunità e limitazioni.
Perciò nella nostra corsa ciclistica, dobbiamo agire come se il tempo avesse una propria esistenza specifica: impariamo a sfruttare ogni secondo e a riposare quando avvertiamo la stanchezza, sempre animati dalla volontà di prosegiure verso la luce divina, senza lasciarci turbare dai momenti di angoscia.
Noi viviamo in un Universo così grande da annichilirci e, nel contempo, sufficientemente piccolo per poter essere racchiuso nel nostro cuore. Nell'anima dell'uomo coesistono l'essenza del mondo e il silenzio del sapere.
Le nuvole si dissipano, mentre il sole non si dissolve mai."

da "solitario nel cammino" Paulo Coelho "SONO COME IL FIUME CHE SCORRE" 
                                                                                                         

La Coscienza e la Vox Dei

Con la parola “coscienza” s’intende una forma speciale di “conoscenza” o “consapevolezza”. La particolarità  della “coscienza”è quella di essere una conoscenza o una certezza del valore emotivo delle idee che abbiamo quanto alle motivazioni del nostro agire. E’ un “fenomeno complesso” che consiste da una parte in un atto elementare di volontà o in un immotivato impulso di agire , dall’altra in un giudizio basato su un sentimento ragionevole.
Quest’ultimo è un “giudizio di valore” che si differenzia da un giudizio intellettuale in quanto presenta, oltre a un carattere obbiettivo, generale e positivo, anche quello di riferimento soggettivo.
Data la complessità del fenomeno, la sua fenomenologia empirica è molto estesa.
Si può manifestare in uno stato d’ansia apparentemente infondato che può derivare da una qualche azione senza che il soggetto sia conscio di una se pur minima relazione tra il suo comportamento e lo stato che ne consegue.
La psiche è una manifestazione che si sottrae al nostro arbitrio, è “natura”, che è possibile talvolta modificare in alcuni punti con arte, scienza e pazienza, ma non trasformare in una cosa artificiale senza danneggiare profondamente l’essenza umana. E’ possibile trasformare l’uomo in un animale malato, ma non in un’entità fittizia.
Sappiamo che il conscio e i suoi contenuti sono una parte modificabile della psiche, ma quanto più profondamente tentiamo di penetrare nel dominio dell’inconscio, tanto più riceviamo l’impressione di avere a che fare con una “realtà autonoma”.
Là dove l’inconscio coopera e il risultato coincide con la tendenza evolutiva inconscia, abbiamo i nostri migliori risultati, mentre dove la natura non ci viene in aiuto possiamo fallire anche con il migliore metodo e intenzioni.
La morale comune è una legge fondamentale dell’inconscio o almeno ne viene influenzato anche se l’inconscio risulta autonomo.
L’atto di coscienza morale si svolge, di massima, nell’inconscio proprio come nel conscio e segue gli stessi precetti morali; ad esempio con sogni in chiave simbolica ci mettono in guardia su qualcosa.
Ma il codice morale può intervenire anche al contrario, con immagini oniriche che hanno tutt’altro che del morali. In questo caso l’inconscio si diletta a fabbricare tutte le immoralità immaginabili.
Le esperienze di questo genere sono molto frequenti e costanti, il fatto è che il sogno è capace tanto di esortare quanto di fuorviare, e ci si pone la domanda se ciò che in esso appare come giudizio della coscienza debba o no essere valutato come tale; in altre parole, se si debba o meno ascrivere all’inconscio una funzione che a noi appare in ordine morale.
Sembra che esso pronunci giudizi morali con la stessa obbiettività con la quale produce fantasie immorali. Questo paradosso, o interna contraddittorietà della coscienza, è da tempo noto: accanto alla coscienza “vera” ne esiste una “falsa” che esagera, distorce e trasforma il bene in male e il male in bene, come fanno ad esempio gli scrupoli di coscienza; e agisce invero con la stessa capacità di coazione e gli stessi fenomeni emotivi propri della coscienza vera.
A questo riguardo ovviamente ci sentiamo molto insicuri, occorre un coraggio non comune o/e una fede incrollabile per seguire semplicemente la propria coscienza e non cadere nella confusione di questo paradosso.
Di solito le obbediamo ma fino al punto delimitato dal codice morale, che se non la sostiene essa ne viene indebolita.
Il fenomeno che chiamiamo “coscienza” lo incontriamo a qualsiasi livello umano e non si tratta di “invenzioni” ma di spontanee formazioni della fantasia che si presentano senza premeditazione, naturalmente e involontariamente, e cioè reazioni inconsce, archetipiche proprie della psiche mana.
 Nulla è  più di sbagliato del presumere che un mito sia stato “inventato”. Esso nasce piuttosto di per sé, come si può osservare in ogni tempo e in ogni luogo in tutte le autentiche creazioni della fantasia, e soprattutto nei sogni.
Ma la hybris del conscio vuole che tutto discenda da lui, mentre, come può essere provato, esso stesso deriva da una più antica psiche inconscia. L’unità e la continuità della consapevolezza sono un acquisto così recente che si teme ancora di vederle svanire.
Allo stesso modo la reazione morale è un comportamento primigenio della psiche, mentre le leggi morali sono una tarda conseguenza del comportamento morale, codificata in precetti.
Quando obbediamo al dettame della nostra coscienza restiamo soli a porgere l’orecchio a una voce soggettiva che non sappiamo affatto su quali basi sia fondata. Nessuno può garantire che i motivi in base ai quali agisce siano soltanto motivi nobili.
Dietro le nostre presunte migliori azioni c’è sempre il Diavolo che ci batte paternamente sulla spalla sussurrandoci: “Magnifico!”
Come si fa a riconoscere la vera coscienza dalla falsa, da un auto-illusione?
Dice Giovanni: “Esaminate gli spiriti, se siano da Dio”.
La coscienza è stata intesa da molti, e fin dai tempi più remoti, più come un intervento divino che come una funzione psichica: infatti i suoi dettami erano considerati come vox Dei, la voce di Dio.
E’ psicologicamente vero che esiste l’opinione secondo la quale la voce della coscienza è la voce di Dio.
Chi le presta tale dignità dovrebbe affidarsi incondizionatamente alla decisione divina seguendo più la propria coscienza che la morale convenzionale.
La coscienza, in qualunque modo fondata, esige dal singolo che egli ubbidisca alla voce interiore anche a rischio di sbagliare. Si può rifiutare obbedienza a questa voce richiamandosi al codice morale e alle concezioni religiose su cui esso poggia, pur provando la sgradevole sensazione di aver commesso un’infedeltà.
La violazione dei valori interiori non è uno scherzo e a volte ha gravi conseguenze psichiche.
Pochi le conoscono anche perché pochi si rendono obbiettivamente conto dei nessi psichici, ma l’anima è tra le realtà sulle quali si è meno informati, poiché a nessuno piace indagare sulla propria ombra. Ci si serve della psicologia perfino per occultare a sé stessi i veri nessi causali.
La sua obbiettività è tanto più gradita quanto è più “scientifica”, perché rappresenta un mezzo eccellente per liberarsi dalle pesanti componenti affettive della coscienza, che pure rappresentano la vera dinamica della reazione morale.
La “voce di Dio” spesso sbarra decisamente la strada all’intenzione soggettiva, strappandole una decisione assai sgradita.
In altre parole, la coscienza è un’esigenza che s’impone al soggetto o che almeno gli procura serie difficoltà.
A volte appare indirettamente sottoforma di sintomi compulsivi là dove non sembra avere parte alcuna. Tutte queste manifestazioni dimostrano che la reazione morale corrisponde a una dinamica autonoma chiamata di volta in volta demone, genio, angelo custode, “Io migliore”, cuore voce interiore, uomo interiore, o superiore. In stretto contatto con la coscienza positiva detta “vera”, si trova la coscienza negativa detta “falsa”designata con l’espressioni diavolo, seduttore, tentatore, spirito maligno, eccetera.
Nessun fenomeno psichico mette in più chiara luce la polarità dell’anima di quanto faccia la coscienza. Se vogliamo capire qualcosa del suo indubbio dinamismo, dobbiamo concepirlo come energia, cioè come potenziale fondato su opposti.
La coscienza porta a percezione conscia gli opposti sempre e inevitabilmente presenti. Questo stato di polarità è un indispensabile elemento costitutivo della psiche.
Se si accetta la concezione della coscienza come voce di Dio ci troviamo logicamente davanti a un dilemma metafisico: o esiste un dualismo e l’onnipotenza divina è dimezzata, oppure gli opposti sono contenuti nell’immaggine monoteistica di Dio, come per esempio quella di Yahwèh nell’Antico Testamento, che presenta uno accanto all’altro opposti moralmente contrastanti, corrispondente all’immaggine della psiche che poggia dinamicamente su opposti, come l’auriga platonico guida il cavallo nero e il cavallo bianco.
L’ipotesi della voce di Dio è un’esclamazione soggettiva, che in primo luogo sottolinea il carattere numinoso della reazione morale. La coscienza è una manifestazione di mana, cioè una manifestazione dello “straordinariamente potente”. Il che è caratteristica speciale delle “idee archetipiche”.
Cioè la reazione morale, in quanto è solo in apparenza identica all’azione suggestiva del codice morale, appartiene alla sfera dell’inconscio collettivo.
L’esperienza dimostra che l’archetipo in quanto manifestazione naturale ha un carattere moralmente ambivalente o, meglio, non ha in sé proprietà morali, è amorale come amorale è anche l’immagine divina, in fin dei conti, di Yahwèh, e acquista caratteristiche morali soltanto attraverso l’atto della conoscenza.
Ecco perché la forma primigenia della coscienza è paradossale: mandare un eretico al rogo è, da un lato un’azione pia degna di lode, come, secondo la tradizione, e dall’altro una brutale manifestazione di spietata e orrenda sete di vendetta.
Entrambe le forme della coscienza, quella vera e quella falsa, scaturiscono dalla stessa sorgente e perciò hanno approssimativamente la stessa forza di persuasione.
Ciò si manifesta anche, per esempio, nelle denominazioni simboliche di Cristo, quali Lucifero, Leone, Corvo (o Nykìkorax), Serpente, Figlio di Dio eccetera che Egli divide Satana, o nell’idea che il benevolo Dio Padre del cristianesimo sia talmente vendicativo da pretendere l’orribile sacrificio di suo Figlio per riconciliarsi con l’umanità, o la tendenza, attribuita al summum bonum, a indurre in tentazione l’uomo, così misero e indifeso, per poi mandarlo all’eterna dannazione se non si fa in tempo a scoprire la trappola tesa dalla divinità.
Di fronte a tali paradossi, insopportabili per il sentimento religioso, vorrei proporre di ridurre la nozione della vox Dei all’ipotesi dell’archetipo, per noi accessibile e comprensibile.
I miti e le favole della letteratura mondiale contengono determinati “motivi”, sempre e dovunque riproposti, che incontriamo nelle fantasie, nei sogni, nei deliri e nei vaneggiamenti dei nostri contemporanei. Queste tipiche immagini e associazioni sono designate come rappresentazioni archetipiche.
Esse sono impressionanti, suggestive, affascinanti: provengono da un archetipo, in se non rappresentabile, da una forma inconscia preesistente che sembra appartenere alla struttura ereditaria della psiche e può quindi manifestarsi anche spontaneamente dovunque.
Il ricondurre l’atto di coscienza a una collisione con l’archetipo rappresenta una spiegazione sostenibile in blocco; d’altra parte dobbiamo ammettere che l’archetipo “psicoide”, cioè la sua essenza irrappresentabile e inconscia, non è soltanto un postulato ma possiede qualità di natura parapsicologica riunite sotto il termine di “sincronicità”.La Sincronicità e l'I Ching
Questo termine indica il fatto che in caso di telepatia, precognizione e simili fenomeni inesplicabili, si può frequentemente osservare anche una situazione archetipica. Ciò si potrebbe collegare con la natura collettiva dell’archetipo, perché l’”inconscio collettivo”, diversamente dall’inconscio personale, è lo stesso dovunque , cioè in tutti gli individui, come lo sono, nei membri della stessa specie, tutte le funzioni biologiche e tutti gli istinti.
Poiché i fenomeni parapsicologici associati con la psiche inconscia mostrano una particolare tendenza a relativizzare le categorie di tempo e di spazio, l’inconscio collettivo deve possedere una qualità aspaziale e atemporale.
Quando parliamo con una persona i cui contenuti inconsci sono costellati, cioè attivati, si genera nel nostro inconscio una costellazione parallela, cioè viene attivato lo stesso o un simile archetipo e, poiché siamo meno inconsci dell’interlocutore e non abbiamo motivi di rimozioni, ci rendiamo conto della sua tonalità affettiva sotto forma di un crescente disagio della coscienza (si entra in cosidetta “connessione” con la persona).
In questo modo si possono avere anche ricostruzioni spontanee di fatti ignorati che si possono esprimere mediante visioni o sogni o provocare un sentimento sgradevole, conscio eppure non formulabile, o far si che una persona indovini un fatto accaduto senza sapere a chi si riferisca.
L’archetipo psicoide è quindi portato a comportarsi come se non fosse localizzato in una persona, ma agisse nell’ambiente circostante in un raggio più o meno vasto.
Nella maggior parte dei casi è la percezione subliminale dei più piccoli segni dell’affetto che conduce alla conoscenza dell’accaduto; gli animali e i primitivi si distinguono per la loro sensibilità in questo campo. Questa spiegazione è insufficiente per spiegare gli avvenimenti  di tipo parapsicologico.
Non appena due interlocutori toccano questioni fondamentali essenziali e numinose e si trovano all’unisono, si produce infatti il fenomeno che Lèvy Bruhl ha definito come pratecipation mystique, fenomeno di “identità inconscia”, in cui le due sfere psichiche individuali si compenetrarono a un punto tale che non è possibile distinguere quel che è dell’una da quel che è dell’altra.
In conclusione “coscienza” significa, nell’uso comune, la certezza della presenza di un fattore che, se “la coscienza è tranquilla”, conferma che una determinata decisione o azione è morale; in caso contrario, la giudica “immorale”.
Da essa si differenzia la forma etica della coscienza, che si manifesta quando due decisioni o comportamenti, moralmente confermati e perciò concepiti come “doveri”, cozzano l’uno contro l’altro.
In questo caso, che è il più delle volte individuale, non previsto dalla morale, si rende necessario un giudizio che in realtà non può essere definito morale, cioè conforme ai costumi.
In questo caso la decisione non può disporre di alcun “costume” cui appoggiarsi.
Qui il fattore decisivo della coscienza è un altro, che sembra derivare non dal codice morale tradizionale ma dal fondamento inconscio della personalità o individualità; la decisione è tratta dalle oscure acque del profondo (vedi i post Funzione Trascendente e  Processo di Individuazione).
Se il soggetto è sufficientemente coscienzioso, il conflitto è portato fino in fondo; ne risulta una soluzione creativa prodotta dall’archetipo costellato e dotata di quella perentoria autorità che non senza ragione è caratterizzata come vox Dei.
Il tipo di soluzione corrisponde ai fondamenti più profondi della personalità, nonché alla sua totalità che abbraccia inconscio e conscio, mostrandosi così superiore all’Io.
Vedi anche Fenomeni Psichici

 C.G. Jung "La dimenzione psichica"

mercoledì 26 giugno 2013

La Sincronicità e l'I Ching


Di per sé spazio e tempo non consistono in nulla. Emergono come concetti ipotizzati solo dall’attività discriminante della coscienza, e formano le coordinate indispensabili per la descrizione del comportamento di corpi in movimento.
Sono quindi sostanzialmente di origine psichica.
Ma se se sono proprietà apparenti di corpi in movimento prodotte dalle necessità intellettive dell’osservatore, la loro relativizzazione ad opera di una condizione psichica non è più in ogni caso un che di prodigioso, ma rientra nell’ambito del possibile.
Questa possibilità sorge però quando la psiche osserva non corpi esterni ma sé stessa.
I fattori decisivi della psiche inconscia sono gli archetipi che fanno la struttura dell’inconscio collettivo.
Questo inconscio però rappresenta una “psiche”  che è identica a sé in tutti gli uomini, e che al contrario dell’elemento psichico a noi noto, è imperscrutabile, per cui l’ho definita con il termine “psicoide”.
Gli archetipi hanno una “carica specifica”: sviluppano effetti numinosi che si manifestano come affetti.
L’affetto provoca un parziale abaissement du niveau mental, elevando un determinato contenutoa un livello di chiarezza superiore al normale, ma sottraendo anche in pari misura agli altri possibili contenuti della coscienza tanta energia che essi si oscurano, diventano inconsci.
E’ quindi un’esperienza quasi regolare che nell’affetto erompano e giungano a manifestarsi contenuti inattesi, che di norma sono inibiti o inconsci.
Apperentmente sembra proprio che gli archetipi siano legati in certe circostanze a fenomeni di contemporaneità, cioè di sincronicità.
Si tratta di “coincidenze” legate tra loro quanto al significato in modo che il loro coincidere “casuale” comporta un’improbabilità che andrebbe espressa mediante una grandezza incommensurabile.
L’esperienza psicologica s’imbatte costantemente in casi in cui l’affiorare di parallelismi simbolici non può essere spiegato senza ricorrere all’ipotesi dell’inconscio collettivo.
I casi di coincidenze significative – che vanno distinti da semplici gruppi casuali – sembrano basarsi su fondamento archetipo.
Per  sincronicità” si indica la contemporaneità di due eventi connessi quanto al significato, ma in maniera acasuale e ciò è il criterio essenziale di questo termine.
“Sincronicità” è usato in opposizione a “sincronismo”, che rappresenta la semplice contemporaneità di due eventi.
Sincronicità significa anzitutto la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi esterni che paiono paralleli significativi della condizione momentaneamente soggettiva e (incerti casi) anche viceversa.
Eventi sincronici si basano sulla contemporaneità di due stati psichici diversi: uno è lo stato normale, probabile ( cioè sufficientemente  spiegabile in senso causale), l’altro è lo stato non deducibile dal primo per via causale, ossia l’evento critico.
In tutti i casi si tratti di ESP spaziale o temporale, esiste una contemporaneità tra lo stato normale o abituale e un altro stato o esperienza non deducibile per via causale, la cui obbiettività può essere di norma verificata solo a posteriori (intuizione profetica o veggenza).
Bisogna tener particolarmente d’occhio questa definizione quando entrano in gioco eventi futuri.
Essi infatti non sono evidentemente sincroni ma sincronistici poiché vengono vissuti al presente come immagini psichiche, quasi che l’evento obbiettivo fosse già presente. Un contenuto inatteso in relazione immediata o mediata con un evento esterno oggettivo coincide con lo stato psichico abituale: è questo fatto che si chiama sincronicità, e si tratta esattamente della stessa categoria di eventi, anche se la loro obbiettività sembra separata dalla coscienza nello spazio e nel tempo.
In linea di principio in questi eventi né lo spazio, né il tempo influiscono sulla sincronicità.
E’ possibile concepire la sincronicità spaziale come un percepire nel tempo, ma va notato che non è altrettanto facile intendere la sincronicità temporale come spaziale, perché non siamo in grado di rappresentarci uno spazio in cui eventi futuri sarebbero già obbiettivamente presenti e potrebbero venir recepiti come attuali mediante riduzione di questa distanza spaziale.
Ma poiché, stando all’esperienza, spazio e tempo sembrano in determinate circostanze ridotti approssimativamente a zero, cade con ciò anche la casualità, legata all’esistenza di spazio e tempo e di mutazioni dei corpi, dal momento ch’essa consiste nella successione di causa ed effetto.
Per questo motivo il fenomeno della sincronicità non può essere per principio posto in relazione con alcuna rappresentazione causale.
Il legante tra fattori coincidenti quanto a significato, deve essere pensato necessariamente come acausale.
Il fattore emotivo svolge un ruolo considerevole; ogni stato emotivo causa una modificazione della coscienza definita da Pierre Janet “abaissement du niveau mental” ciò significa che subentra un restringimento della coscienza e al tempo stesso un rafforzamento dell’inconscio, specialmente in presenza di affetti intensi. Il tono dell’inconscio si alza in una certa misura, il che provoca facilmente un avanzamento dall’inconscio nella coscienza.
Di conseguenza la coscienza cade sotto l’influenza di impulsi e contenuti inconsci istintivi.
Questi contenuti di regola sono complessi fondati in ultima analisi sugli archetipi, cioè sull’”instinctual pattern”.
 Ma accanto agli archetipi si trovano nell’inconscio anche le percezioni subliminali e così pure immagini mnestiche dimenticate, cioè o momentaneamente o assolutamente irriproducibili.
Tra i contenuti subliminali bisogna distinguere le percezioni da ciò che definirei un “conoscere” o un “esser presente” inesplicabile.
Mentre le percezioni possono essere riferite a possibili o probabili eccitazioni sensoriali subliminali, il “conoscere” o “esser presente”  di immagini inconsce o non ha nessun fondamento riconoscibile. Oppure esistono rapporti causali riconoscibili con certi contenuti (spesso archetipici) già preesistenti.
Si suppone che esista nell’inconscio un che di simile a una conoscenza a priori o, meglio una “presenza” a priori svincolata da ogni base causale.
Il fenomeno della sincronicità è quindi la risultante di due fattori:
1)      un’immagine inconscia si presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata) alla coscienza come sogno, idea improvvisa o presentimento;
2)      un dato di fatto obbiettivo coincide con questo contenuto. Ci si può meravigliare in eguale misura del primo o del secondo fatto.
Come si crea l’immagine inconscia, o come si crea la coincidenza?
Si può rispondere con le seguenti citazioni:
da Alberto Magno nel "De mirabilibus mundi" che prende in considerazione il ruolo dell’affetto nell’insorgere di eventi di sincronicità:
  “Trovai (in riferimento alla magia) una spiegazione illuminante nel sesto libro dei Naturalia di Avicenna in cui si dice che è insita nell’anima umana una certa proprietà (virtus) di cambiare le cose, e che le altre cose ne sono soggette; e precisamente quando essa è trascinata a un grande eccesso di amore o di odio o qualcosa di analogo.
Se quindi l’anima di un uomo cade in preda a un grande eccesso di qualche passione si può stabilire sperimentalmente che esso (l’eccesso) costringe (magicamente) le cose e le cambia nella direzione verso cui tende l’eccesso… l’emotività dell’anima umana  è la radice principale di tutte le cose, sia che essa, a causa della sua grande emozione, modifichi il suo corpo e altre cose alle quali tende, sia che ad essa anima siano soggette, data la sua dignità, le altre cose inferiori, o che con tale affetto spinto al di là di ogni limite corra parallelamente l’ora adatta o la situazione astrologica o un’altra forza, e noi crediamo  (di conseguenza) che ciò che produca questa forza sia causato dall’anima….. Chi vuole quindi conoscere il segreto di questo fatto per provocarlo e scatenarlo, deve sapere che chiunque può influenzare magicamente ogni cosa, se cade preda di un grande eccesso… e allora lo deve fare precisamente in quell’ora in cui l’eccesso lo aggredisce e agire con le cose che l’anima gli prescrive.
Questo testo mostra chiaramente che l’evento sincronistico (“magico”) era visto come un fatto dipendente dall’affetto.
Ma il “potere magico dell’anima” è preordinato quanto la rappresentazione coincidente che anticipa l’evento fisico esterno. La rappresentazione coincidente prende le mosse dall’inconscio e rientra quindi tra le “idee che sono indipendenti da noi”. Causate da Dio e non dipendenti da noi.
Quindi vi sono degli avvenimenti sincronistici a precindere dalla volontà di volerli scatenare.
Anche Goethe pensa in termini “magici” i tema di eventi sincronistici:
  “Tutti abbiamo in noi un che di forze elettriche e magnetiche, e come il magnete esercitiamo un potere di attrazione e di ripulsione a seconda che veniamo in contatto con qualcosa di uguale o disuguale”.
Dopo queste considerazioni generali, torniamo ora al nostro problema dei fondamenti empirici della sincronicità.
Le esperienze di cui parliamo sono tutt’altro che a portata di mano. Dobbiamo quindi arrischiarci negli angoli più oscuri e trovare il coraggio di dare una scossa alle prevenzioni della nostra concezione attuale del mondo, se vogliamo tentare di allargare le basi della nostra conoscenza della natura.
La domanda è se esista un metodo che renda possibili risultati misurabili o numerabili, e che al tempo stesso ci dia modo di penetrare nei retroscena psichici della sincronicità.
Da tempo esistono certi metodi intuitivi i così detti metodi mantici, che procedono sostanzialmente dal fattore psichico, ma che presuppongono come ovvia la realtà della sincronicità.
In un primo tempo ho diretto particolarmente la mia attenzione su quella tecnica ausiliaria della comprensione intuitiva della totalità che è caratteristica della Cina, ossia l’I Ching.
Al contrario dello spirito occidentale educato dal pensiero greco, lo spirito cinese tende a non cogliere il fatto singolo per amore del fatti in sé, ma a una concezione che vede il singolo come parte di un tutto.
L’I Ching, questa base della filosofia classica cinese è un metodo destinato da tempi antichissimi a cogliere nella sua totalità una situazione e a porre quindi il problema singolo nel quadro del grande gioco antitetico di Yin e Yang.
Cogliere la totalità è ovviamente lo scopo anche della scienza naturale.
Nell’I Ching a una domanda sconosciuta tiene dietro una risposta incomprensibile. Le condizioni per una reazione totalitaria sono quindi quasi ideali. Lo svantaggio però salta agli occhi: contrariamente a quanto accade nell’esperimento scientifico, non si sa cosa è successo.
Due saggi cinesi cercano già nel dodicesimo secolo della nostra era di rimediare a questo inconveniente, tentando, in base all’ipotesi dell’unità di tutta la natura, di spiegare come concordanza significativa la contemporaneità di uno stato psichico con un processo fisico.
In altre parole essi supposero che sia nello stato psichico che in quello fisico si esprima la stessa realtà. Per verificare quest’ipotesi occorreva però, in questo esperimento apparentemente illimitato, una condizione ancora, ossia una certa forma del processo fisico, un metodo o una tecnica che costringesse la natura a formulare la sua risposta mediante numeri pari e dispari.
In quanto rappresentati di Yin e Yang questi numeri sono propri sia dell’inconscio che della natura in forma di opposti, ossia di madri e padri di tutto ciò che accade, e costituiscono quindi il tertium comparationis tra il mondo psichico interiore e il mondo fisico esterno.
I due saggi trovarono così un metodo che permetteva di rappresentare uno stato interiore come esteriore e viceversa.
Naturalmente però occorreva una conoscenza intuitiva del significato della figura offerta di volta in volta dall’oracolo.
L’I Ching consiste quindi in una raccolta di 64 interpretazioni nelle quali è elaborato il senso di ognuna delle 64 combinazioni Yang-Yin. Queste rivelazioni danno forma alla conoscenza interiore, inconscia, che coincide con lo stato in cui si trova di volta in volta la coscienza.
Con questa premessa psichica coincide il risultato casuale del metodo, ossia i numeri pari e dispari che risultano dalla caduta delle monete o dalla suddivisione casuale di gambi di achillea.
Come tutte le tecniche divinatorie, ossia intuitive, il metodo è basato sul principio del nesso acasuale o sincronistico.
Nell’esecuzione pratica dell’esperimento si verificano effettivamente numerosi casi illuminanti per chiunque non sia prevenuto, casi che dal punto di vista razionale, e operando una certa violenza, si potrebbero spiegare solo come proiezioni. Ma se si ammette che sono realmente ciò che sembrano, allora si tratta di coincidenze significative per le quali la nostra conoscenza non ha spiegazioni causali da offrire.
Fonte: "La sincronicità" di Carl G. Jung


Per provare a consultare l'I Ching consiglio questo sito:
http://www.labirintoermetico.com/09IChing/index.htm

martedì 25 giugno 2013

Fenomeni psichici, l'incoscio e la coscienza sublime....

Questo post non è nato per cercare una spiegazione ai fenomeni psichici, o per capire se esistono o meno le esperienze extrasensoriali, ma solo per far riflettere tutte quelle persone che non credono alla possibilità che tutti noi abbiamo delle facoltà o quel certo sesto senso...
Jung, come altre menti geniali del XX secolo, ha capito che oltre il tangibile, oltre ciò che i sensi ci permettono di percepire, c'è tutto un "mondo occulto" dal quale si può attingere qualsiasi informazione passata, presente e futura: questo mondo celato che Jung identifica nell'inconscio.
Ciò che non è semplicemente comprensibile dalla coscienza fa paura e ci vuole coraggio per affrontare e decodificare ciò che tutto questo comporta nella vita di tutti i giorni.
Io personalmente ho passato la maggior parte della mia vita a capire ciò che mi succedeva in determinate situazioni, fenomeni che non comprendevo o che credevo fossero comuni a tutti, dopo una serie di letture ho "incontrato" Jung che nel modo più semplice e comprensibile possibile (ma solo perché mi identifico in molti dei suoi pensieri) mi ha condotto alle risposte che cercavo o comunque, cosa ancora più importante per me, ha avvalorato delle mie teorie nate in modo spontaneo; teorie che neanche io sapevo da che "parte di me" provenissero e che mi accompagnano da tutta una vita e che negli anni hanno subito evoluzioni date dall'integrazione di esperienze!
La “dissociazione o dissociabilità della psiche”;
 è un fenomeno psichico che di solito la psicologia “accademica” ignora: non solo, accade che i processi inconsci sono spesso indipendenti dai processi sperimentati dalla coscienza; ma anche i processi coscienti lasciano già intravedere con chiarezza d’essere connessi da tenui legami, quando non mostrano addirittura una separazione.
Si tratta addirittura di antichissime esperienze dell’umanità, che si riflettono nell’ipotesi universalmente diffusa di una pluralità di anime in un medesimo individuo.
Inoltre l’esperienza psichiatrica dimostra che spesso basta ben poco per far saltare l’unità della coscienza, faticosamente conseguita nel corso dell’evoluzione, e per tornare a dissolverla nei suoi elementi originari.
Se è esatto in sé per sé che contenuti della coscienza diventano, a causa di una perdita di energia, subliminali e quindi inconsci, e che viceversa un aumento di energia fa si che processi inconsci diventino coscienti, dovremmo aspettarci, se per esempio esiste la possibilità di atti di volontà inconsci, che questi posseggano un’energia che li rende capaci di assurgere alla coscienza; una coscienza secondaria però e che consiste nel fatto che il processo inconscio è “rappresentato” a un soggetto che sceglie e decide.
Questa coscienza secondaria rappresenta una componente della personalità che non a caso è separata dalla coscienza dell’Io, ma poiché esiste una somma di energia che rende possibile accedere alla coscienza, il soggetto secondario agisce tuttavia sulla coscienza dell’Io, ma indirettamente, ossia per mezzo di “simboli”, termine non  proprio esatto perché i contenuti che appaiono nella coscienza sono infatti anzitutto “sintomatici”. 
E’ quindi possibile che l’inconscio ospiti contenuti i quali posseggono una tensione energetica tanto grande da dover diventare percepibili all’Io in altre circostanze. Non si tratta di contenuti rimossi, bensì di contenuti “non ancora consci”, cioè realizzati come soggettivi, come per esempio i demoni o gli dèi primitivi e i vari “ismi” moderni ai quali si tributa una fede fanatica.
Non è illegittimo da parte nostra stabilire un’analogia tra la coscienza e le funzioni sensoriali, dalla cui fisiologia proviene del resto il concetto di “soglia”.
Il numero di vibrazioni del suono percepibile all’orecchio umano va da 20 a 20000 circa, e le lunghezze d’onda della luce si estendono da 7700 a 3900 angstrom.
In base a questa analogia sembra pensabile che esista, per i processi psichici, non solo una soglia inferiore ma anche una soglia superiore, e che di conseguenza la coscienza, che è il sistema di percezione per eccellenza, possa essere paragonata alla scala percepibile del suono o della luce, il che spinge a supporre, analogamente a quanto accade col suono e con la luce, l’esistenza non solo di un limite inferiore ma anche di un limite superiore.
Forse sarebbe possibile estendere questo paragone alla psiche in generale, se esistessero processi “psicoidi” a entrambe le estremità della scala psichica.
In base all’assioma natura non facit saltus questa ipotesi non dovrebbe essere del tutto peregrina.
Adotto il termine “psicoide” non come sostantivo ma come aggettivo, e non intendo con tale termine una qualità propriamente attinente alla psiche o all’anima ma “analoga all’anima”, simile a quella che posseggono i processi relativi ai riflessi, e in più questo termine deve servire a distinguere una categoria di fenomeni da un lato dai semplici fenomeni vitali, e dall’altro dai processi propriamente “attinenti alla psiche”.
Questa distinzione ci costringerà anche a definire il tipo e l’estensione di ciò che è psichico, e in modo particolarissimo, di ciò che è “inconsciamente psichico”.
Il fatto che all’esistenza della coscienza vi sia accanto un secondo sistema psichico, ha un significato assolutamente rivoluzionario, perché potrebbe alterare radicalmente la nostra immagine del mondo. Se fossimo in grado di incanalare nella coscienza dell’Io anche solo le percezioni che hanno luogo in un secondo sistema psichico, sarebbe possibile estendere in maniera incredibile la nostra immagine del mondo, che non può che avere valore provvisorio; perché si compie sul soggetto del percepire e del conoscere una modificazione così radicale come quella di un raddoppiamento ineguale, non può non sorgere un’immagine del mondo diversa da quella invalsa finora.
Questo può essere dimostrato solo se i contenuti inconsci si lasciano trasformare in contenuti coscienti, ossia quando si riesca, mediante l’interpretazione, a integrare nella coscienza le alterazioni provenienti dall’inconscio, cioè gli effetti delle manifestazioni spontanee, di sogni, fantasie e complessi.
L’inconscio non è ciò che è semplicemente ignoto: da un lato è l’elemento psichico ignoto, ossia tutto ciò che presupponiamo non si distingue in nulla dai contenuti psichici  a noi noti qualora pervenisse alla coscienza; dall’altro lato dobbiamo aggiungervi anche il sistema psicoide, sulla cui natura non siamo in grado di fare affermazioni dirette.
Questo inconscio così definito descrive un dato di fatto estremamente fluido: tutto ciò che io so, ma a cui momentaneamente non penso; tutto ciò che per me una volta è stato cosciente, ma che ora è dimenticato; tutto ciò che viene percepito dai miei sensi, ma che non viene notato dalla mia coscienza; tutto ciò che io sento, penso, ricordo, voglio e faccio senza intenzione e senza attenzione, cioè inconsciamente; ogni cosa futura che si prepara in me e che affiorerà alla coscienza solo più tardi; tutto questo è contenuto nell’inconscio.
William James parla anche di campo transmarginale  della coscienza e lo identifica con coscienza subliminale:
“Essa ci circonda come un ‘campo magnetico’, all’interno del quale il centro d’energia gira come l’ago di una bussola, mentre la fase presente della coscienza si muta in quella che le succede.
L’intera nostra riserva di ricordi fluttua al di là di questo margine, pronta a entrare, al primo contatto; e l’intera massa di poteri, impulsi e conoscenze residui che costituisce la nostra personalità empirica si estende continuamente al di là di esso. Ad ogni momento della nostra vita cosciente, i confini che separano quel che è attuale da quel che è solo potenziale sono tracciati in modo così vago, che è sempre difficile dire certi elementi mentali se siano consci o no”.
La psiche in quanto tale non può essere spiegata in base al chimismo fisiologico se non altro perché essa è, con la “vita” in generale, l’unico fattore naturale capace di trasformare strutture sottoposte alle leggi naturali in stati “superiori” o “innaturali”, in antitesi con la legge dell’entropia che governa la natura inorganica.
Non sappiamo come la vita fa scaturire le complessità organiche dallo stato inorganico, ma sperimentiamo direttamente come procede la psiche nel farlo.
La vita ha perciò una “autonomia”, un modo di porre da sé le sue leggi, che non può essere derivato dalle leggi naturali fisiche conosciute.
La base istintuale controlla la parte inferiore della funzione. La parte superiore invece corrisponde alla parte prevalentemente psichica della funzione stessa.
La parte inferiore è la parte relativamente immutabile, automatica della funzione, la parte superiore la parte volontaria e variabile.
La parte di funzione definita parte inferiore ha un aspetto inconfondibilmente fisiologico. Il suo essere o non essere sembra legato agli ormoni. Il suo funzionamento ha “carattere dell’obbligatorietà”.
La parte superiore, per la quale la migliore descrizione possibile è quella di psichica, e che viene anche sentita come tale, ha perso il carattere di obbligatorietà. Può essere assoggettata al libero arbitrio e perfino piegata a un uso antitetico rispetto all’istinto originario. Funzione Trascendente
Lo psichico appare come un’emancipazione della funzione dalla forma istintuale e dalla obbligatorietà che, come unica determinazione della funzione, la irrigidisce riducendola a un meccanismo.
Via via che si libera dalla sfera puramente istintuale infatti la parte superiore raggiunge alla fine un livello in cui l’energia insita nella funzione non è affatto orientata nel senso originario dell’istinto, ma raggiunge una forma cosidetta “spirituale”.
Così dicendo non s’intende affatto che si verifica una modificazione sostanziale dell’energia istintuale, ma semplicemente una modificazione delle sue forme di applicazione.
Il senso o il fine dell’istinto non è affatto una cosa univoca, perché nell’istinto può essere celato un senso finale, diverso dal senso biologico, che viene alla luce soltanto nel corso dell’evoluzione.
Fonte: dal libro di C.G.Jung "La dimensione psichica"

Anche Rol in altre parole, ma dal medesimo significato, asseriva dell'esistenza di una coscienza sublime che collegava ogni uomo a Dio, in pratica noi siamo o obbiamo un canale che ci permette di entrare in contatto con le informazioni inconscie, ma non tutti gli esseri umani hanno la volontà o le capacità di volerlo utilizzare.
Da alcune delle sue frasi possiamo capire ciò che lui intende per coscienza sublime:
 -“La coscienza sublime, sinonimo di quella parte “già divina”dell’uomo rivelatagli lungo la strada della conoscenza dell’anima”
 -“I suoni ed i colori sono gli elementi sui quali si armonizza l’universo. Il tempo è il mezzo col quale l’armonia si compie. Il disordine non esclude l’armonia, sempre quando il disordine si manifesta naturalmente. Il genio dell’uomo percepisce il rapporto che corre fra gli elementi armonici ed il tempo e lo sfrutta se è capace di non ostacolare il decorso.
La rivelazione di un’opera di genio consiste appunto nella percezione avvenuta di uno di questi processi e nella captazione del medesimo.”
 -“Per quanto mi riguarda io non sono stato dotato naturalmente e in modo speciale di facoltà che mi differenziano dagli altri uomini: ciò che v’è in me lo possiedono tutti ma, a me e a coloro che si
mettono con fiducia assoluta per questa strada, è dato di giungere alla conoscenza di quell’equilibrio perfetto che governa l’universo (l’amor che muove il sole e l’altre stelle)”
 -“Non dimentichiamo mai che siamo prigionieri di noi stessi, e che, in nessun caso ci liberiamo dal nostro destino.”
 -“La conoscenza della realtà è di grande aiuto nel reperire e interpretare i preziosi simboli che ci stanno intorno e ci illuminano costantemente.”
 -“Non c’è nessuno, io credo, che possa sottrarsi ai voleri dell’anima, e tutti, un momento o l’altro hanno quell’attimo di chiaroveggenza che li spinge a meditare su di una piccola cosa, che capita proprio lì, giusto per aprire un vasto orizzonte di luce e verità.”
Dal libro "..Io sono la grondaia..."

In ultimo, anche una mente scientifica come quella di Einstein, capisce che oltre la nostra percezione puramente sensoriale c'è qualcosa che va al di là della nostra coscienza.
 Ciò che Jung definisce incoscio collettivo, per Einstein è una compenetrazione nelle leggi della Natura, imperativo esteriore, religiosità cosmica...
Riporto delle citazioni tratte dai suoi libri:
"Ciascuno agisce non soltanto sotto l'impulso di un imperativo esteriore, ma anche secondo una necessità interiore. L'aforismo di Schopenhauer: «è certo che l'uomo può fare ciò che vuole ma non può volere ciò che vuole» mi ha vivamente impressionato fin dalla giovinezza.... Aver coscienza di ciò contribuisce ad addolcire il senso di responsabilità che facilmente ci mortifica e ci evita di prendere troppo sul serio noi come gli altri"
"Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell'intelletto più profondo e della bellezza più luminosa, che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più primitive, questa conoscenza e questo sentimento, ecco la vera devozione: in questo senso è soltanto in questo, io sono fra gli uomini più profondamente religiosi."
"Mi basta sentire il mistero dell'eternita della vita, avere la conoscenza e l'intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche piccolissima, che si manifesta nella natura"
"Al contrario il sapiente è compenetrato dal senso della casualità per tutto ciò che avviene. La morale non ha niente di divino è del tutto umana. La sua religiosità consiste nell'ammirazione estasiata delle leggi della natura."
"La religione cosmica è l'impulso più potente e più nobile alla ricerca scientifica"
"Il vero valore di un uomo si determina esaminando in quale misura e in che senso è giunto a liberarsi dall'Io."
"la missione più alta del fisico è dunque la ricerca di queste leggi elementari, le più generali, dalle quali si parte per raggiungere, attraverso semplici deduzioni, l'immagine del mondo. Nessun cammino logico conduce a queste leggi elementari: l'intuizione sola fondata sull'esperienza ci può condurre ad esse."
"L'armonia prestabilita.... Il desiderio ardente di una visione di questa armonia prestabilita è la fonte della perseveranza e della pazienza inesauribile con la quale vediamo Plank dedicarsi ai problemi più generali della nostra scienza senza lasciarsi distogliere da mete più facilmente raggiungibili e più
 utilitarie."

Psicologia-Religione-Alchimia


 
Il concetto di “processo di individuazione” e l’alchimia sembrano molto distanti l’uno dall’altra, tanto che al primo momento può sembrare impossibile immaginare un ponte che li congiunga.
Ma ogni persona che conosca veramente l’anima umana sarà d’accordo con me se dico essa appartiene ai fenomeni più oscuri e più misteriosi che si presentano alla nostra esperienza e che nell’anima esista un processo per così dire indipendente dalle circostanze esterne, indirizzato alla ricerca di una meta;
la ricerca dell’Uomo Totale, l’uomo più grande e futuro.                                                           
Ma la via giusta che porta alla totalità è fatta disgraziatamente proprio di strade sbagliate, di strade più lunghe, di aggiramenti fatali.
Si tratta di una lunghissima via; non d’una linea retta, ma serpentina che congiunge gli opposti, linea che ricorda il caduceo indicatore di strade; d’un sentiero che si aggroviglia in un labirinto non privo di orrori.
Su questa strada si formano quelle esperienze che molta gente si compiace di chiamare “difficilmente accessibili”.
La loro inaccessibilità sta nel fatto che sono costose: esigono ciò  che si teme di più e cioè la “totalità”, della quale tutti cianciano continuamente e sulla quale si può teorizzare all’infinito, ma dalla quale, nella realtà della vita si gira anche a largo.
Temo che di questo stato di cose non si possano rendere responsabili soltanto l’incoscienza e l’impotenza del singolo , ma anche l’educazione psichica generale dell’uomo.
Al cristianesimo si può rimproverare uno sviluppo arretrato nel tentativo di giustificare la propria insufficienza.
Non parlo dunque del cristianesimo nel suo senso migliore e più intimo bensì di quel fenomeno superficiale e fatal malinteso che noi tutti abbiamo davanti agli occhi.
L’esistenza dell’imitatio Christi, cioè di seguire il modello e diventare simili a Lui, dovrebbe mirare allo sviluppo e all’elevazione dell’uomo interiore, ma viene ridotta dal fedele a un oggetto di culto esteriore: e proprio questa forma di devozione rende impossibile all’imitazione di penetrare nella profondità dell’anima, e ricrearla in quella totalità che corrisponde al modello.
Sì, può succedere anche che Cristo venga imitato fino alla stigmatizzazione, senza che per questo colui che lo imita abbia seguito, anche soltanto in modo approssimativo, il suo esempio e realizzato il suo senso.
Non dobbiamo dimenticare però che perfino l’imitazione mal compresa comporta, in certe  occasioni uno sforzo morale immane, il quale benché non permette di raggiungere la meta vera e propria, ha pur tuttavia il merito di costituire una dedizione totale a un valore che pur essendo esteriore, è per altro supremo.
Non è impensabile che qualcuno, proprio in questo suo sforzo totale e in virtù di esso, abbia un barlume, un’intuizione della propria totalità, accompagnata dal sentimento di grazia che è proprio di tale esperienza.
A questa concezione errata dell’ imitatio Christi viene incontro un pregiudizio europeo, che distingue l’atteggiamento occidentale da quello orientale.
L’uomo occidentale è affascinato dalle “diecimila cose” ; vede solo il singolo, è attaccato al suo Io e alle cose, e non ha alcuna coscienza della profonda radice di tutto ciò che esiste.
L’uomo orientale, invece, vive il mondo delle cose singole e persino il proprio Io, come un sogno ed è essenzialmente radicato al fondamento originario il quale lo attrae con tale potenza da fargli relativizzare, in misura che per noi spesso è incomprensibile, la sua appartenenza al mondo.
L’atteggiamento occidentale col suo accento sull’oggetto tende a fissare il “modello” Cristo nel suo aspetto oggettivo, defraudandolo in questo modo del suo rapporto misterioso con l’uomo interiore.
Il Cristo inteso come modello s’è addossato i peccati del mondo.
Ma se il modello rimane del tutto esteriore, anche il peccato del singolo rimane all’esterno, e ciò rende il singolo più frammentato che mai, perché un malinteso superficiale gli offre una comoda via: di “buttare” letteralmente “su di Lui” i suoi peccati e di schivare così la responsabilità più profonda.
Se il valore supremo (Cristo) e la suprema mancanza di ogni valore (peccato) si trovano all’esterno, l’anima è vuota: le mancano l’estrema bassezza e l’altezza suprema. L’atteggiamento orientale procede in senso inverso : altezza e bassezza massima si trovano nel soggetto (trascendentale) stesso. Con ciò l’importanza dell’Atman, del Sé, aumenta a dismisura.
Una proiezione religiosa esclusiva può defraudare l’anima dei suoi valori, tanto che essa, per inanizione, può non continuare a svilupparsi e rimane arenata  in uno stato inconscio. Contemporaneamente essa cade in preda all’illusione che tutte le disgrazie si trovino all’esterno, cosi chè si finisce col non chiedersi più quanto e come vi si contribuisca noi stessi. L’anima appare così insignificante che non la si ritiene quasi capace di far del male, e tanto meno del bene.
L’anima non può essere unicamente un “nient’altro che” o un “soltanto”, ma possiede invece la dignità di un ente cui è dato di essere cosciente in rapporto con la divinità. Anche se si tratta unicamente del rapporto di una goccia col mare: nemmeno il mare potrebbe esistere senza la moltitudine di gocce.
L’immortalità dell’anima stabilita dogmaticamente eleva l’anima al di sopra della caducità dell’uomo fisico e la rende compartecipe di una qualità soprannaturale.
La sua importanza sovrasta di moltissimo l’uomo cosciente, mortale, tanto che in fondo dovrebbe essere proibito al cristiano di considerare l’anima un “nient’altro che”.
Come l’occhio al sole, così l’anima corrisponde a Dio. La nostra coscienza non ingloba l’anima, ed è dunque ridicolo parlare dei fatti dell’anima con sufficienza o sminuirli.
Così come il credente non può nemmeno mettere in discussione che esistono somnia a Deo missa (sogni mandati da Dio) e illuminazioni dell’anima che non possono venir ricondotti a nessuna causa esterna. Sarebbe una bestemmia voler sostenere che Dio si può manifestar da per tutto eccezion fatta proprio nell’anima umana.
Questa corrispondenza, consiste nel linguaggio psicologico, nell’archetipo dell’immagine di Dio.
Ogni archetipo è suscettibile di sviluppo e differenziazione infiniti è possibile pertanto che sia più o meno sviluppato.
In una forma religiosa esteriore, in cui tutto l’accento cada sulla figura esteriore(nella quale si tratta dunque di una proiezione più o meno completa), l’archetipo è identico alla rappresentazioni esteriori, rimane però inconscio quale fattore psichico.
Ma se un contenuto inconscio  è sostituito a tal punto da un immagine proiettata, è escluso dalla compartecipazione alla vita della coscienza e da ogni influenza attiva su di essa, e ciò va fortemente a scapito della sua vita poiché gli viene impedito di contribuire alla formazione , che gli è naturale, della coscienza, anzi di più: esso rimane immutato nella sua forma originaria, poiché nell’inconscio nulla muta.
Quindi Dio è “tutto fuori” e non fa nell’anima un’esperienza viva.
I grandi avvenimenti del nostro mondo, che son voluti e provocati dagli uomini, non respirano lo spirito del cristianesimo, bensì quello di un paganesimo rozzo. Vi è all’origine di ciò una condizione psichica rimasta arcaica che non è stata sfiorata nemmeno lontanamente dal cristianesimo.
La cultura cristiana ha dimostrato di essere spaventosamente vuota, una vernice esterna; l’uomo interiore non è stato raggiunto ed è quindi rimasto inalterato. Lo stato dell’anima non corrisponde a ciò che viene creduto esteriormente.
Il cristiano non ha camminato con la sua anima di pari passo con lo sviluppo esteriore. Esternamente c’è tutto, in immagini e in parole, nella Chiesa e nella Bibbia; interiormente non c’è nulla.
E’ vero che l’educazione cristiana ha fatto quanto era umanamente possibile, ma in misura insufficiente. Troppo pochi hanno vissuto l’immagine divina come la proprietà più intima dell’anima. Hanno incontrato un Cristo soltanto all’esterno: nessun Cristo è venuto ad essi incontro dalla loro anima.
Il cristianesimo deve necessariamente ricominciare da capo, se vuole adempiere al suo alto compito educativo.
Finchè la religione rimane soltanto fede esterna e forma esterna, finchè la funzione religiosa non diventa una funzione della nostra anima, nulla di fondamentale è successo.
“Quando però dimostro che per sua natura l’anima possiede una funzione religiosa, e quando postulo che il compito principale e più nobile di ogni educazione (degli adulti) consiste nel portare alla coscienza l’archetipo dell’immagine divina, o le sue emanazioni e i suoi effetti, ecco che proprio allora la teologia mi ferma la mano e mi accusa di “psicologismo”.
Se non si sapesse  per esperienza che nell’anima  si trovano valori supremi, la psicologia non mi interesserebbe un bel nulla, poiché non sarebbe altro un misero fumo.
Mi hanno rimproverato di deificare l’anima. non io ma Dio stesso l’ha deificata.”
Nel loro stato davvero tragico di accecamento, questi teologi non comprendono che non si tratta di dimostrare l’esistenza della luce, bensì del fatto che esistono ciechi quali non sanno che i loro occhi potrebbero vedere.
 Con l’andar del tempo bisognerebbe una buona volta accorgersi che lodare e predicare la luce non serve a nulla, se non c’è nessuno che possa vederla.
Se affermo che Dio è un archetipo, intendo con ciò il “tipo” che si trova nell’anima.
“Tipo” deriva notoriamente da colpo impronta. La parola “archetipo” presuppone un soggetto che dia l’impronta, che imprima.
Noi semplicemente non sappiamo da dove infondo far derivare l’archetipo, proprio come non conosciamo l’origine dell’anima.
 La completezza della psicologia come scienza empirica arriva soltanto al punto di stabilire, sulla base della ricerca comparativa, se il “tipo” trovato nell’anima  può giustificatamente esser chiamato, per esempio, “immagine di Dio”, oppure no.
Con ciò non si enuncia nulla a proposito di una possibile esistenza di Dio, né in senso positivo né in senso negativo, così come l’archetipo dell’eroe non implica l’esistenza di un eroe.
Non ci si è ancora accorti che tutte le enunciazioni religiose contengono contraddizioni logiche e asserzioni impossibili per principio anzi, che proprio questo costituisce l’essenza delle asserzioni religiose?
Tertulliano ha ben ammesso (De carne Christi, 11.5):”E morto è  il figlio di Dio, e questo è credibile proprio perché è assurdo. E sepolto e risorto: e questo è certo perché è impossibile”.
Se il cristianesimo invita a credere a tali contraddizioni, non può, mi sembra, disapprovare chi dia diritto d’esistenza a qualche altro paradosso in più.
Stranamente il paradosso appartiene ai beni spirituali più preziosi; l’univocità è segno di debolezza. Per questa ragione una religione impoverisce nel suo intimo quando perde o diminuisce i suoi paradossi; se invece li aumenta, diventa più ricca, poiché solo il paradosso è capace di abbracciare, anche se soltanto approssimativamente la pienezza della vita; mentre ciò che è univoco, che non ha contraddizioni, è unilaterale, e quindi  inadatto ad esprimere l’inafferrabile.
Dai tempi dell’illuminismo francese, le cose sono andate rapidamente peggiorando; poiché quando queste menti, che non tollerano il paradosso si svegliano, non c’è predica che possa zittirle.
Allora si presenta un compito nuovo: quello cioè di portare lentamente questa ragione non sviluppata a un livello superiore, e di aumentare il numero di coloro che sono capaci di avere almeno una vaga intuizione della portata di una verità paradossale.
Dove ciò non è possibile, l’accesso spirituale al cristianesimo può considerarsi bloccato: semplicemente non si è più in grado di capire ciò che i paradossi del dogma possano significare, quanto più esteriore diventa il modo di concepirli, tanto più ci si formalizza per loro veste irrazionale.
E’ un fatto del quale la persona che ne è colpita non si può render conto: non ha mai fatto l’esperienza viva che le immagini sacre sono una sua intima ricchezza, e non ha mai saputo della loro affinità con la propria struttura psichica. Ma è proprio questa conoscenza imprescindibile che può essere offerta dalla psicologia dell’inconscio.
Ciò che l’inconscio esprime non è né arbitrarietà né un’opinione, bensì un accadimento, un “esser-così”, al pari di qualsiasi essere naturale.
Le qualità paradossali del concetto corrispondono al fatto che la totalità è composta da un lato dall’uomo cosciente, dall’altro dall’uomo inconscio.
Di quest’ultimo però non si possono indicare né i limiti né le determinazioni.
Nella  terminologia scientifica il Sé non rinvia dunque né a Cristo né a Buddha, bensì alla totalità delle figure corrispondenti, ognuna delle quali è un simbolo del Sé.
Per la psicologia, il “simbolo di Cristo” ha un’importanza estrema, in quanto esso è forse, assieme alla figura del Buddha, il simbolo più altamente sviluppato e differenziato del Sé.
Il Sé non è soltanto indeterminato ma paradossalmente, contiene anche il carattere della determinazione, addirittura dell’unicità.
E’ questa probabilmente una delle ragioni per cui proprio quelle religioni che hanno per fondatori personalità storiche, si sono estese al mondo intero, come il cristianesimo il buddhismo, l’islamismo;
Il fatto di includere la personalità umana nella sua unicità , e congiunta alla natura divina non determinabile corrisponde all’elemento assolutamente individuale del Sé, il quale unisce all’eterno fenomeni che si verificano una sola volta e il singolare con quanto vi è di più generale.
Il Sé è l’unione dei contrari
L’androginia di Cristo è l’estrema concessione che la Chiesa abbia fatto alla problematica dei contrari .La contrapposizione di chiaro e buono da un lato e di oscuro e cattivo dall’altro, fu lasciata nel suo stato di aperto conflitto.
Questo contrasto è il vero problema universale non ancora risolto.
Il Sé comunque è paradossalità assoluta poiché rappresenta sotto ogni riguardo tesi e antitesi e contemporaneamente sintesi.
L’archetipo che l’esplorazione dell’inconscio  alla coscienza, pone dunque a confronto l’individuo con la contraddittorietà abissale della natura umana, dandogli in questo modo la possibilità di un’esperienza assolutamente immediata di luce e tenebre di Cristo e diavolo.
L’esperienza dei contrari si potrebbe piuttosto chiamare un destino. Una tale esperienza può dimostrare all’uno la verità di Cristo, all’altro la verità del Buddha fino all’evidenza estrema.
Senza esperienza dei contrari non esiste esperienza della totalità.
Il cristianesimo insiste giustificatamente sulla peccaminosità e sul peccato originale, con l’intenzione manifesta di riaprire in ogni singolo, almeno dall’esterno, l’abisso dell’antiteticità del  contrasto universale.
Nel Sé il bene e il male sono più uniti di due gemelli omozigoti. La realtà del male e la sua incompatibilità col bene scindono gli elementi contrari e portano inesorabilmente alla crocifissione e alla sospensione di tutto ciò che è vivo.
Poiché l’anima è naturaliter cristiana, questa conseguenza dovrebbe verificarsi con la stessa necessità con la quale s’è verificata nella vita di Cristo.
Noi tutti dovremmo essere “crocifissi con Cristo”, cioè vivere in una sofferenza morale corrispondente alla crocifissione vera e propria.
Una reazione palliativa contro questo stato è costituita da quel “probabilismo morale” il cui compito è di evitare che l’anima venga schiacciata dal senso del peccato (l’uomo si regola  in atti di autodecisione morale, secondo ciò che è probabilmente giusto, raccomandato da qualche autorità sia esemplare sia dottrinale).
Il simbolismo cristiano lascia aperto il conflitto bene/male. Per il simbolismo cristiano c’è una “faglia” che attraversa il mondo: la luce lotta contro la notte, ciò che è sopra contro ciò che è sotto. Questi Due non sono Uno come nell’archetipo psichico. Benché il dogma aborra dall’idea che il Due sia Uno, pure abbiamo visto, la pratica religiosa rende possibile la realizzazione approssimativa del simbolo psicologico naturale, cioè del Sé unificato in se stesso. Il dogma insiste sul fatto che il Tre è Uno, ma non ammette che sia Uno il Quattro.
E’ noto che i numeri dispari, fin dall’antichità e non soltanto da noi in Occidente ma anche in Cina, sono maschili,  quelli pari invece sono femminili.
Donde il fatto che la Trinità è una divinità esplicitamente maschile, di cui l’androginia del Cristo e la particolare posizione e la venerazione attribuite alla Madre di Dio non costituiscono il pieno equivalente.
Con questa costatazione arriviamo a un assioma centrale dell’alchimia, e precisamente all’assioma di Maria Prophetissa: “L’Uno diventa il Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo, il Quarto compie l’Unità”.
L’importanza dell’alchimia per la storia della chimica è ovvia. Viceversa, la sua importanza per la storia dello spirito è ancora così sconosciuta  che sembra quasi impossibile indicare in poche parole in che cosa essa consista.
L’alchimia forma una sorta di corrente sotterranea di quel cristianesimo che regna alla superficie.
Il rapporto tra alchimia e cristianesimo è equivalente a quello tra sogno e coscienza, e come il sogno compensa i conflitti della coscienza, così l’alchimia tende a colmare quelle lacune che la tensione dei contrari presente nel cristianesimo, ha lasciate aperte.
Qui tra le cifre dispari del dogmatismo cristiano si inseriscono le cifre pari che denotano l’elemento femminile, la terra, l’elemento sotterraneo, il male stesso.
La loro personificazione è il serpens mercurii, il drago che genera sè stesso e distrugge sè stesso, e che rappresenta la prima materia.
La coscienza in senso maschile è compensata dall’elemento ctonio-femminile dell’incoscio.
L’inconscio non ha sempre un rapporto di contrasto con la coscienza , ma si comporta nei suoi riguardi come un avversario o un compagno di gioco che in misura più o meno grande la modifica.
Il “tipo” del figlio non evoca come immagine complementare dall’inconscio “ctonio” una figlia, bensì parimenti un figlio; l’incarnazione del Dio  puramente spirituale nella natura umana terrestre, incarnazione resa possibile dalla generazione dello Spirito Santo ne grembo della Beata Vergine. Così il superiore, lo spirituale, il maschile si protende verso l’inferiore, il terrestre, il femminile.
Analogamente Madre Terra, la madre anteriore al mondo paterno, viene incontro aqll’elemento maschile e per mezzo dello strumento dello spirito umano (la “filosofia”) procrea un figlio: non l’opposto di Cristo, bensì il suo equivalente ctonio, non un uomo dio bensì un uomo favoloso conforme alla natura della madre primordiale.
E come al figlio superiore spetta il compito della redenzione dell’uomo (del microsmo), così il figlio inferiore ha il significato di un salvator macrocosmi.
Cosi il Filius philosofhorum non è affatto un mero riflesso del figlio di Dio in una materia impropria; al contrario, questo figlio della Tiàmat mostra i tratti della figura primordiale materna. Benché sia decisamente ermafrodito, ha un nome maschile e tradisce così la tendenza che ha il mondo degli inferi ctonio, rifiutato dallo spirito e identificato senza troppe cerimonie col male, a venire a patti: non si può misconoscere che egli rappresenta una concessione all’elemento spirituale e maschile, benché porti in se il peso della terra e la favolosità dell’animalità primordiale.
Nell’alchimia si tratta particolarmente del germe dell’unità che giace nascosto nel caos della Tiàmat e che costituisce l’equivalente dell’unità divina.
Come questa, esso ha carattere trinitario nell’alchimia influenzata dal cristianesimo, triadico nell’alchimia pagana. Secondo altre testimonianze esso corrisponde all’unicità dei quattro elementi, e forma dunque una quaternità.
Il numero Tre infatti non è un’espressione naturale della totalità, poiché il numero minimo delle determinanti di un giudizio totale è rappresentato dal Quattro.
Nell’alchimia esistono quattro e tre regimina (procedimenti), quattro e tre colori. Ci sono sempre, è vero, quattro elementi; ma spesso sono tre raggruppati e uno, ora la terra, ora il fuoco, ha una posizione particolare. E’ vero che il Mercurius è quadratus, però è anche un serpente tricefalo o semplicemente una triunità. Questa incertezza è indizio di un tanto l’uno quanto l’altro; ossia le rappresentazioni centrali sono tanto quaternarie quanto ternarie.
L’incertezza tra Quattro e Tre significa un oscillare tra spirituale e fisico.
Si verifica da qui la produzione dei simboli dell’unità, i mandala, i quali si manifestano o in sogno, o durante la veglia, in forma di impressioni visive, di immagini, spesso anche come un’evidentissima compensazione  della contraddittorietà e della conflittualità della situazione cosciente.
Sarebbe inesatto dire che nell’ordine universale cristiano di ciò sia responsabile il fatto che la “faglia”, il divario, rimane aperto, poiché è facile dimostrare come il simbolo cristiano guarisca, o si sforzi di guarire , proprio questa ferita. Sarebbe più corretto vedere questo rimanere aperto del conflitto come un sintomo della situazione psichica dell’uomo occidentale, e deplorare la sua capacità di accogliere in sé tutta la vastità del simbolo cristiano.
L’esperienza più alta e decisiva è il trovarsi soli con il proprio Sé, o qualsiasi altro nome si voglia dare all’oggettività dell’anima.
Da principio la via che porta alla meta è caotica e indiscernibile; soltanto gradualmente aumentano gli indizi di una direzione verso la meta.
La via non è rettilinea, ma apparentemente ciclica, come una spirale.
I sogni in quanto manifestazioni di processi inconsci gravitano o si muovono in cerchio attorno al centro, e si avvicinano a questo con amplificazioni sempre più chiare e più vaste.
Tra questo percorso a spirale e la crescita delle piante si potrebbe stabilire un parallelismo, tanto più che il motivo della pianta (albero, fiore, ecc) ricorre frequentemente in questi sogni e fantasie, e viene rappresentato anche spontaneamente con disegni.
Nell’alchimia l’albero è il simbolo della filosofia ermetica.
Lo sviluppo di questi simboli è per così dire equivalente al processo di guarigione, il centro o la meta ha dunque nel vero senso della parola il significato di “salute”.
Da qui deriva il confronto con la propria Ombra, con quella parte oscura dell’anima della quale ci si sbarazza mediante le proiezioni.
Si sa, e vero, che senza peccato non esiste pentimento e senza pentimento non esiste la grazia redentrice, anzi persino che senza il peccato originale l’atto della redenzione universale non si sarebbe mai potuto produrre. Ma si tralascia premeditatamente di esaminare se non sia insita proprio nella potenza del male una particolare volontà divina che si avrebbe tutte le ragioni di prendere in considerazione.
Non esiste nessuna verità che non si significhi redenzione per gli uni, e seduzione e veleno per gli altri.
Chi conduce una lotta estenuante e disperata contro il Destino, vi vedrà piuttosto il demonio.
A lunga scadenza anche la giusta azione avrà effetti nefasti in mano all’uomo sbagliato.
Chi sa vedere lontano, si farà altrettanto poco abbagliare dall’azione giusta della persona sbagliata quanto dall’azione sbagliata dalla persona giusta dirigendo l’attenzione non al “cosa” bensì al “come” dell’azione perché in esso è compresa tutta l’essenza della persona che agisce.
Il male esige di essere pinderato tanto quanto il bene, perché bene e male non sono altro che prolunganti ideali e astrazioni dell’agire, e appartengono tutti e due al chiaroscuro della vita.
In fondo non esiste alcun bene dal quale non possa sorgere un male e nessun male dal quale non possa sorgere un bene.
Se Cristo ha preso le parti del peccatore e non lo ha condannato, se si vorrà essere veri imitatori di Cristo si dovrà fare lo stesso, e poiché non si dovrebbe fare all’altro ciò che non si fa a noi stessi, si prenderanno le parti anche, e prima di tutto, di quel peccatore che siamo noi stessi.
Con l’amore si migliora, con l’odio si peggiora: anche noi stessi.
Da un lato è lo spirito della Chiesa che ha prodotto la coscienza attuale, dall’altro è la scienza, nei cui inizi si trova nascosto molto di ciò che non poteva essere accolto nella Chiesa stessa.
Si tratta particolarmente dei residui dello spirito antico e dell’antico sentimento della natura che non potevano venir estirpati, e che finirono col trovare asilo nella filosofia della natura del Medioevo.
Come spiritus metallorum e come componenti del destino in astrologia, gli antichi dèi planetari sopravvissero a molti secoli cristiani.
Mentre nella chiesa la differenziazione crescente del rito e del dogma allontanava la coscienza dalle radici naturali che essa ha nell’inconscio, l’alchimia e l’astrologia erano occupate ad evitare che il ponte di congiunzione con la natura, cioè l’anima inconscia, cadesse in rovina.
L’astrologia non faceva che ricondurre sempre nuovamente la coscienza a riconoscere la heimarmene, cioè la dipendenza del carattere e del destino da determinati momenti temporali; l’alchimia dava sempre nuovamente occasione di proiettare quegli archetipi che non potevano inserirsi senza attrito nel processo cristiano.
Indubbiamente , per molti alchimisti l’aspetto allegorico aveva una tal preminenza da farli vivere nella convinzione incrollabile di aver a che fare soltanto con corpi chimici.
Ce ne erano però sempre altri ai quali ciò che importava nel loro lavoro di laboratorio erano il “simbolo” e il suo effetto psichico.
Il loro lavoro con la materia era, è vero, un serio tentativo di penetrare nell’essenza delle  trasformazioni chimiche, però era anche, e spesso in misura ponderante, la rappresentazione di un processo” psichico” ; “Aurum nostrum non est aurum vulgi”
La Chiesa aspirava a salvare gli alchimisti, offrendo loro nelle sue rappresentazioni dogmatiche analogie di quello stesso processo, analogie che però in stretto contrasto con l’alchimia , erano scisse dal legame con la natura, in quanto si ricollegavano alla figura storica del Redentore.
Quell’unità dei Quattro, quell’ Oro Filosofico, quel Lapis Angularis, quell’ Acqua divina, erano nella Chiesa la croce a quattro braccia, sulla quale l’Unigenito si era sacrificato storicamente una volta, e contemporaneamente per tutta l’eternità.
Le rappresentazioni centrali cristiane hanno le loro radici in quella filosofia gnostica che per legge psicologica doveva svilupparsi proprio quando le religioni classiche cominciavano a diventare obsolete.
Essa è basata sulla percezione dei simboli del processo di individuazione inconscio, il quale  si mette in moto sempre quando le rappresentazioni collettive superiori che dominano la vita umana cominciano a sgretolarsi.
Esiste un certo tipo di persone che a questo punto vengono “afferrate”, “possedute” dagli archetipi numinosi i quali per creare dominanti nuove, premono verso la superficie.
Coloro che vengono “afferrati” si identificano con i loro stessi contenuti archetipici, e li incarnano in modo esemplare nelle loro vite, e ciò fa di essi dei p0rofeti e riformatori.
Fu così che Gesù divenne l’immagine protettrice contro tutte le potenze archetipiche che  minacciavano di possedere tutti.
La lieta novella annunciava”E’ accaduto, non vi accadrà più, a condizione che crediate in Gesù, nel Figlio di Dio”  poteva invece accadere, e può accadere e accadrà a ognuno, qualora si disgreghi la dominante cristiana.
Così ci furono persone che non si accontentavano della dominante della vita cosciente ma si misero in cerca di quell’esperienza originaria delle radici eterne e, soggiogate dal fascino dell’inconscio inquieto, “si avviarono verso quel deserto dove, come Gesù, si imbatterono nel figlio delle tenebre”.
L’esperienza della Nigredo, nella prima fase dell’opera, che veniva sentita come melancholia, e che corrisponde psicologicamente all’incontro con l’Ombra.
La problematica dei contrari  sollevata dall’Ombra ha una sua parte grande e decisiva nell’alchimia, poiché questa conduce, nella fase ultima dell’opera, all’unione dei contrari nella forma archetipica dello hieros gamos, delle “nozze chimiche”. In queste, i contrari supremi nella forma del maschile e del femminile, come nello Yang e nello Yin cinesi, si fondono in un’unità che non contiene più opposizioni, e che è dunque incorruttibile.
L’alchimista era obbligato a rappresentare la sostanza incorruttibile come corpo chimico; un’impresa impossibile che finì col provocare la rovina dell’alchimia da laboratorio, al posto della quale subentrò la chimica. La parte psichica dell’opera però non sparì, ma si conquistò nuovi interpreti, come vediamo dall’esempio del Faust e del rapporto, ricco di significato, esistente tra la moderna psicologia dell’inconscio e il simbolismo alchimistico.

 
dal libro di C.G. Jung "Psicologia e alchimia"
 
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